"Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada" Majakovskij

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martedì 26 agosto 2008

A rischio lavoro, libertà, democrazia. Intervista a Dante De Angelis

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Sign for Campagna di Solidarietà a Dante De Angelis.



Continua sul sito www.macchinistisicuri.info , la petizione a favore di Dante De Angelis il ferroviere licenziato il 15 agosto scorso colpevole, secondo Trenitalia, di aver diffuso notizie false che gettano discredito sulla compagnia ferroviaria. Migliaia di persone stanno continuando ad esprimere la loro solidarietà a questo lavoratore di 47 anni, allontanato dal suo posto di lavoro per aver pronunciato opinioni che hanno fatto emergere la carente sicurezza in cui versa il trasporto su ferro. I fatti a cui Dante De Angelis si era riferito riguardavano gli ultimi incidenti ferroviari avvenuti nei pressi di Milano il 14 e il 22 luglio, dove la rottura del tenditore di collegamento provocò il distaccamento tra due vagoni. Ma la sicurezza è un tema molto dibattuto in questo delicato settore e gli incidenti continuano a mietere vittime tra gli addetti ai lavori. Uno dei recenti casi è stato quello del malfunzionamento delle porte dei vagoni, nel quale Antonio Di Luccio rimase intrappolato finendo sotto i binari. Il capotreno di 50 anni subì l´amputazione della gamba destra e del piede sinistro.

Abbiamo incontrato Dante De Angelis, Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, già licenziato nel 2006 durante la vertenza contro la reintroduzione del pedale a “Uomo Morto” sui treni – il famigerato dispositivo degli anni ‘30 che i macchinisti dovrebbero azionare continuamente durante tutto il tempo di guida - e riammesso al lavoro dopo sette mesi. Un licenziamento ingiusto hanno commentato i tanti firmatari dell´appello che chiede l´immediata riammissione al lavoro di De Angelis, a dimostrazione dello sdegno per l´epilogo di questa vicenda. per aver denunciato la mancanza di sicurezza sui treni

Trenitalia le ha contestato la diffusione di notizie false e tendenziose?

Sì, prima una contestazione riguardo le mie dichiarazioni, dopo le mie contro deduzioni, ritenute insufficienti, la lettera di licenziamento, in quanto il rapporto fiduciario è decaduto.

Lei si occupa proprio di sicurezza. L´azione di Trenitalia nei suoi confronti colpisce qualsiasi forma di denuncia sulla sicurezza. Ma se i lavoratori che sono in prima linea sono messi a zittire, sugli incidenti non emergeranno mai le vere responsabilità. Di cosa c´è bisogno per far fronte a questi episodi?

Il ruolo dei lavoratori in tutte le aziende è fondamentale per costruire e mantenere un livello alto di sicurezza, e questo vale per tutte le realtà, siano esse di carattere industriale o di servizio. Soltanto chi vive dall´interno i processi produttivi può conoscere nel dettaglio le lacune e le problematiche delle lavorazioni, fermo restando che i lavoratori da soli non sono sufficienti ad agire sul fronte sicurezza. A fronte dell’obbligo primario dei datori di lavoro di garantire la massima sicurezza tecnicamente possibile un forte ruolo dovrebbero svolgerlo anche i Servizi di Prevenzione, la magistratura, le Organizzazioni sindacali le forze politiche e gli organi di informazione. Purtroppo ciò non sempre avviene. Succede invece che in seguito ad un qualsiasi incidente sul lavoro, le responsabilità finiscano per essere addebitate all’ultimo anello della catena di produzione e anche quando si accertano delle responsabilità le ragioni vere dell’incidente restano sepolte in qualche polveroso fascicolo nelle ASL o nelle Procure che nessuno si occupa di analizzare. Sarebbe invece necessario rendere pubblici e consentire a tutti di “studiare” l’evento e le sue cause, in modo evitare in futuro gli stessi errori. Un patrimonio di conoscenze che se messo in comune potrebbe risparmiare tante tragedie. Ma spesso accade che un tragico episodio richiami l´attenzione per qualche giorno per poi cadere nel dimenticatoio, evitando così di aprire un confronto che possa porre sistematicamente dei rimedi efficaci. In Italia manca proprio questo importantissimo strumento, un banca dati pubblica per far conoscere a tutti, nel dettaglio, il contesto e le cause di ogni infortunio. Questo lavoro di informazione di noi RLS, inoltre, è spesso ostacolato dalle aziende le quali nei nostri confronti possono agire pressoché indisturbate e senza conseguenze: ad esempio licenziare oggi un lavoratore che informa lavoratori e opinione pubblica non costa nulla, specialmente in un´azienda grande come quella di Trenitalia. Nel mio caso personale se tra uno o tre anni la contestazione che l´Azienda ha mosso nei miei confronti si rivelasse priva di fondamento io, sottoposto all’umiliazione ed allo stress di un licenziamento, sarei riammesso, ma per coloro che hanno preso a suo tempo la decisione, al di là del merito, non ci sarebbero conseguenze. In definitiva il rapporto tra azienda e lavoratore è impari, nonostante il diritto al reintegro sancito dall´articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

Eppure qualcuno ha colto l´occasione per accusare i ferrovieri di assenteismo dopo l´episodio di Genova dove otto lavoratori si sono fatti timbrare il cartellino da un collega. Stranamente questo fatto viene alla luce proprio in contemporanea con il suo licenziamento. Sembra quasi un caso.....

Se posso trovare un lato positivo nella mia vicenda è quello di aver contribuito a portare alla luce la crudeltà delle Ferrovie nei confronti degli otto colleghi di Genova. L´Azienda infatti sta punendo senza distinzioni di gravità i suoi dipendenti, facendoli passare per fannulloni. Invece quello che è successo a Genova è ben diverso. Gli otto lavoratori accettarono alla fine del loro regolare turno di lavoro di fare uno straordinario per riparare un treno. Il tempo programmato per quella manutenzione era di due ore, ma gli otto lo hanno finito con un quarto d´ora in anticipo, e questa colpa è stata ritenuta così grave tanto da essere punita con il massimo della pena: il licenziamento.

Il film di Simone Amendola 'Quando combattono gli elefanti', presentato al Festival di Venezia che lo vedeva come protagonista è stato rifiutato. Il film parla proprio del suo primo licenziamento del 2006. Con quale motivazione è stato scartato il film e cosa ne pensa di questa scelta?

Credo che la commissione esaminatrice faccia il suo dovere e quindi non mi permetto di entrare nel merito della questione. Il film rispecchia un momento importante nella storia delle lotte dei ferrovieri per la sicurezza, a seguito di gravi incidenti. Una storia di gente normale, che lavora, si impegna e lotta; Venezia forse è un Festival che si occupa d’altro. L´idea era nata inizialmente con lo scopo documentaristico, ma il giovane regista, Simone Amendola, è riuscito successivamente a costruire attorno a questa realtà un intreccio che ha contribuito a dare un significato poetico alla narrazione cinematografica.

Vista la mobilitazione di questi giorni prevedete a breve una grande manifestazione nazionale?

E´ già stato fissato un appuntamento per il prossimo 5 settembre a Roma in via Marsala alla Sala del sacro Cuore. Oltre alla discussione sindacale parteciperanno esponenti del mondo dello spettacolo, della cultura, della politica e dell´associazionismo, e insieme daremo vita ad una campagna di opposizione all´attacco frontale che si sta consumando contro il lavoro, la libertà e la democrazia. Questo primo incontro sarà il luogo dove confrontarsi apertamente e decidere sulle prossime iniziative da intraprendere.

sabato 23 agosto 2008

"L'essere comunista importa responsabilità". Noi la sentiamo e non lasceremo solo M. P.

di Simone Oggionni, da Liberazione del 22 agosto 2008

«Se l'essere comunista importa responsabilità, l'accetto»: non sappiamo se il giovane compagno catanese abbia mai avuto l'occasione di leggere la trascrizione dell'interrogatorio che Antonio Gramsci subì nel maggio 1928 dal presidente del Tribunale Speciale e, in particolare, questa sua ferma assunzione di responsabilità.
Fa effetto rileggerle oggi, all'indomani di una notizia che rischia di segnare un punto di non ritorno.
Una struttura pubblica (come sono i servizi sociali) motiva la richiesta al Tribunale di Catania di sottrarre alla madre l'affidamento del figlio sedicenne con il fatto che questi è iscritto «ad un gruppo di estremisti», cioè ai Giovani Comunisti del Prc.
La Prima Sezione Civile del Tribunale (e cioè l'organo giurisdizionale di primo grado della Repubblica italiana, non un club privato) accoglie e conferma l'impianto suggerito dai servizi sociali.
Ci sono frasi, all'interno dell'ordinanza, che colpiscono per il disprezzo che non riescono a celare nei confronti dell'attività politica della nostra organizzazione. Come quando si scrive che «pare che il segretario del circolo (di un gruppo di estremisti) abbia provveduto a convincere all'iscrizione e all'attivismo altri ragazzi». «Pare»: come se si stesse rivelando contro ogni logica l'esistenza di una attività illecita di adescamento, come se il fine della iniziativa politica non fosse anche, ovviamente e naturalmente, la crescita del consenso. Oppure, ancora, come quando i luoghi frequentati dal nostro compagno vengono definiti «posti di ritrovo […] dove è diffuso l'uso di sostanze alcoliche e psicotrope». Insomma: i nostri circoli, le nostre sedi, i centri sociali si trasformano - per i servizi sociali e per il Tribunale di Catania - in vere e proprie centrali criminogene.
Il punto è però un altro, e ben più profondo. Se l'ordinanza non venisse revocata, come chiede il legale della madre, saremmo di fronte ad un precedente pericolosissimo, nella misura in cui renderebbe ammissibile (cioè giuridicamente fondata) ogni pretesa che vertesse intorno alla definizione nei termini di «fattispecie di reato» dell'adesione ad un partito comunista.
Una volta accettato il principio per il quale militare o aderire, financo frequentare un partito comunista, costituisce un atteggiamento deprecabile sul piano sociale e un'aggravante sul piano giuridico, che cosa impedisce ad un giudice di condannare - per il suo atteggiamento socialmente deprecabile e giuridicamente inopportuno - un imputato per «militanza comunista»?
E che cosa impedisce al legislatore di espellere dalla legalità - come è stato fatto nei mesi scorsi in Repubblica ceca - la stessa organizzazione giovanile comunista?
La Costituzione italiana, si dirà. Purtroppo non è più sufficiente, come dimostra da un lato un'attività esecutiva segnata (per esempio in materia di sicurezza) dall'autoritarismo e dalla foga repressiva e discriminatoria e, dall'altro, un senso comune diffuso che piega (per esempio nei casi sempre più frequenti di violenza razzista di massa) le garanzie democratiche ad uso e consumo dei valori dominanti.
In Italia sta accadendo qualcosa di molto grave, e basterebbe mettere in fila alcuni fatti di cronaca degli ultimi mesi per capire quanto poco strampalata sia la provocazione agitata da Asor Rosa in ordine ai rischi più che concreti di «fascistizzazione» del quadro politico e sociale italiano.
Si pensi - su piani diversi - alle aggressioni popolari ai campi rom di Napoli e Roma del maggio scorso e alle schedature di massa decise da diverse amministrazioni locali oppure alle dichiarazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini sull'omicidio di un giovane veronese ad opera di cinque neonazisti (a suo dire meno grave dell'atto di bruciare alcune bandiere).
Oppure si pensi, ancora, alla re-distribuzione dal basso verso l'alto (attraverso il taglio dell'unica tassa patrimoniale) che falcidia il principio della democrazia economica; allo smantellamento della proprietà pubblica dei diversi fattori della ricchezza sociale (casa, servizi pubblici locali) e della struttura stessa dell'amministrazione statale; alla militarizzazione sistematica del territorio nazionale; al ricorso sempre più accentuato, in un'ottica presidenzialista, ai dispositivi di accentramento del potere esecutivo; all'insofferenza - e su questo il cerchio rischia di chiudersi - nei confronti di una architettura istituzionale costruita intorno all'indipendenza dei poteri dello Stato.
Dentro un quadro così drammatico, oggi «l'essere comunista importa responsabilità». Noi questa responsabilità la sentiamo per intero e, prima ancora, sentiamo il dovere di difendere la nostra comunità politica. Quindi non lasceremo solo il compagno del circolo Tien-an-men. E, insieme a lui, torneremo presto in piazza per contrastare - con i soliti mezzi: la lotta politica, l'intelligenza, la passione - questa drammatica regressione civile, politica e morale.

giovedì 14 agosto 2008

Esempi di casta di provincia e rilancio della questione morale

di Annalisa Magri - Segretario Circolo di Rifondazione Comunista di Montecchio Emilia

In questi mesi estivi stiamo tutti toccando con mano che anche a Reggio Emilia vi è una casta di potere che fa della trasparenza, della correttezza, della chiarezza un insieme di principi vuoti di valore. Una casta, grande o piccola che sia, che lavora per nutrire sempre se stessa, garantendosi un futuro sia dal punto di vista economico, ma forse ancor più garantendo a se stessa potere, quel potere che serve agli adepti della casta di rigenerare e riprodurre di nuovo denaro e di nuovo potere.

Questo è quanto i cittadini hanno potuto dedurre dalla vicenda che vede tra i suoi protagonisti Mario Bernabei, ex-vice presidente della Matilde s.p.a. e coordinatore del circuito dei Castelli matildici.
Proprio nell’anno in cui la nostra provincia dedicherà un tributo a Matilde di Canossa veniamo a scoprire che la società di promozione che della “Gran Contessa” ne porta il nome (Matilde s.p.a), il cui presidente è Fausto Giovannelli ex senatore dei DS, ritiene più consono trasferire la propria sede nel borgo di Canossa, in un edificio di proprietà di Bernabei, il quale in qualità di soggetto privato, affitterà l’edificio alla società del quale è stato vice presidente, per 30mila euro l’anno.
Tutto ciò infrange la legge? Bernabei o la Matilde s.p.a. hanno commesso degli illeciti? Non spetta noi, qui e ora, lanciare accuse; anzi, finché non avverranno accertamenti che faranno luce su tutta la vicenda non ci permettiamo di pronunciarci ritenendo Bernabei innocente fino a prova contraria.

Questo è il nostro modo di pensare e di fare politica, vogliamo garantire a tutti e sempre la possibilità di chiarire la propria posizione senza approfittare delle situazioni in modo strumentale pur di aggiungere una coccardina al nostro medagliere, ma proprio forti di ciò solleviamo con prepotenza una mai risolta questione morale. Non è ammissibile che un cittadino privato sfrutti a proprio vantaggio una diretta o indiretta posizione di favore rispetto ad una società pubblica, ricavandone un evidente tornaconto personale. Se questo non infligge di certo una condanna civile a Bernabei, ci restituisce del noto amministratore un’immagine un po’ appannata.

Senza voler perorare cause che non ci pertengono perché su Rifondazione Comunista tante cose si possono dire, ma non che abbia abusato nel tempo di eventuali posizioni di potere se non che con episodi isolati e marginali, va detto che più di qualsiasi Bernabei o Matilde s.p.a. presenti, siam certi, in ogni provincia italiana, il più grande conflitto d’interesse alberga a Roma nei panni del nostro Presidente del Consiglio. Senza volerci dilungare su una questione che tiene banco da anni, vogliamo concludere che, pur senza voler giustificare, i vari conflitti d’interesse locali delle piccole caste di provincia sono solo, a nostro parere, i figli minori della stessa logica che consente l’esistenza del più grande conflitto d’interesse della politica italiana mai sanato e che è in capo a Silvio Berlusconi.
Rifondazione Comunista pone come centrale, parimenti alla questione sociale e a quella della difesa dei diritti civili, la questione morale come stella polare della propria azione politica.

giovedì 7 agosto 2008

Le tante cose che l'esercito potrebbe fare

di Massimiliano Vigo - Direttivo del Circolo di Montecchio

Cari compagni, evviva i militari nelle nostre città! Evviva i difensori del cittadino terrorizzato dall'insicurezza percepita! Ora i nostri eroi sono pronti a proteggerci! Qualche esempio pratico? Sono in vacanza all'ombra dei templi di Paestum e sotto l'ombrellone stavo sfogliando l'inserto del "Corriere della Sera", "Corriere del Mezzogiorno". Prima pagina: Napoli - militari contro i vucumpra - arrestati in dodici e sequestrati 3mila capi di merce contraffatta - con tanto di foto di un carabiniere e un maresciallo dell'esercito che arrestano un pericoloso immigrato di colore; in seconda pagina tutti articoli dedicati alle operazioni dei nostri militari e altra fotografia di arresto di pericolosissimo boss (di colore) della contraffazione. Sempre in seconda pagina si ipotizza l'uso dei militari per presidiare gli scavi archeologici di Pompei: cosa presidierebbero? Forse l'incuria e il degrado in cui giacciono gli scavi tra i più famosi del mondo? Meglio qualche stanziamento, qualche custode e qualche guida turistica in più. Pagina 6: emergenza nel Vesuviano, rubinetti dell'acqua a secco fino a sabato per 500mila (leggasi cinquecentomila!) utenti. Perché non usare le autobotti dell'esercito invece di quelle poche e mal dislocate del comune? Forse fa meno figo di una pattuglia mista ma molti cittadini della zona ringrazierebbero sentitamente! Pagina 11: paura a Colle Bellaria (Salerno) bruciati 3mila metri quadrati di terreno con il rischio di esplosione di un deposito di gas; pronto intervento dei VvVFf e delle pattuglie di Carabinieri e Polizia che domano l'incendio: sorvoliamo sul fatto che nessuna di queste pattuglie era ovviamente composta da forze dell'ordine e militari. Pagina 15 (avete letto bene 15): guerra tra camorra nera e albanesi a Castelvolturno (Caserta) quattro morti ammazzati; i killer sparano a pochi metri da un parco giochi, proiettili ad altezza d'uomo tra la folla, una delle vittime è stata inseguita e freddata con un colpo alla nuca. Qui i nostri soldati si potevano veramente sbizzarrire, era come trovarsi in mezzo ad una vera e propria battaglia con il nemico da "annichilire", la tanto decantata preparazione bellica da mettere a frutto… peccato che non ci fossero, peccato che fossero occupati a Napoli, in piazza Plebiscito a farsi riprendere dalle telecamere delle Tv o a farsi fotografare dai turisti giapponesi…

mercoledì 6 agosto 2008

La precarietà va presidiata

di Italo Di Sabato – resp. naz.le Osservatorio sulla repressione del Prc/Se

Si sa che nel mondo politico e in quello dei media, che si assomigliano molto, le apparenze non coincidono quasi mai con la realtà.
Dall'insediamento del governo Berlusconi la persecuzione dei migranti, dei rom e dei cittadini italiani sinti è divenuta ossessiva. E' evidente una specie di sintonia, di coordinamento, tra il razzismo di strada e l'attivismo istituzionale. In questi ultimi mesi abbiamo assistito ai controlli della polizia sui bus, gli sgomberi dei nomadi, i rastrellamenti di prostitute nelle città maggiori, la schedature dei sinti, decreti che attuano principi discriminatori e incostituzionali. Infine la scelta di mettere i militati per le strade "ma solo per un anno", come si affrettano a spiegare i giornali. Purtroppo la risposta politica dell'opposizione parlamentare a questa tenaglia xenofoba è inesistente.

Sugli stranieri e sui nomadi si possono scaricare l'insicurezza economica o esistenziale, la paura del futuro. Un ceto politico cinico e avventurista vuole sfruttare l'insoddisfazione generale a fini di consenso. Non costa nulla. E qui si misura la miopia di chi, da noi, nella cosiddetta sinistra moderata, ha gettato benzina sul fuoco, corrodendo le basi antifasciste della prima repubblica, piagnucolando sui caduti di Salò, come se non fossero morti rastrellando i partigiani e collaborando con i nazisti, e quindi facilitando lo sterminio di ebrei, antifascisti, omosessuali e nomadi.

La sparata del ministro Ignazio La Russa, secondo cui sono contrari all’intervento dei militari nelle città solo i delinquenti e i “sessantottini” che gridavano slogan contro i neofascisti, è certamente una sparata di un politico abituato a gridare molto per farsi ascoltare dai deboli di spirito, ma è anche il segno di un’egemonia culturale sempre più evidente. Il benpensante medio crede davvero che i militari per strada, le schedature ai rom, la repressione ai migranti siano un bene ed è convinto che simili scelte siano l’attuazione del principio di legalità. Lo stesso benpensante, naturalmente, non si interroga sul fatto che alcune regioni (almeno quattro) sono in mano alla criminalità organizzata, che mafia e ‘ndrangheta hanno infiltrato l’economia del centro e nord Italia, che la corruzione nella pubblica amministrazione è diventata endemica.

Ma ciò che appare inaudito, in una cosiddetta democrazia liberale, è l'atteggiamento della stampa (sulla tv meglio sorvolare). A parte la campagna xenofoba di Libero o del Giornale, i cosiddetti giornali indipendenti insistono sull'«insicurezza dei cittadini», mentre a essere minacciati e umiliati, giorno per giorno, sono esseri umani, cittadini italiani e no, discriminati in base all'origine. L'insicurezza ha contorni così ampi che può riguardare tutto e non corrispondere a nulla di particolare. O meglio corrisponde a qualcosa che si dà per scontato come una necessità e non ci si sogna nemmeno di interpretare. E' vero, l'andamento dei reati, per lo più in diminuzione, non spiega il senso di insicurezza, ma se i cittadini hanno questa percezione, dobbiamo fare qualcosa… ecco che cosa dice un giorno sì e uno no qualsiasi editoriale dei quotidiani nazionali, grandi e piccoli. Da un mese circa i rom vengono cacciati da tutti gli insediamenti. Da qualche tempo i prefetti delle grandi città fanno schedare anche i sinti, per lo più di cittadinanza italiana, inviando la polizia all'alba nei loro insediamenti, come se si trattasse di criminali. In qualsiasi posto civile, questa sarebbe considerata discriminazione su base etnica (i cittadini sono schedati a seconda della loro supposta origine) e quindi inammissibile.

Alle proteste giustificatissime di un sinti molto noto, sopravvissuto di una famiglia sterminata dai nazisti, il giornalista di un quotidiano diffusissimo obietta più o meno: «Ma lo fanno per voi, per stabilire chi si comporta bene e chi no…». Insomma, se ti svegliano alle cinque del mattino per schedarti e terrorizzano i tuoi bambini, lo fanno per il tuo bene. Si noti non solo l'ipocrisia dell'argomento, ma l'implicito schierarsi del giornalista con le autorità. Che ci sta a fare l'Ordine dei giornalisti se non insegna ai suoi iscritti che compito di un vero giornalista è descrivere e al limite spiegare ciò che succede, e non fare la morale alle vittime di un sopruso?

Un esempio per tutto: l'ondata di piccoli pogrom contro i rom a Napoli sarebbe stata causata dal supposto tentativo di rapimento di un bambino da parte di una nomade. Tutta la stampa nazionale ha riportato l'episodio: «Nomade rapisce un bambino a Napoli» Mi sarebbe piaciuta una controinchiesta, tenuto anche conto che da quelle parti opera la camorra (come ha ben descritto Saviano nel libro Gomorra), che non va tanto per il sottile quando si tratta di deviare l'attenzione pubblica dai propri misfatti. A distanza di un mese la magistratura ha stabilito che si è trattato di un equivoco.

Ma i giornali hanno totalmente sottaciuto e non ci hanno pensato minimamente a chiedere scusa ai rom. Ed ecco che cos'è l'insicurezza, almeno nell'Italia d'oggi: un misto di balle mediali, cinismo politico e anche, perché no, panico generalizzato. Con politica dell'esistenza intendo non un complotto o un piano per assoggettarci, ma un comodo metodo per distrarci dalla realtà di un paese incattivito, privo di senso del futuro, in cui i salari sono più bassi che altrove, le università agonizzanti, i giovani senza speranza d'impiego stabile e la spazzatura trabocca dai cassonetti. ll sociologo Pierre Bourdieu amava dire che "la precarietà è ovunque", ovvero è un sistema che si tiene insieme, destruttura il mercato del lavoro e i diritti del welfare.

La dottrina della guerra ai poveri, ma anche ai giovani, magari graffitari o occupanti, chiude gli spazi pubblici: piazze e giardini recintati, polizie locali, private, città assediate in regime di coprifuoco notturno. Creando un nemico ubiquo, indefinibile e fungibile (marocchini, rom, albanesi, stupratori all'angolo delle strade, pedofili nei giardinetti) le vere magagne in cui affondiamo sono minimizzate e il ceto politico può continuare a fare la bella vita. E i giornali a vendere il loro allarmismo. Siamo all’abiura dei fondamenti dello stato diritto, in nome di un’emergenza del tutto fittizia, rilanciata da media irresponsabili e al servizio di un potere politico così debole da cercare consenso assecondando le pulsioni più irrazionali che serpeggiano in una società malata e insicura. Sono giorni di grande vergogna e di grande pericolo.

martedì 5 agosto 2008

Quando l'immaginazione fa brutti scherzi

di Alberto Burgio - da Il manifesto del 3 agosto 2008


Immaginiamo una società in cui lo sfruttamento del lavoro dipendente si radicalizza travolgendo diritti e regole stabilite in fasi storiche segnate da robusti conflitti di classe. Una società nella quale i sindacati rischiano di trasformarsi in enti parastatali incaricati di contribuire alla realizzazione delle direttive del governo. Una società nella quale agli stranieri - solo a loro - vengono rilevate le impronte digitali sin da bambini. Una società che estromette gli stranieri dalle pensioni sociali, dalle prestazioni sanitarie, dalla possibilità di avere un tetto sopra la testa, minacciando la confisca degli immobili affittati ai «clandestini».
Immaginiamo una società nella quale la scuola e l'università pubbliche sono strangolate dalla carenza di risorse finanziarie, mentre si addita loro l'aurea via della privatizzazione. Una società in cui il modello delle istituzioni universitarie è un «centro di eccellenza» controllato dal governo. E nella quale i costi dell'istruzione garantiscono il ferreo rispetto delle logiche di casta. Una società che strangola le voci fuori dal coro, a cominciare dai giornali non asserviti, che rischiano di raccontare una realtà diversa da quella ufficiale. Una società in cui l'80% dell'informazione e il 90% della raccolta pubblicitaria sono saldamente in mano ai due maggiori gruppi di potere politico-imprenditoriale, uno dei quali di proprietà del capo del governo. Già che ci siamo, immaginiamo che in questa società il Parlamento si blindi in modo da escludere le forze politiche «incompatibili». Garantendo che non si dibatta d'altro che di amministrazione, di governance, e di leggi su misura per politici di rango inquisiti o inquirendi. E che - a scanso di equivoci - le città si riempiano di soldati e i tribunali sanciscano il diritto della polizia di massacrare e torturare chi ancora osi manifestare contro la «democrazia che decide».
Immaginiamo. Si converrà che - ove mai esistesse - una società di tal fatta desterebbe le più vive preoccupazioni presso qualsiasi democratico. Lungi da noi l'intenzione di riaprire l'infinita querelle sulle possibili riedizioni del fascismo. Consideriamo ineludibili le lezioni di Collotti e di Kühnl e consigliamo per gli ozi estivi la lettura dell'ultimo Laqueur. Ma, come diceva un vecchio saggio, a non leggere non succede niente. Il punto è che lo scenario immaginato non appare affatto tranquillizzante.
Certo, oggi non usciamo da un conflitto mondiale e non registriamo una fibrillazione sociale europea simile a quella scaturita dall'Ottobre bolscevico. Non siamo al cospetto di un diffuso conflitto tra imperialismi, né è più il tempo dei nazionalismi aggressivi. In compenso il razzismo continua a svolgere il suo ruolo di discriminazione, la guerra continua a rappresentare la via d'uscita dalla crisi di accumulazione e le disuguaglianze tra le classi sono tornate ai livelli del '29 (fonte Financial Times). L'ideologia che ha predicato le virtù di autoregolazione del libero mercato è ormai alla frutta e spiana la strada a un nuovo «ritorno del politico». Per di più, l'ambiente è al collasso, il che certo non facilita la ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti delle società «avanzate». Insomma, la situazione è seria e raccomanda a ciascuno di fare la sua parte a difesa dello Stato di diritto, della Costituzione e del pluralismo politico. Rinunciando a replicare alle europee il giochetto delle ultime politiche, quando ci si è allegramente sbarazzati della sinistra sfruttando gli sbarramenti posti da una legge-porcata. Nel caso del fascismo ci fu un solo momento in cui Mussolini si giocò il tutto per tutto. In occasione dell'assassinio di Matteotti il regime vacillò per davvero, poiché fu chiaro che minacciava anche i ceti medi e le fragili conquiste dello Stato liberale. Poi tutto si richiuse, fino alla guerra.
Riflettano dunque bene i nostri odierni «democratici», sempreché i nomi in politica abbiano ancora un senso. Ma riflettano anche, a sinistra, i pervicaci teorici dell'inutilità dei partiti, gli eterni innamorati della «società civile». L'idea che si possa contrastare la destra curando reti di relazioni «sul territorio» e disertando il terreno istituzionale è figlia della stessa ideologia che vorrebbe combattere. Non c'è una società autosufficiente, estranea alla politica che la governa e immune per grazia divina dai suoi vizi. Chi lo crede mostra di non saper rinunciare alle favole del liberalismo. Predica una radicale alterità ma pone le premesse per una stabile subordinazione. Noi ci fermiamo qui. Gramsci, che non faceva sconti, parlò in proposito di «primitivismo».