"Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada" Majakovskij

Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
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giovedì 30 ottobre 2008

Lodo Alfano,anche gli immigrati vogliono firmare

di Massimiliano Vigo - membro del Direttivo del Circolo di Montecchio Emilia

Cari compagni, sabato e domenica scorsi sono stato impegnato, con altri compagni, nella raccolta di firme per il referendum abrogativo del lodo Alfano, raccolta che tra l’alto è andata ben oltre le più rosee aspettativa iniziali.

Al di là della soddisfazione per i nudi e crudi dati numerici due fatti mi sono particolarmente rimasti impressi; il primo è la faccia stralunata ed inebetita di un ventenne firmato da capo a piedi che al mio invito a firmare per il referendum contro il lodo Alfano mi ha risposto testuali parole: - Ma io questo signor Lodo Alfano non so neanche chi sia-

Per contro ricordo con piacere ma con molta amarezza molti extracomunitari che, carta di identità alla mano, chiedevano, pur non essendo cittadini italiani, di poter firmare dimostrando, tra l’altro, una conoscenza della tematica in questione che andava ben oltre il sentito dire o l’elementare informazione passata da giornali e media in genere .

Mi sono sentito molto in colpa per aver negato a queste cittadini che lavorano, producono, pagano le tasse, sono sfruttati e muoiono sui posti di lavoro, anche solo il diritto di esprimere la propria opinione su un problema che non è solamente di noi italiani ma che riguarda il più basilare e generale concetto di democrazia: l’eguaglianza (e non solo quella davanti alla legge).

Se avessero firmato comunque, le loro firme sarebbero state annullate in sede di verifica, così come quelle di molti italiani, per mancanza dei requisiti necessari, ma si sarebbe almeno permesso loro di sentirsi attivamente partecipi e più vicini a quella parte di italiani che si stanno battendo per porre un freno al potere dilagante di un governo fascista e razzista.

domenica 26 ottobre 2008

Raccolta firme contro il Lodo Alfano

Grande successo per la raccolta delle firme a Montecchio nei giorni di San Simone. Quasi 700 firme contro quella Legge che vìola palesemente la nostra Costituzione: tutti i cittadini sono uguali di fronte alla Legge e il diritto alla difesa.

Rifondazione Comunista e l’Italia dei Valori insieme per promuovere il referendum contro una legge che è profondamente ingiusta e costruita solo per proteggere certe cariche dello Stato solcando sempre di più il divario tra i cittadini ed una ristretta casta di potenti.

Cassa integrazione per gli operai di Montecchio

Su alcuni quotidiani locali è uscita la notizia, spesso relegata ad un trafiletto, della preoccupante situazione di alcune fabbriche di Montecchio, le quali stanno lasciando a casa dei dipendenti a ritmi intermittenti e per nulla rassicuranti rispetto al futuro degli operai e delle loro famiglie.
Rifondazione Comunista si unisce alla preoccupazione di questi numerosi lavoratori, giustamente in ansia per il loro futuro. La grave crisi economica generale ha ovviamente tristi ricadute anche nel nostro comune e perciò ci uniamo a quanti chiedono all’amministrazione di intervenire su questa situazione cercando di comprendere quale sia la reale portata di posti in esubero e la cassa integrazione già da qualcuno ventilata.

venerdì 24 ottobre 2008

La scuola, organo vitale della democrazia. Ma facciamo l'ipotesi...

"Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi.

Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A 'quelle' scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.

Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora.

Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico!"

Piero Calamandrei - dal discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola Nazionale a Roma l'11 febbraio 1950

Leggi tutto il discorso

giovedì 23 ottobre 2008

Consiglio Comunale di Montecchio contro la Scuola della Gelmini

Il Consiglio Comunale di Montecchio, nella seduta del 23 ottobre 2008, ha approvato con un solo voto contrario e nessun astenuto l'ordine del giorno presentato dal gruppo di Rifondazione Comunista contro la Riforma della Scuola del ministro Gelmini.

Il testo approvato raccoglie in larga parte e completa con emendamenti aggiuntivi e sostitutivi il documento presentato dai gruppi Uniti nell'Ulivo e la Margherita.

Ordine del Giorno Approvato

domenica 19 ottobre 2008

Indignazione e socialismo

di Giorgio Cremaschi - da Liberazione del 19 ottobre 2008.

Indignazione. Questo è il sentimento, questa è la parola di cui abbiamo bisogno. La stessa che veniva cantata durante la lunga marcia della rivoluzione cinese.
Ci hanno assordato per anni sull'inutilità e sui danni dell'intervento pubblico. La vicenda Alitalia è stata affrontata, con spirito bipartisan, negando la possibilità e l'utilità stessa di un intervento dello Stato per salvarla. Ora, in tutto l'Occidente si spendono, anzi si buttano via, cifre colossali per sostenere con i soldi dei cittadini banche e banchieri. Nasce il socialismo dei ricchi.
A Bruxelles l'industria italiana e quella tedesca chiedono di poter inquinare senza limiti, perché c'è la crisi. In Italia la Confindustria, con la gioiosa complicità di Cisl e Uil, ripropone la sua idea di centralità del lavoro: per andare avanti bisogna ridurre il salario e la contrattazione e accrescere la precarietà e l'orario di lavoro. In fondo, non c'è da stupirsi. Coloro che oggi sfacciatamente eseguono la più trasformista delle giravolte, scoprendo lo stato, le regole, la condanna delle speculazioni e delle cattive intenzioni dei manager, sono gli stessi che ci hanno portato fino a qui. Politici, economisti, imprenditori, giornalisti e intellettuali, tutti appartenenti allo stesso campo del pensiero unico liberista e tutte e tutti ancora lì, nei giornali o in televisione, a sentenziare come sempre.
Come dimostra quel sensibile termometro della realtà degli affari che è la Borsa, la crisi che abbiamo di fronte è strutturale e non sarà certo di facile soluzione. E' inutile disquisire se essa è la crisi estrema del sistema capitalistico o solo quella di una sua fase.
La sostanza è che un intero percorso del sistema economico mondiale si è interrotto, e chi governa l'economia e la politica è oggi incapace di farlo riprendere. I paragoni normalmente sono con le due più gravi crisi economiche del secolo scorso. Quella del '29 e quella iniziata negli anni Settanta. In realtà esse furono molto diverse. Quella del '29 veniva al culmine di un'intensa fase di sviluppo capitalistico che si era affermata in Occidente dopo la sconfitta del movimento operaio, che in tutti i paesi industrialmente più avanzati aveva portato la radicalità della rivoluzione russa. Quella degli anni Settanta invece nasceva proprio come risposta all'offensiva dei lavoratori occidentali, dei popoli e dei paesi del terzo mondo, che non accettavano più la quota di ricchezza e di potere che il capitalismo ad essi assegnava. Il liberismo che si affermava progressivamente in tutto il mondo occidentale e poi dilagava ovunque dopo il crollo dell'Urss, era la risposta delle classi dominanti a un'offensiva sociale mondiale. Il capitalismo si liberava dei lacci e lacciuoli che lo vincolavano ai diritti del lavoro e allo stato sociale e da qui rilanciava lo sviluppo. La crisi del '29 invece avveniva ben dopo che gli operai, i movimenti rivoluzionari, erano stati sconfitti. Essa giungeva al culmine di una crescita economica edificata sulle macerie della disfatta operaia. La crisi attuale somiglia pertanto molto di più a quella del '29 che a quella degli anni Settanta. Essa conclude un ciclo iniziato con le presidenze Reagan e Thatcher, con la sconfitta operaia alla Fiat, con l'attacco sistematico ai diritti e ai contratti delle classi operaie occidentali, con il dilagare di quel sistema di super sfruttamento mondiale del lavoro che è stato chiamato globalizzazione.
Il fatto che ci siano voluti trent'anni per la crisi, quando al crollo del '29 si arrivò dopo meno di un decennio di capitalismo selvaggio trionfante, dimostra la solidità e la forza dello sviluppo liberista, alimentate dall'egemonia totale conquistata dall'ideologia del mercato nella politica e nella cultura. Ma anche se ben più solido di quello degli anni Venti, è comunque un intero modello di sviluppo che si sta esaurendo. Per questo tutte le misure finora prese, al di là delle ridicole affermazioni tranquillizzanti dei governanti e di un'informazione in gran parte asservita, hanno la stessa crescente inefficacia. I soldi pubblici che si spendono, le deroghe ambientali, le deroghe contrattuali, le emergenze autoritarie, la xenofobia, l'intolleranza, hanno tutte lo stesso segno. Sono il tentativo disperato di continuare a perpetuare un sistema che è arrivato al suo limite. Si cerca di sostenere la ricchezza accumulata in questi anni con l'ennesima versione della politica dei due tempi, spiegando che se quella ricchezza si salverà, qualcosa toccherà anche a chi non la possiede. Ma proprio qui sta la contraddizione di fondo. Lo scandalo per la leggerezza con cui le banche americane hanno distribuito prestiti è stupido ed ipocrita. In un regime di bassi salari, di riduzione dei diritti e di precarietà del lavoro, l'unico modo per far acquistare l'enorme quantità di merci prodotte dal sistema mondiale, è quello di permettere ai poveri di indebitarsi per comprarle. Si è tentato di trasformare lavoratori, pensionati, disoccupati, in piccoli redditieri a debito, per evitare il crollo della produzione, per impedire quella che Marx avrebbe giustamente chiamato la crisi di sovraproduzione. Oggi è questo meccanismo che va in collasso e tutti i tentativi di restaurarlo non solo non portano a risultati, ma finiscono per sottolineare ancor di più la gravità della situazione. E' falso il presupposto che ci sia una crisi finanziaria che si sta trasferendo nell'economia reale. E' vero l'esatto contrario, e cioè che l'esplosione della bolla finanziaria mondiale nasce da un'economia reale malata, malata di bassi salari, supersfruttamento del lavoro e dell'ambiente, distruzione di risorse e culture pubbliche per favorire il privato. E' questa economia reale malata che ha cercato di sopravvivere gonfiando la bolla speculativa e usandola come una sorta di ammortizzatore sociale mondiale. Ora il crollo della finanza mostra non la salute, ma la malattia profonda del sistema produttivo mondiale.
E' per questo che serve una critica di sistema. Forse serve allo stesso capitalismo, che senza di essa è naturalmente portato all'autodistruzione narcisistica. Oggi molti sostengono che occorra un nuovo compromesso tra stato e mercato, tra politica ed economia, tra capitale e lavoro. Si dimentica però che il compromesso keynesiano travolto dalla reazione degli anni Settanta, non è nato da un progetto costruito a tavolino, né in America, né in Europa, né nel resto del mondo. Esso fu la risultante di lotte e conflitti sociali durissimi, della guerra, della distruzione del fascismo, dei successi, pur tra enormi contraddizioni, del movimento comunista mondiale. Il balbettare attuale delle sinistre di governo, che restano tali anche quando sono all'opposizione, la loro subalternità alle ricette della destra, peraltro anch'esse confuse e inefficaci, è la dimostrazione che non è più tempo di riformismo, ma urge la ricostruzione di un pensiero e di un punto di vista alternativo a quello su cui si fonda il capitalismo. Di fronte al socialismo dei ricchi bisogna prima di tutto ridare legittimità e forza al pensiero e alle rivendicazioni concrete del socialismo dei lavoratori e dei popoli. Anche a questo serve l'indignazione. Con che faccia potranno ancora dirci, quando attaccheranno le pensioni pubbliche, che lo stato non può intervenire e che dobbiamo impegnare le nostre liquidazioni nei fondi pensione privati? Con che faccia ci spiegheranno che sono inevitabili i licenziamenti, la precarietà, il taglio dei salari, i sacrifici, dopo che tutti i conti che ci vengono presentati sono frutto del costo di trent'anni di capitalismo sfrenato e rapace? Con che faccia potranno dirci che la scuola pubblica è inefficiente e che l'istruzione deve diventare ancella dell'impresa, quando è proprio la cultura manageriale che ha governato il mondo a mostrare tutti i suoi limiti di comprensione della realtà e anche di moralità?
Con che faccia potremmo ancora accettare che ci si dica che siamo tutti nella stessa barca? Solo con quella della rassegnazione, solo con la rinuncia a pensare e a lottare. Le riforme e i compromessi verranno, ma solo travolgendo i rapporti di forza, le culture e le classi dirigenti che hanno portato all'attuale disastro.
Quando nel 1989 crollò il muro di Berlino e con esso tutto il sistema sovietico, marcio nelle fondamenta per il dominio sfacciato della burocrazia, Norberto Bobbio lanciò un avviso al capitalismo trionfante. E' vero che la lunga marcia del movimento operaio si era interrotta ma, sottolineava Bobbio, se il capitalismo si fosse fatto di nuovo prendere dalla frenesia di sé stesso, se non fosse stato in grado di limitarsi e criticarsi, la lunga marcia sarebbe ripresa. E' quello che deve accadere.

sabato 18 ottobre 2008

Uniti si vince


Il grande movimento che si sta sviluppando sta prendendo la parola assemblea dopo assemblea, scuola per scuola, nei comitati di quartiere, nelle sedi di partito tornate a nuova vita, e oggi lo ha dimostrato in piazza con l’altissima adesione allo sciopero promosso dal sindacalismo di base, che per primo ha dato prova di unità, rispondendo a una richiesta vastissima

di Gennaro Loffredo, responsabile nazionale dip scuola Prc


Nell’Italia dell’Unità la scuola era gerarchica, rigida ed autoritaria. Sugli insegnanti gravava un forte controllo burocratico e repressivo. Gli studenti, al pari di militari, andavano irreggimentati ed asserviti. La sua impostazione era chiaramente dualistica ovvero divisa in due ordini che non comunicavano tra loro: il classico, destinato ai ceti sociali superiori e finalizzato alla loro riproduzione; il tecnico, addestramento professionale, destinato al resto del popolo.

La legge Casati (1859) sancisce la nascita del sistema scolastico italiano. La classe dirigente si dota così, e si attrezza per gestirlo, del proprio apparato ideologico e formativo per la continuità dei rapporti di produzione e sociali capitalistici. Di buono c’era in quel periodo, oltre che la nascita dello Stato unitario – oggi fortemente messo a rischio con il federalismo fiscale - la volontà di togliere al clero l’egemonia nel campo dell’istruzione e dell’educazione.

Per il resto, la Gelmini evidentemente nostalgica di quel periodo, con la sovrintendenza di Brunetta e Tremonti, ripristina tutto il peggio e va oltre.. E come una candida novizia, in una trasmissione su Canale 5 – “Mattino 5”- si stupisce del fatto che centinaia di migliaia fra studenti, docenti, genitori, lavoratori del mondo della scuola occupino scuole, università, decine di piazze in tutta Italia. Restaura la scuola ed asserisce che la protesta è incomprensibile.

Crea classi differenziali per i bambini stranieri e dice che lo fa per loro. Caccia 150mila lavoratori dicendo che non ha i soldi ed intanto il Governo li da alle banche. Anima candida. Pia donna. Lavora per il nostro bene. Che ingrati che siamo! La grande manifestazione promossa dalle forze della Sinistra l’11 ottobre scorso, il riuscitissimo sciopero di oggi indetto dal sindacalismo di base ci dicono che nella società c’è una gran voglia di uscire dal ghetto nel quale il governo vuole relegare la protesta ed il diffuso dissenso.

Finalmente i temi della scuola, dell’università e della ricerca conquistano le prime pagine dei giornali nazionali. I salotti televisivi sono ancora inaccessibili; proprietà privata ad uso e consumo dei soliti noti. Ma il grande movimento che si sta sviluppando la parola se la prende da solo. Se la conquista assemblea dopo assemblea, scuola per scuola, nei comitati di quartiere, nelle sedi di partito tornate a nuova vita. In periferia come al centro, dal nord al sud Italia, isole comprese. Si moltiplicano le voci che chiedono unità nella lotta. Non si può continuare ad essere separati. E’ una grande battaglia di civiltà; è una grande battaglia per il futuro.

“Riprendiamoci il futuro dei nostri bambini” è lo slogan più ricorrente. Le prossime tappe, lo sciopero generale della scuola del 30 ottobre prossimo e quello annunciato per metà novembre di università e ricerca sono appuntamenti importanti da non mancare. Rifondazione Comunista lavorerà per la loro riuscita, come ha già fatto per lo sciopero di oggi e per tutte le iniziative sin qui promosse in tutta Italia a partire dal luglio scorso.

Vivo apprezzamento alle migliaia di studenti e studentesse che hanno chiuso il corteo di oggi sotto le finestre della “beata” MariaStella assunta in “cielo” per opera dello spirito santo.

La legge è uguale per tutti. Ma qualcuno è più uguale degli altri.


La legge Alfano è una aberrazione, un atto che lede principi fondamentali della Costituzione.

Il fatto che le 4 più alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidenti di Camera e Senato e Presidente del Consiglio dei Ministri) possano godere di una sorta di impunità contrasta con il principio di eguaglianza dei cittadini, e risulta ancora più odioso per il fatto che dietro a questo provvedimento si consuma l'arbitrio di una maggioranza che, in tal modo, mette sotto protezione il proprio leader da azioni giudiziarie.

Peraltro, vi è una connessione diretta fra l'operazione che sottostà alla legge Alfano e l'aggressione più generale alla democrazia. Basti pensare al tentativo di spazzare via in un colpo solo tutte le forze che ostacolano nel paese la piena affermazione del bipartitismo con l'innalzamento delle soglie di sbarramento per le elezioni europee. O, ancora, al tentativo ricorrente di mettere in discussione l'autonomia della magistratura. O alla volontà di liquidare le testate della sinistra con i provvedimenti in gestazione sull'editoria. Senza ricorrere a paragoni forzati, è comunque vero che un disegno centralistico a sfondo autoritario è in atto ed è altrettanto vero che lo stesso è funzionale ad una stretta sul piano sociale, come testimoniano: la sintonia della maggioranza di destra con la Confindustria nell'attacco al contratto nazionale di lavoro e l' aggressione allo stato sociale, evidente nella vicenda della scuola.

La lotta contro la legge Alfano va considerata parte importante della nostra battaglia di opposizione. L'iniziativa referendaria è destinata a trascinare la necessaria controffensiva sociale e politica sul piano dei diritti democratici e in difesa della Costituzione.

Peraltro, il tema della giustizia sta acquistando un ruolo crescente anche per la connessione con alcune questioni di indubbia rilevanza sociale. Si pensi, fra l'altro, ai provvedimenti - purtroppo fino ad ora ancora sconosciuti ai più - tesi alla modifica del processo del lavoro che il nuovo governo intende assumere, modifica che farebbe venir meno un essenziale strumento di difesa dei lavoratori.

Per tutte queste ragioni Rifondazione Comunista sostiene il referendum contro la Legge Alfano.

venerdì 17 ottobre 2008

Il Governo attacca anche il processo del lavoro

di Paola Esposito e Giovanni Russo Spena

E' opportuno lanciare l'allarme, perché siamo di fronte ad una controriforma grave che rischia di essere clandestina, di sfuggire ad una conoscenza di massa. Il governo delle destre sta abbattendo quel che resta del processo del lavoro con un provvedimento collegato alla Finanziaria che, in quanto tale, è stato sottratto alla commissione Giustizia che sarebbe stata competente in Parlamento. Vengono sottratte le garanzie giurisdizionali alle lavoratrici ed ai lavoratori. Ci mobiliteremo sia sul piano democratico che sindacale. Il governo nega alla magistratura ogni controllo di legalità; torna all'attacco dello Statuto dei lavoratori. Nega l'articolo 4 della Costituzione perché la reintegrazione del posto di lavoro è sostituita da un risarcimento.

Il Governo Berlusconi ha presentato un disegno di legge che, tra le altre norme antipopolari, contiene una riforma del processo del lavoro che, se dovesse essere approvata, eliminerebbe gran parte delle garanzie dei lavoratori di poter ricorrere al giudice competente per ottenere un provvedimento di giustizia. A parte la limitazione del ruolo del giudice a mera verifica di legittimità dell'aspetto formale del rapporto di lavoro o della sua risoluzione; a parte la dilatazione dell'utilizzo della certificazione come strumento di interdizione di qualsivoglia possibile azione da parte del lavoratore con la quale chieda di riconoscere quanto negatogli, vi è un punto decisivo, disastroso. La controriforma prevede, infatti, che in casi di licenziamento in aziende con meno di 15 dipendenti, nella valutazione delle motivazioni poste alla base del recesso, il giudice dovrà tener conto, innanzitutto, di non meglio precisate regole del vivere civile e dell'oggettivo interesse della organizzazione del sistema produttivo; temiamo che questo significhi che i diritti di lavoratrici e di lavoratori siano subordinati alle priorità del paradigma del profitto dell'impresa anche quando vi è una controversia sulla legittimità del comportamento padronale.

Soprattutto, la controriforma prevede che il giudice, per valutare la "giusta causa" ed il giustificato motivo del licenziamento, debba tener conto oltre che dei contratti collettivi, anche dei contenuti dei contratti di lavoro individuali; vale a dire che, di fronte ad una norma attualmente vincolante per tutti i datori di lavoro, potremmo da domani trovarci con licenziamenti giustificati nei termini più diversificati e, comunque, iniqui per i lavoratori perché stipulati con l'assistenza delle commissioni di certificazione.

E qui si nasconde l'ulteriore incredibile iniquità. La certificazione del contratto da parte di una commissione può consentire l'introduzione nel contratto individuale di lavoro anche di clausole compromissorie; di quelle clausole cioè che spostano la competenza dal giudice del lavoro ad un collegio arbitrale che non è garante di imparzialità, potrà decidere secondo equità e non secondo l'applicazione delle leggi ed inoltre avrà un costo considerevole per il lavoratore che dovrà pagare il proprio arbitro più la metà del compenso del presidente. Per un complesso meccanismo poi una certificazione può rendere retroattivamente efficace una clausola compromissoria.

In ultimo appare opportuno evidenziare che il disegno di legge in discussione introduce decadenze che sono una vera e propria mutilazione dei diritti dei lavoratori. Ed infatti la proposizione di un ricorso di impugnativa di licenziamento (qualunque sia la tipologia di recesso) di nullità del termine per i contratti a tempo determinato, di impugnativa di trasferimento deve essere depositato entro 120 giorni nella cancelleria del tribunale. Decorso detto termine il diritto non è più giustiziabile. E' evidente che il governo nel silenzio generale tenta di erodere garanzie ai danni di lavoratrici e lavoratori. Questo intervento del governo, grave anche perché clandestino, accompagna l'attacco alla contrattazione e tende a rendere sempre più solo, disperatamente solo e ricattato, il lavoratore nei confronti del padrone.

La centralità del lavoro è la chiave di interpretazione della grammatica sociale e dell'intervento politico sul terreno comune della lotta democratica e dei proletariati. Sempre più, perché l'attacco quotidiano del governo, sia sul piano sociale che su quello ordinamentale, reclama con forza una mobilitazione.

domenica 12 ottobre 2008

Torna Rifondazione Comunista


di Paolo Ferrero - Segretario Nazionale PRC - SE

L’11 ottobre, la sinistra d’opposizione torna in piazza contro il governo Berlusconi e contro Confindustria. Inoltre, si impegna nella raccolta firme contro il lodo Alfano (meglio e più corretto sarebbe dire contro la “legge” Alfano, visto che di lodo ha davvero poco), al fianco di altre forze politiche, dall’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro ai Democratici di Parisi per dire “no” a una legge che ha un profondo significato “castale”: è fatta, cioè, per difendere e salvaguardare una casta, quella di Berlusconi e dei suoi sodali. Una vera legge-vergogna contro cui è giusto battersi.

Per alcuni troppi, mesi dopo la sconfitta elettorale, anche a causa di congressi difficili e dolorosi, siamo rimasti all'angolo, come un pugile suonato. Ora, a partire dall’11 ottobre, la ritirata è finita. Questo sabato saremo in piazza, a Roma, contro il governo e la Confindustria e contestualmente cominceremo la raccolta firme contro quella legge di casta che è il lodo Alfano. Anche in questo modo cercheremo di dimostrare che il governo Berlusconi non ha tutto il consenso di cui si vanta.

Il vero scandalo non è, a mio modesto parere, che il governo Berlusconi governi. E’ già accaduto, come tutti sanno, nel ’94 e nel 2001. Il vero scandalo è che oggi non è più in campo un’opposizione degna di questo nome. Quella del Pd è, al di là delle parole e delle dichiarazioni di questi giorni, una non-opposizione. Né fare opposizione sui temi della democrazia e della legalità, come fa Di Pietro, ci può bastare, anche se è importante. Entrambe queste opposizioni se la prendono solo e soltanto con Berlusconi e con le destre al governo, mai con Confindustria e con le sue politiche sociali ed economiche, ma è proprio Confindustria il vero e principale ispiratore e suggeritore di Berlusconi.

Dobbiamo invece dare vita e mettere in campo, a partire dall’11 ottobre, a un’opposizione davvero “di sinistra”: contro il governo, contro Confindustria, contro tutti i poteri forti (Vaticano, banche e banchieri, speculatori e finanzieri d’assalto) del Paese. Ecco perché è dall’11 ottobre che può partire (e, ne sono certo, partirà) una dura e seria opposizione di sinistra.

Il cui fine non è la sommatoria tra ceti politici, ma l’idea di fare opposizione dal basso, a sinistra, in difesa soprattutto dei ceti popolari, senza difese di fronte a una crisi economica e finanziaria mondiale dalle proporzioni devastanti. Ecco perché anche un’idea di alternativa di società e di politiche da mettere in campo non può che ripartire da qui, dai bisogni reali e concreti della gente, contro i disastri di un liberismo economico che, come è sempre più evidente, fa acqua da tutte le parti e viene sconfessato anche dai suoi araldi.

Da qui può e deve ripartire anche un coordinamento di tutte le tante e diverse opposizioni oggi in campo, nel campo della sinistra, e non dai ceti politici, le cui sommatorie portano solo ai disastri elettorali che ben conosciamo. Un coordinamento delle opposizioni – politiche, sociali, culturali - questa è la proposta che avanziamo a tutti e a tutte, a partire dall’11 ottobre. Dove vi aspettiamo in tante e tanti per dire che, davvero, “il tempo della ritirata è finito”. Io ci credo, spero saremo in tanti e tante, a dirlo ad alta voce al governo Berlusconi e a Confindustria. L’opposizione torna in piazza.

domenica 5 ottobre 2008

«Sporca negra» dicevano gli agenti denudata e seviziata per ore

di Davide Varì - da Liberazione del 4 ottobre 2008

Fermata, perquisita, denudata, ammanettata e trascinata in ospedale per la perquisizione vaginale ed anale. Infine, e come se non bastasse, denunciata per resistenza a pubblico ufficiale. Unico indizio: il nero della sua pelle.
Non è accaduto nella Johannesburg dell'apartheid e neanche nell'America del segregazionismo. E' invece accaduto a Roma, nell'Italia del duemila, quella dell'emergenza sicurezza e dell'emergenza immigrazione.
Il fatto risale allo scorso 21 luglio, giorno in cui la signora Amina - una donna di origine somala e italiana di cittadinanza, Paese in cui vive da oltre trent'anni - si trovava all'aeroporto di Ciampino per accogliere i suoi due nipotini londinesi, felici di passare un'estate in Italia, un'estate con la propria nonna.
«Ero così contenta di rivedere i miei due amori - racconta Amina, nel salotto della sua semplice ma accogliente casa romana - ma poi, d'improvviso si è avvicinato un poliziotto e mi ha chiesto i documenti. Io - racconta - non ho fatto una piega, lo giuro su Dio, che Allah mi sia testimone. Ho dato i documenti al funzionario e ho atteso tranquilla».
Ma a quel punto il poliziotto ha iniziato a fare strane domande. Di fronte a quella donna dall'aria assolutamente pacifica e impegnata a tenere a bada i suoi due nipotini, l'agente l'ha infatti accusata di avere i documenti falsi, di essere una rapitrice di minori e, non ultimo, di essere un corriere della droga. Tutto questo per il colore della sua pelle: «Tu sei nera nel corpo e nell'anima», ha infatti sentenziato l'altro agente.
A quel punto inizia il calvario. Dalle 9 di mattina alle 5 del pomeriggio la signora Amila passa di tutto. «D'improvviso - racconta infatti la donna - sono stata trascinata in una stanza dove è iniziato l'interrogatorio». Un interrogatorio dai toni sempre più minacciosi: «Che fai in Italia; che fai in aeroporto e che cosa nascondi». E poi gli insulti: «Sei una mignotta, una sporca negra» e via dicendo. Amina, sempre più terrorizzata, decide di assecondare passivamente ogni richiesta della polizia. «Spogliati», e via gli abiti. «Spogliati completamente», e via le mutandine. «Ora allarga le gambe».
Questa, dunque, la scena: la donna completamente nuda e con le gambe divaricate nella stazione della polizia aeroportuale di Ciampino. Poi arrivano due donne che, indossati i guanti in lattice, chiedono ad Amina di assumere una posizione adatta all'esplorazione anale e vaginale. Ma di fronte a quella richiesta la donna, per la prima volta si rifiuta. Chiede almeno che sia un medico a farlo. E giù altri insulti: «Ti spedisco in carcere», «come sei nera fuori lo sei dentro», «daremo i bambini all'assistente sociale». Passano quattro lunghe ore e fuori da quella stanzetta delle torture c'è ancora suo marito con i due nipotini.
A quel punto la polizia decide di portarla in ospedale per completare meglio la perquisizione. Arriva una barella e Amina, ammanettata e coperta alla meglio da qualche telo dell'ambulanza, viene portata al Policlinico Casilino di Roma. Lì possono finalmente perquisirla per bene. Le fanno addirittura le lastre al torace e al ventre convinti di trovare qualche involucro di droga. Nulla, la signora Amina è pulita. Dopo nove ore di torture la donna è finalmente libera di tornare a casa, dai suoi nipotini e da suo marito.
Ma oltre il danno, la beffa. Dopo qualche giorno arriva infatti la denuncia per resistenza a pubblico ufficiale. Lei, che aveva deciso di star zitta, abituata ai piccoli soprusi quotidiani - «ormai negli uffici pubblici ci sono due file: quella dei bianchi e quella dei neri» - si affida a Progetto diritti , l'associazione che fornisce assistenza legale agli invisibili delle nostre metropoli. «Sono stata umiliata - racconta Amina -. Io mi aspettavo delle scuse e invece ho scoperto di essere astata denunciata».
Nel frattempo, nella tarda serata di ieri, quando ormai le agenzie erano tutte invase dalla notizia anche grazie al lavoro di linkontro.info , la polizia rilasciava la seguente dichiarazione: «Amina Sheikh Said, la donna somala che ha denunciato di aver subito maltrattamenti e ingiurie all'aeroporto di Ciampino, ha precedenti specifici per traffico di stupefacenti». Firmato Remo De Felice, dirigente dell'ufficio della polizia di frontiera aerea di Ciampino. Come dire, la polizia aveva tutto il diritto di "torturare" una donna con precedenti che, peraltro, si riveleranno del tutto infondati. Nello strano comunicato la versione dei fatti, però, cambia un po'. Le perquisizioni vaginali, per esempio, diventano «approfonditi accertamenti». Infine, la denuncia per calunnia e diffamazione da parte della stessa polizia di frontiera di Ciampino. Immediata la replica dei legali che smentiscono qualsiasi accusa: «La mia assistita non ha mai avuto precedenti come trasportatrice di droga nascosta in ovuli ingeriti».
Reazioni sono arrivate anche dal mondo politico. Degna di nota, quella del sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto: «Non si tratta - ha dichiarato Crosetto - di una ingenua signora, ma di una persona nota per precedenti alle forze dell'ordine non solo italiane». Da cui la replica di Luigi Nieri, assessore al bilancio della Regione Lazio: «Le parole offensive e l'atteggiamento assunto da alcuni esponenti del Governo, e non solo, sta indubbiamente favorendo l'insorgere di fenomeni razzisti».

«L'11 ottobre sarò in piazza. C'è bisogno di opposizione»

di Fabio Sebastiani - da Liberazione del 3/10/2008

«Aderisco e partecipo alla manifestazione dell'11 ottobre, perché ritengo importante tutte le iniziative di opposizione al Governo che mettono al centro le questioni sociali». Gianni Rinaldini, segretario nazionale della Fiom, sceglie una ad una le parole per sottolineare l'importanza di questo autunno caldo e difficile, soprattutto per la sinistra e per il sindacato. Tra una pausa e l'altra dell'iniziativa "Il lavoro precario colpisce tutti", che ieri la Fiom ha organizzato a Sesto San Giovanni nell'ambito della settimana contro la precarietà della Fem, la federazione europea delle tute blu, rilascia una intervista a Liberazione da cui esce il nuovo quadro della fase politica e sindacale.

Questo autunno sembra piuttosto ricco di iniziative contro il Governo…
Aderisco all'11 ottobre, ma non metterei in opposizione questa data con il 25 ottobre. E' chiaro che sono due manifestazioni diverse, ma non può passare l'idea che si tratti di due iniziative che si contrappongono perché comunque esprimono una opposizione . Non c'è alcun dubbio che quanto sta avvenendo nelle vicende sindacali rafforzi la necessità di una opposizione politica. Detto questo occorre salvaguardare l'autonomia stessa del sindacato. Al di là di tutto credo che il primo problema che c'è oggi sul tappeto è di riaprire un rapporto di massa per andare a spiegare bene cosa sta succedendo con i riflessi della globalizzazione sul piano dell'attacco al contratto nazionale e costruire passo dopo passo le mobilitazioni.

Al direttivo nazionale della Cgil c'è stata l'unanimità sul documento finale, dopo un lungo periodo in cui invece c'è stato scontro. Cosa sta cambiando?
Ritengo la posizione assunta da tutta la Cgil nei confronti del documento di Confindustria, che non può essere certo considerato una ipotesi di accordo, un fatto importante e positivo. Nel corso del direttivo nazionale si è rimesso tutto in discussione e il confronto si è fatto trasversale. Ci è stato, insomma, un confronto vero. La scuola, il pubblico impiego, alcune Camere del lavoro, alla fine ciò che ha prevalso è stato il merito delle questioni.

In particolare, c'è questo nuovo asse tra voi e il pubblico impiego. Fino a pochi mesi fa, invece, vi guardavate con una certa diffidenza, o sbaglio?
Abbiamo in programma diverse iniziative con il pubblico impiego. E' chiaro che non è un rapporto dei metalmeccanici con una particolare categoria ma la risposta politica ai tentativi di divisione in atto da parte del Governo. Questa collaborazione ha il senso di ritessere le fila di una ricomposizione tra lavoratori dipendenti. Quel che sta accadendo è sotto gli occhi di tutti. Il pericolo concreto per i lavoratori del pubblico impiego è quello di ritrovarsi con contratti regionali, uno diverso dall'altro a seconda della latitudine. E questa è una tendenza in atto anche tra i lavoratori del settore privato. E' questa tendenza che va fermata e vogliamo farlo insieme.

Non credi che il rischio dell'accordo separato crei qualche problemino al Pd?
Io mi occupo di quel che accade nel sindacato. Dico che se c'è un accordo separato lo scenario cambia per tutti, anche per la politica. L'accordo separato sulle regole è una enormità, molto più grave di quanto subimmo qualche anno fa con l'accordo separato nel settore dei metalmeccanici.

sabato 4 ottobre 2008

“Sò fascista e me ne frego”

di Andrea Oleandri

Non guardo molto la televisione. Ogni tanto però mi capita di accendere, fare zapping di tutti i canali – chissà, forse sperando di trovare qualcosa di interessante – per poi spegnere.
L’altra sera ci ho riprovato, soffermandomi per qualche attimo sulla trasmissione di Italia1 condotta da Teo Mammuccari. Attimo che è stato tuttavia sufficiente per sentire un concorrente dire (non so in che contesto si fosse) “io sò fascista, sono per la meritocrazia” e il conduttore rispondere miseramente “ora la politica non c’entra”. Già, non c’entra davvero nulla la politica col programma di Mammuccari. Ma forse una presa di distanza maggiore non avrebbe per nulla guastato. Ma il punto su cui mi soffermerei non è certo questo, ma un altro, che crea maggiore preoccupazione. Va di moda dichiarasi fascisti, oggi. Si dichiara fascista il portiere del Milan Abbiati. Si dichiarano fascisti esponenti politici, chi direttamente (Ciarrapico) chi indirettamente (La Russa nel suo richiamo ai repubblichini di Salò).
E si dichiarano fascisti i poliziotti che massacrano i rom a Bussolengo, o i ragazzi che hanno aggredito, sempre ieri a Roma, un cinese. Dove qui intendo il fascismo come movimento che cammina a braccetto con il razzismo. Ci si dichiara fascista per il gusto di farlo sapere. “Io sò fascista, sono per la meritocrazia” è un frase che non ha o non dovrebbe avere contesto.
Non dovrebbe averlo perché in sé non significa nulla. Sarebbe stata la stessa cosa dire “sò fascista perché preferisco le fragole”. Non dovrebbe aver contesto perché siamo pur sempre una Repubblica Democratica fondata sui valori della resistenza e dell’antifascismo. Non dovrebbe aver contesto perché davvero non c’entra nulla con un programma come quello di Mammuccari. O forse mi sbaglio io e c'entra. C'entra nella misura in cui è diventato normalità. Il fascismo è un male che ha sempre serpeggiato nella società, che nella società si annida e si alimenta dell'odio per il diverso – la xenofobia – e del razzismo. Razzismo e xenofobia sempre più evidenti e rivendicate nel nostro misero Paese. Ma se davvero è così, se davvero essere fascisti è diventata una cosa di cui andare fieri, da rivendicare appena se ne ha l'occasione, se il fascismo è diventata la normalità, allora abbiamo perso. Tutti. E tutti dobbiamo interrogarci e capire come reagire.