"Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada" Majakovskij

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mercoledì 31 dicembre 2008

Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

di Mustafa Barghouti - Ex ministro dell’informazione del governo di unità nazionale palestinese

Ramallah, 27 dicembre 2008


E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l’elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e d’altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all’angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele? Se l’obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas.
Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l’esercizio della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa. Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l’ennesima arma di distrazione di massa per l’opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i civili.
Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia. E se Annapolis è un processo di pace, mentre l’unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine dell’occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall’altro lato del Muro?

Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l’indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento.
Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli. Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell’aria, come sugheri sull’acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola? Una clinica forse? Delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele.
Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant’anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati? Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull’ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l’esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo.
Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l’ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori.
La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

(testo raccolto da Francesca Borri)

martedì 30 dicembre 2008

L’appello di Ferrero: Sinistra, mobilitati per la pace in Palestina

di Checchino Antonini

«A Gaza non v’è alcuna “operazione chirurgica”, è solo un massacro - dice Paolo Ferrero, poche ore dopo il ritorno dal suo primo viaggio in Palestina - chiediamo la fine immediata di qualsiasi azione militare e che l’Italia e l’Europa, o l’Onu, non si limitino solo a fare appelli, ma prendano una posizione netta, adottando anche delle sanzioni».

Subito dopo l’atterraggio, per il segretario nazionale di Rifondazione comunista, è stata una giornata incollata al telefono per costruire una mobilitazione «urgente e necessaria». Il suo vuole essere un appello, non una convocazione. «Una proposta di parte nuocerebbe alla costruzione di una iniziativa, la renderebbe più difficile», spiega. L’appello è diretto al tessuto dell’associazionismo, ai sindacati, a tutte le forze della sinistra per ricostruire un grande movimento per la pace, per ripartire da una manifestazione nazionale. «Ma senza alcuna equidistanza - insiste - siamo di fronte ad una azione militare da crimine di guerra, per cui non c’è nessuna giustificazione e dove non c’è nessuna relazione tra missili di Hamas e l’azione messa in campo.


La situazione è più critica di quella che viene raccontata dalle tv italiane. Anzi, la stampa israeliana m’è parsa più pluralista della nostra (e tutti, con la parabola possono vedere al Jazeera) dove nessuno ha dato notizia dell’uccisione di personale delle Nazioni Unite, sette funzionari».

L’offensiva israeliana ha sorpreso Ferrero a Gaza. «La notizia ci ha raggiunto mentre ero a Ramallah, a colloquio con Mustafa Barghouti leader di al mubadera», racconta a Liberazione, poche ore dopo il rientro da un giro che lo ha visto tra Gerusalemme, Betlemme, Tel Aviv, Hebron, «dove ho visto l’apartheid da vicino».

«Dopo l’inizio degli attacchi ho visto sparare dai check point di Ramallah ai ragazzi palestinesi che protestavano e lanciavano pietre». Dopo aver preso parte al culto di fine d’anno nella Chiesa luterana di Betlemme e alla messa di Natale nella Basilica della Natività, il segretario Prc ha incontrato i rappresentanti dei cinque partiti della sinistra palestinese, impegnati nella costruzione di un raggruppamento; ha avuto un colloquio con il presidente dell’Anp Abu Mazen; una serie di incontri bilaterali con i vertici dell’Unione democratica palestinese (Fida), col segretario del partito del popolo, Bassam Saleh e, appunto, con Barghouti. Alla Knesset, il parlamento israeliano, ha parlato con il segretario del partito comunista, poi, una volta a Tel Aviv,con Ran Cohen, del Meretz, unico nella commissione difesa e affari esteri, a votare contro il proseguimento dell’offensiva.

«Ho visto che il processo di pace è bloccato - racconta - Israele costruisce, nei fatti, l’apartheid in cui i palestinesi, senza diritti, sono soggetti a varie forme di arbitrio». Quella che riporta in Italia, dopo un fitto programma fatto anche di contatti con la società civile e visite al Museo della Shoa e alla moschea di Gerusalemme, è l’immmagine di due realtà segregate: «Ci sono i muri, non “il muro”, a fare da cintura per i bantustan palestinesi e gli insediamenti dei coloni, connessi tra loro da strade separate che, a volte, viaggiano parallele, solo che quella per gli israeliani è un’autostrada, l’altra è disseminata di check-point. Quella di “due popoli due stati” non è l’ipotesi di Tel Aviv». E, in questo contesto, l’offensiva su Gaza è «un massacro - dice Ferrero - con centinaia di vittime perpetrato da uno stato occupante. I razzi di Hamas sono solo un pretesto. Le reali motivazioni sono dettate dalla campagna elettorale in corso in Israele e, posto che ci fosse, dalla volontà di rendere impossibile che la nuova amministrazione Usa possa chiedere semplicemente il rispetto dei patti».

Infatti, l’Anp ha abbandonato il tavolo, al disastro umanitario si aggiunge la destabilizzazione dell’area, «il rafforzamento dei due fronti integralisti, quello arabo e quello israeliano». Ecco perché, per Ferrero, la moblitazione è urgente e l’equidistanza non regge: «La guerra rafforza Hamas e chi sostiene il conflitto di civiltà. Come nella guerra del Golfo. E’ la riapertura del fronte che pensavamo chiuso con la sconfitta di Bush».

sabato 27 dicembre 2008

Gaza: fermiamo la guerra. Subito


da Ramallah - Paolo Ferrero e Fabio Amato

La notizia dell’inizio dell’attacco israeliano a Gaza ci arriva mentre salutiamo Mustafà Barghouti, l’ultimo in ordine di tempo di una serie di incontri con i leaders di tutte le forze della sinistra palestinese. Ci aveva appena raccontato della drammatica situazione che aveva visto poche settimane prima, quando era riuscito ad aggirare il blocco della striscia, arrivando via mare, da Larnaca, a Gaza.
Una situazione disumana, con condizioni di vita sempre più misere. Più di un milione di persone senza cibo, medicinali, elettricità, acqua. Questa è la Gaza che viene bombardata indiscriminatamente dall’esercito israeliano. Questa è la Gaza che subisce una rappresaglia di violenza inaudita, sproporzionata e completamente ingiustificata, per la rottura del cessate il fuoco e l’irresponsabile lancio di missili qassam da parte di Hamas. Mesi di privazioni iniziate con la vittoria del movimento islamico nelle elezioni parlamentari del 2006 e che hanno visto solo peggiorare giorno dopo giorno la situazione. Due anni di blocco e assedio.
Le tv arabe rimandano in tutti i territori e in tutto il mondo le immagini di quella che è stata annunciata dall’esercito israeliano e accreditata dai suoi più accondiscendenti alleati – a partire dagli USA e dal governo italiano- come un operazione chirurgica. Al contrario, un massacro. Centinaia di corpi, di donne e uomini, di bambini, ricoperti di sangue, trasportati negli ospedali in cui manca di tutto. Sono queste immagini a scatenare la rabbia dei ragazzi di Qalandia, Ramallah, di Hebron, come di Jenin, che subito riempiono le strade o sfidano i soldati israeliani con il lancio di pietre e fionde. Li abbiamo visti al Check point di Qalandia –, accucciati dietro ad un terrapieni a tirare pietre mentre i soldati israeliani semplicemente sparavano con il fucile. E non sparavano lacrimogeni. Nessuno si aspettava un attacco cosi repentino. Si stava ancora cercando di far ripartire canali politico negoziali quando il girono di Natale abbiamo incontrato Abu Mazen ci aveva preannunciato la sua visita odierna in Arabia Saudita per tentare la ripresa di un canale diplomatico, sia con Israele che con Hamas. L’attacco degli aerei israeliani è stato sferrato mentre Abu Mazen era in volo, a segnare ancora di più quell’impotenza dell’autorità nazionale palestinese che uscirà da questa vicenda ancora più indebolita.

Perché in realtà la situazione è paradossalmente ancora più grave di quella che si possa immaginare guardando le immagine delle centinaia di morti di Gaza. Il problema vero è che oggi in Palestina non ci troviamo di fronte ad un processo di pace interrotto o che procede a rilento. Ci troviamo di fronte alla costruzione concreta di un regime di apartheid, che strutturalmente rende impossibile la realizzazione di quanto stabilito dagli accordi e cioè la costruzione di due stati per due popoli. La costruzione dell’apartheid non è dichiarata ma praticata e la costruzione del muro – meglio sarebbe dire dei muri – costituisce la sua affermazione concreta. Oggi in Medio Oriente non abbiamo un territorio palestinese e uno israeliano ma bensì un territorio israeliano che si espande progressivamente con nuovi insediamenti di “coloni” che vengono difesi dalla polizia e dall’esercito israeliano e uniti da strade che sono utilizzabili solo da auto con targa israeliana. Parallelamente i check point rendono gli spostamenti dei palestinesi dei calvari interminabili, senza contare che i varchi nel muro, possono essere chiusi in ogni momento. I diritti dei palestinesi semplicemente non esistono perché possono essere sospesi in ogni momento, in ogni luogo, per qualsiasi motivo, dalle forze dell’ordine. Come ci ha detto un pastore luterano incontrato a Betlemme, la Palestina sembra una fetta di gruviera, dove Israele ha il formaggio e i palestinesi i buchi. Questa condizione che caratterizza la situazione degli ultimi anni è oggi aggravata da due elementi.

Da un lato la campagna elettorale israeliana. Per paura che le forze della destra aumentino i consensi, le forze di governo hanno nei fatti cominciato la campagna elettorale attaccando Gaza. Mettere i palestinesi in una condizione ancora peggiore è il vero motivo su cui si giocheranno – in nome della sicurezza – due mesi di campagna elettorale.

In secondo luogo il cambio della leadership statunitense, con i fratelli musulmani di cui fa parte Hamas – e con l’appoggio dell’Iran - che hanno tutta l’intenzione di accreditarsi come vero interlocutore con cui dover scendere a patti da parte degli USA.

E’ quindi tutto il processo di pace e la possibilità di costruire due stati per due popoli che viene bombardato a Gaza.

Per questo è necessario che un aiuto immediato venga dall’esterno. Occorre lavorare da subito e mobilitarsi per richiedere la fine dell’aggressione a Gaza e la fine dell’operazione militare che negli annunci dell’esercito israeliano dovrebbe durare vari giorni ed estendersi ulteriormente. Dobbiamo chiedere che il governo italiano e l’Europa chiedano con nettezza la fine incondizionata dell’aggressione da parte israeliana. Si riunisca d'urgenza il consiglio generale delle Nazioni Unite. Occorre chiedere che queste non si accodino, come da troppo tempo succede, a quanto sosterranno gli Stati Uniti, o - peggio ancora,- si producano in vuote dichiarazioni di buon senso a cui non seguirà nulla.
Il silenzio sul boicottaggio continuo, quotidiano degli accordi di pace, diventa complicità e questa complicità deve essere d enunciata per poter essere fermata.

I ragazzi palestinesi sono scesi in piazza oggi spontaneamente rischiando la vita. Domani (oggi per chi legge) è stato proclamato uno sciopero generale dei territori. Facciamo sentire la nostra voce anche noi, che non rischiamo nulla, per denunciare l’aggressione e per chiedere la fine immediata di ogni azione militare. Perché è con la politica e non con i missili che si può costruire la pace in Medio Oriente.

GAZA, FERRERO CON SINISTRA ISRAELIANA: “FERMARE RAID E CONSENTIRE ACCESSO AIUTI”

giovedì 25 dicembre 2008

NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO!

Si sono spese molte parole intorno alla crisi economico-sociale che sta colpendo il nostro Paese, una crisi nata da una parte come riflesso della grave congiuntura finanziaria globale e dall’altra come naturale evoluzione di tre decenni di politiche economiche nazionali incentrate sul massimo profitto per le aziende e la minima ridistribuzione dei guadagni per i lavoratori.

In maniera molto subdola e strisciante le lobbies, detentrici del potere economico, sono riuscite ad estromettere lo Stato dalla gestione dei settori produttivi trainanti in nome di una liberalizzazione e di una privatizzazione che solo sulla carta avrebbero portato benefici per tutti. In nome del libero mercato abbiamo invece assistito all’aumento sì della ricchezza, ma solo per chi già ricco era, mentre per contro si è precarizzato il lavoro, si è diminuito il potere di acquisto dei salari, si sono ridotti i diritti sociali; si è, in pratica, messa in ginocchio la vera forza produttiva del paese rappresentata da tutti quei lavoratori che per anni hanno portato e sopportato il peso di decisioni politiche ed economiche ingiuste e fallimentari.

Ma come si suol dire tutti i nodi vengono al pettine ed ora che la crisi si è palesata in tutta la sua gravità assistiamo ancora a manovre di economia creativa nel vano tentativo di raddrizzare una situazione ormai degenerata; mentre in molti paesi europei lo Stato si lancia nel salvataggio delle banche in crisi chiedendo garanzie che si estrinsecano nella nazionalizzazione o nel controllo degli istituti bancari salvaguardati dal denaro pubblico (Islanda, Regno Unito) o quantomeno indicando un tetto massimo di copertura finanziaria (Germania, Francia), il Governo Berlusconi “foraggia” indiscriminatamente banche, grandi industrie, gruppi imprenditoriali, senza chiedere alcun tipo di garanzia e senza fissare alcun tetto di spesa. Per poter portare avanti questa sua politica di appoggio incondizionato, Berlusconi e il suo Governo non trovano di meglio che andare a colpire laddove è più facile intervenire, laddove minore è la forza di reazione: si colpisce il lavoratore, direttamente e indirettamente.

Assistiamo a tagli indiscriminati alla scuola, alla sanità, ai servizi sociali, ai servizi in genere, aumenta la precarizzazione del lavoro, continuano i tentativi, appoggiati da alcune sigle sindacali, di svuotare la contrattazione nazionale di lavoro in favore di contrattazioni ad personam, di abolire l’articolo 18, di azzerare l’autonomia del sindacato e dei suoi rappresentati. In cambio si chiede ai lavoratori di lavorare di più per produrre di più, si chiede al lavoratore di mettersi a completa disposizione del mercato per permettere alla nostra economia di “girare” di rimettersi in moto.
Esempio di questa tendenza è la “controriforma” dell’attuale sistema contrattuale che vorrebbe aumentata a tre anni la durata del contratto legando gli aumenti salariali da una parte ad un indice di inflazione dal quale sono esclusi gli aumenti dei costi dell’energia e delle materie prime importate assumendo come base di calcolo i soli minimi tabellari e dall’altra alla produttività aziendale (con tutta la sua aleatorieta’) con contratti di secondo livello che, vista la parcellizzazione delle imprese italiane, potrà essere applicato solo al 20% delle stesse.

A questa impostazione delle cose Rifondazione Comunista non può che opporsi e lo slogan NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO racchiude in sé la condanna ad un modo di fare politica che va a solo vantaggio dei pochi.
Rifondazione chiede, e le manifestazioni che ci sono state a partire da quella di Roma dell’11 Ottobre scorso, ne sono la testimonianza che il Governo ancor prima di battersi a favore di Confindustria e dei suoi interessi corporativistici, si batta per la difesa dell’occupazione, per un aumento tangibile dei salari e delle pensioni, per una equa distribuzione della ricchezza accumulata e prodotta per anni da una classe economica oligarchica, per una generalizzazione degli ammortizzatori sociali estendendoli a tutti i settori e a tutti i contratti di lavoro precari compresi, per il riconoscimento dei diritti di tutti quei lavoratori migranti che rischiano di pagare ancora più degli altri la crisi con la perdita del lavoro e di conseguenza con l’espulsione.

Tutto questo va accompagnato da una tangibile politica sociale che non sia quella della “social card” che tanto ricorda le tessere annonarie della II Guerra Mondiale; per contrastare il carovita la via da percorrere è quella del controllo pubblico di prezzi e tariffe, l’istituzione di autorità che abbiamo poteri reali di sanzione nei confronti di cartelli trust e monopoli; va rilanciata l’edilizia pubblica a favore di tutte quelle famiglie che si vedono dimezzare i magri stipendi da affitti fuori mercato e fuori da ogni controllo e contemporaneamente vanno abbattuti i tassi sui mutui per l’acquisto della prima casa. Importanza particolare va attribuita alla lotta all’evasione fiscale e contributiva dalla quale, se attuata capillarmente, si potrebbero ricavare ingenti risorse da destinarsi al miglioramento delle condizioni dei ceti più deboli. Così come altre risorse potrebbero e dovrebbero essere recuperate tassando in maniera puntuale le grandi rendite finanziarie e colpendo con un’aliquota “europea” (almeno il 20%) i grandi movimenti speculativi dei capitali.
Altrettanta importanza assume, poi, il rilancio delle politiche industriali attraverso la promozione della ricerca, con investimenti dedicati alla riconversione delle produzioni industriali più inquinanti con lo scopo di renderle più rispondenti alle necessità legate alla crisi energetica, ambientale e climatica.

Dunque non solo NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO, ma LA CRISI LA PAGHI CHI L’HA CAUSATA!

domenica 21 dicembre 2008

Sulla fusione IRIDE-ENIA

In questi giorni sono apparsi sui giornali locali molti articoli riguardanti la fusione ENIA- IRIDE e le relative ricadute politiche dovute al voto contrario in consiglio comunale a Reggio da parte del PRC che subito dopo è stato “estromesso” dalla maggioranza.
Non vogliamo assolutamente riprendere tutta una serie di discorsi tecnici che già sono stati egregiamente sviscerati, discussi e commentati e tanto meno fare ulteriori commenti politici legati alla decisione unilaterale del Sindaco di Reggio Emilia di chiudere la collaborazione con il nostro partito a causa di una chiara e netta presa di posizione contraria ad una gestione di tipo privatistico di una serie di servizi di carattere essenzialmente pubblico.

Vorremmo porre, invece, l’accento sulle ricadute che certe decisioni potrebbero avere sul fruitore dei futuri servizi ENIA-IRIDE.

Con il venir meno dei patti para-sociali (nella migliore delle ipotesi tra 5 anni) il nascente gruppo quasi sicuramente perderà la maggioranza della compartecipazione pubblica per lasciare spazio ad una maggioranza di azionisti privati. La privatizzazione ha sempre significato per una azienda la ricerca di un miglior e massimo profitto a discapito del servizio offerto e delle tariffe applicate.
In pratica per il cittadino-utente si tratterà di pagare tariffe più alte per gli allacciamenti, di pagare di più le bollette di utenza, di dover confrontarsi con una azienda privata che ha necessità e modi di gestire il cliente finale in maniera completamente diversa dall’azienda pubblica o a maggioranza pubblica.

La fusione tra le due aziende, inoltre, rischia anche di portare ad un “ridimensionamento” del personale tecnico che, come in molte aziende private, verrà in parte sostanziale sostituito da lavoratori interinali, da cooperative o da aziende in appalto. In questo modo non solo si perderanno posti di lavoro, cosa di per sé gravissima e intollerabile in un periodo di crisi, ma verrà persa e dispersa anche l’esperienza e la capacità lavorativa di personale difficilmente sostituibile da nuove identità lavorative.

Non dimentichiamo poi che tra i tanti servizi offerti dal nascente gruppo c’è anche quello della gestione e distribuzione dell’acqua potabile, un bene naturale e da sempre a disposizione di tutti e che noi riteniamo assolutamente primario e non subordinabile ad alcun tipo di alienazione.

Resta dunque ferma l'opposizione del PRC di Montecchio a qualsiasi operazione in tal senso. La nostra opposizione vuole però essere, anche in questo caso, non sterile ma costruttiva. Per questa ragione presenteremo in consiglio comunale emendamenti e ordini del giorno volti ad indirizzare le decisioni nella direzione sopra esposta.

Emendamenti e OdG presentati nel Consiglio Comunale di Montecchio:

Emendamento allo Statuto

Emendamento ai Patti Parasociali


Ordine del Giorno su Enia

venerdì 12 dicembre 2008

Siopero generale , ottima riuscita. Ora è necessario proseguire la lotta alle politiche di Governo e Confindustria

Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc

Sono davvero felice dell'ottima riuscita dello sciopero generale indetto oggi dalla Cgil e dai sindacati di base, sciopero cui ho partecipato a Pescara, regione alla vigilia di una importante prova elettorale e in cui stasera, a Chieti, chiuderò la campagna elettorale del Prc.

Adesso, però, rispetto allo sciopero generale e alla lotta al governo Berlusconi e ai suoi nefasti provvedimenti economici e sociali, bisogna proseguire, nelle lotte, e non fermarsi, per costruire una vertenza generale per uscire dall'attuale crisi economica a sinistra.

Ecco perché è necessario da un lato aumentare stipendi e pensioni e finanziare la spesa sociale attraverso la tassazione delle rendite e delle specculazioni finanziarie e una patrimoniale, dall'altro dare garanzia a chiunque perda il posto di lavoro della cassa integrazione.

Da questo punto di vista, penso non solo che sia profondamente sbagliata l'assenza del Pd dalle piazze e dagli scioperi di oggi, ma anche che questa assenza la dica lunga sulla suubalternità del Pd alle politiche di Confindustria e, di conseguenza, del governo.

Ecco perché penso che sia altrettanto urgente che la sinistra d'opposizione, soprattutto quella oggi extraparlamentare, si coordini e lavori assieme a partire da alcuni, semplici, punti programmatici per uscire a sinistra dalla crisi, invece di continuare a perdere tempo in inutili e politicisti cartelli e alchimie tutte e solo elettorali.

Dichiarazione di Nando Mainardi, Segretario Regionale PRC Emilia Romagna

Comunicato della Camera del Lavoro Territoriale di Reggio Emilia

sabato 6 dicembre 2008

Un fiocco nero contro le morti sul lavoro



Una così grande tragedia, la sofferenza dei famigliari, dei compagni di lavoro, di tutti, fu un grido che non si poteva non ascoltare, ci disse che quando di lavoro si muore la società intera porta una ferita profonda, ci disse ciò che già sapevamo: ogni giorno vi sono morti, ogni giorno gli incidenti sono migliaia, di lavoro ci si ammala e l’amianto ha ucciso e uccide ancora.

Sono lavoratori italiani, rumeni, curdi, slavi, indiani e di tante altre parti del mondo. Il popolo degli invisibili, del lavoro nero, le vittime ignote pagano il prezzo più alto. Nulla rende la vita più precaria della morte.

Dicemmo allora: mai più morti sul lavoro, non si può restare indifferenti, rifiutiamo l’assuefazione. Lanciammo una campagna per il diritto alla dignità e alla vita sul lavoro. Ci mobilitammo. Ricordate la catena umana in Piazza del Duomo? Il nostro sentire comune?

Oggi diciamo che non abbiamo dimenticato e perciò proponiamo di far ancora sentire la nostra voce rivolta al mondo del lavoro, la voce di quanti ancora nutrono sentimenti di solidarietà, di appartenenza, capaci di indignarsi.

Proponiamo che nella settimana che va dal 6 dicembre (anniversario della tragedia della Thyssen), al 12 dicembre (giornata di mobilitazione dei lavoratori e lavoratrici per lo sciopero generale, che auspichiamo sia anche di popolo), vengano assunte iniziative, anche simboliche, alle quali tutte e tutti possono partecipare e autorganizzare. Iniziative che segnino la nostra ribellione e la volontà di impedire che la strage continui, che ogni giorno si ripetano i drammi, che dicano a noi stessi e a tutti: ciascuno faccia la sua parte. Mai più morti sul lavoro!

In particolare proponiamo che dal 6 al 12 dicembre (giorno dello sciopero generale):

- ognuno porti un fiocco nero intorno al braccio, sulla giacca o sulla borsa, come segno di lutto e di indignazione contro le morti sul lavoro;

- nelle sedi istituzionali vengano assunti impegni per il futuro e atti simbolici per sottolineare quanto sconvolgente sia il susseguirsi di morti e incidenti, e consiglieri e assessori portino un fiocco nero durante una seduta.

Questa settimana di impegno su questo terreno, organico a tutti gli obiettivi dello sciopero generale, sarà utile per valorizzare quanto già è stato fatto, in questo anno, per contrastare lo stillicidio di vite e in difesa della salute, a tutti i livelli: numerose infatti sono state le iniziative di sensibilizzazione nella società, nelle scuole e nelle istituzioni a tutti i livelli, dalle zone del decentramento al livello nazionale, con l’approvazione del Testo unico per la sicurezza sul lavoro, che va difeso dagli attacchi di Governo e Confindustria, e la legge fa finanziata e applicata.

E in particolare sarà utile per non fermarci, molto resta da fare: va costruita una diffusa coscienza nella società, la base per poter dire un giorno: “ il dramma delle morti sul lavoro appartiene al passato”.

Questa nostra “piccola” proposta ha il senso di sollecitare la visibilità di un sentire comune, di valorizzare la politica dei contenuti e dei valori di giustizia sociale che così gravemente sono aggrediti e scossi. È un’idea, se sarà da molti condivisa e praticata diventerà un fatto.

Primi firmatari:
Franca Rame, Dario Fo, Franco Calamida, Antonio Pizzinato, Nerina Benuzzi, Paolo Cagna Ninchi, Chiara Cremonesi, Mariolina De Luca Cardillo, Francesco Francescaglia, Guido Galardi, Patrizia Granchelli, Antonio Lareno, Pierfrancesco Majorino, Roberto Mapelli, Ettore Martinelli, Maria Grazia Meriggi, Arnaldo Monga, Emilio Molinari, Massimo Molteni, Carlo Monguzzi, Antonello Patta, Basilio Rizzo, Tiziana Vai


Per adesioni: iodicobasta@gmail.com