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Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
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09 maggio 2008

La nonviolenza, il movimento e il congresso del Prc

di Alfio Nicotra

"La nonviolenza è sempre includente e mai escludente. Per questo siamo contrari ad usarla come una clava per dividere il movimento in buoni e cattivi". Nel mio taccuino di appunti ho ritrovato la traccia dell'intervento che tenni, a nome del Prc, all'assemblea di chiusura del Forum Sociale Europeo di Firenze del novembre 2002. Ricordo che discutemmo a lungo nel Prc e con gli altri soggetti del movimento altermondialista, la proposta che veniva avanzata dagli amici della Rete Lilliput, di una separazione consensuale del movimento tra chi si dichiarava nonviolento e chi no.

Scegliemmo da nonviolenti di lavorare con tutti. Come avevamo fatto anche a Genova l'anno prima. Nell'imminenza dell'assedio alla "zona rossa" avevamo subito infatti pressioni dai vertici del nostro partito, che preoccupati dal clima di paura che la stampa stava creando intorno alle mobilitazioni anti-G8, ci consigliavano di far partecipare il Prc al solo concentramento di piazza Dante. Ricordo che con Ramon Mantovani, Peppe De Cristofaro e più modestamente chi scrive, ci mettemmo di traverso: no, il Prc doveva andare ovunque. Così fu.
Perché cito questi due episodi? Perché sono un esempio di nonviolenza coerente. Una coerenza che, almeno a me pare, abbiamo smarrito negli ultimi anni, da quando cioè, la nonviolenza è salita sugli scudi del nostro dibattito interno presentata come la più grande delle nostre innovazioni.

Il compagno Giordano, forse perché amareggiato per gli esiti dell'ultimo Cpn, si è fatto scappare, insieme all'infelice frase sulla "maggioranza dorotea", anche l'affermazione che, nel documento degli "altri", non ci sarebbe la nonviolenza. Una frase significativa. Mi spiego. Appartengo ad una generazione che ha imparato la nonviolenza davanti ai cancelli dell'aeroporto Magliocco di Comiso nei primi anni '80, Ho avuto la fortuna di inverarla con grandi maestri come don Tonino Bello durante la marcia dei cinquecento nella Sarajevo assediata e Tom Benettollo sotto le bombe della Nato a Belgrado. Ho partecipato agli accampamenti per la pace in Chiapas dove con i nostri occhi e corpi ci siamo interposti tra le comunità zapatiste e l'esercito federale messicano. La nonviolenza è d'altronde un continuo lavorio su se stesso - specialmente per noi maschietti - e mai un approdo definitivo. Non ho mai misurato la nonviolenza e la sua forza su quante volte era citata in un documento. Anzi ho trovato un certo fastidio quando questa parola, più che la sua pratica, è improvvisamente diventata di moda nel nostro partito. Vedevo un rischio: di trasformare la nonviolenza in una sorta di profumeria.

Troppo spesso è stata usata per accreditarsi nei palazzi e nei salotti buoni del potere come se avesse la capacità di "ripulirci" dal vestito sporco e sdrucito dell'essere comunisti e no global. La si è usata per dividere il movimento (esattamente l'opposto della scelta di Genova) portando i Giovani Comunisti a separarsi dallo stesso e a rinchiudersi in una conquista di postazioni dentro il partito nel nome del ricambio generazionale. Dispiace non trovare traccia nel documento dell'esecutivo dei Gc - monoliticamente tutto schierato da una parte - di alcun accenno autocritico e sul perché si è perso ogni superfice di contatto con un movimento di cui, fino a pochi anni prima, erano protagonisti riconosciuti.

A Venezia avevamo scritto "movimento pesante governo leggero". E' andata così? Penso che questa sia la domanda a cui dobbiamo tutti rispondere. Personalmente credo che questa parola d'ordine sia stata rovesciata come un guanto e non solo per responsabilità esterne a noi (l'impermeabilità del centrosinistra, la situazione di stallo al senato, lo slittamento moderato della Cgil etc). Molto è dipeso dalle nostre scelte politiche. Non si può scomodare Aldo Capitini e Danilo Dolci e poi non obiettare alla parata del 2 giugno o dichiarare che la Folgore in Libano - di cui prima chiedevamo lo scioglimento- rappresenta la vetrina dell'Italia migliore. Non si può essere credibili con il movimento No Dal Molin e depositare la mozione per la moratoria sulla costruzione della base il giorno dopo la caduta del governo Prodi…

Credo che il nuovo gruppo dirigente che uscirà dal congresso dovrà chiedere scusa al movimento per la pace per i nostri errori, per aver snaturato la nostra impostazione e il nostro agire. Facciamo allora un congresso vero senza usare la nonviolenza come anatema. Ricostruiamo una comunità, Rifondazione, la Sinistra, in cui l'ascolto dell'altro (specialmente di chi sta in basso) non sia solo un esercizio retorico. Dobbiamo certo difendere le innovazioni ma anche combattere le involuzioni che ci hanno portato a non capire più il mondo. Sta anche agli iscritti e alle iscritte del Prc non farsi sottrarre il diritto di parola attraverso la militarizzazione di un dibattito per mozioni contrapposte o peggio ancora in una conta per un leader. Nessuno ci salverà dall'alto. Il tempo delle monarchie illuminate è finito. E' giunto il momento di costruire l'intellettuale collettivo e di ricominciare a farle le lotte (e non solo a declamarle).

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