La variante al Piano delle Attività Estrattive (PAE) votata dal Consiglio Comunale del 1° Dicembre 2025, al di là dei tecnicismi e dei rimandi normativi, porta con sé una scelta politica chiara: incrementare ancora l’attività di escavazione in un territorio che da decenni subisce un consumo di suolo, di aria e di paesaggio che non è più sostenibile.
Una scelta che non condividiamo né nel merito né nel metodo.
1. Un procedimento accelerato che ha sacrificato la partecipazione reale
La delibera ammette apertamente che non si è proceduto alla consultazione preliminare, “in considerazione dell’urgenza”. Eppure, stiamo parlando di un piano che incide profondamente sull’ambiente, sulla salute, sulla viabilità, sul futuro del nostro territorio.
Quando il Comune evita la consultazione preliminare, quando convoca una sola presentazione pubblica “con modalità non tecniche” due giorni dopo la chiusura delle osservazioni alla Regione Emilia-Romagna, quando di fatto scarica la responsabilità sulla cittadinanza senza darle strumenti, questo non è un processo partecipativo, ma una formalità.
E il fatto che siano arrivate in comune solo le nostre osservazioni non dimostra consenso: dimostra sfiducia e difficoltà ad accedere a documenti tecnici di centinaia di pagine.
Questa variante è figlia di un metodo opaco, di una accelerazione dettata dai fabbisogni delle imprese, non dai bisogni della comunità.
2. La logica dell’emergenza permanente sugli inerti
Da anni sentiamo ripetere che bisogna “rispondere al fabbisogno di inerti del bacino Enza”.
Ma questo fabbisogno non è una variabile atmosferica: è il prodotto di scelte di modello produttivo basate su un uso massiccio di calcestruzzo, impermeabilizzazione, grandi opere ad alto impatto.
In più, questa variante, mentre parla di “fabbisogni emersi negli ultimi anni”, non fornisce una chiara analisi comparativa con alternative a basso impatto.
Siamo al paradosso: mentre Regione ed Europa parlano di economia circolare, il nostro Comune continua a inseguire il modello degli anni ’80, basato su cave e camion.
3. Impatti ambientali sottostimati nella VALSAT (Valutazione di Sostenibilità Ambientale e Territoriale)
La VALSAT allegata al piano, pur corretta formalmente, è sorprendentemente ottimistica sugli impatti:
- conferma continuità estrattiva, come se il territorio fosse inesauribile;
- minimizza l’aumento di polveri sottili e rumore;
- inquadra il traffico pesante aggiuntivo come “sostenibile”.
· Ma noi sappiamo che:
- l’area è già attraversata da traffico intenso;
- l’apertura di nuove cave o l’ampliamento delle esistenti implica decenni di perdita di qualità ambientale;
- il recupero finale, quando e se avverrà, non restituirà mai l’ecosistema originario.
E un piano che non considera gli effetti complessivi sull’Enza, sulle falde, sulla viabilità, non può essere definito “sostenibile”.
4. Una pianificazione che si piega alle necessità di pochi operatori
Il documento parla di “mettere a disposizione il materiale per opere pubbliche in programma”.
Sappiamo bene però che l'enorme volume di inerti estratti non servirà solo a quelle opere.
Non ci sono vincoli su come i materiali estratti saranno utilizzati.
E soprattutto, questa variante nasce per soddisfare il fabbisogno di specifici operatori privati, ai quali viene di fatto garantita continuità produttiva per anni.
Il Comune, invece di governare l’economia del territorio, ne subisce le pressioni.
Non è un Piano delle Attività Estrattive: è un Piano per la continuità delle imprese estrattive.
5. Consumo di suolo e giustizia ambientale
Ogni nuova escavazione significa:
- suolo agricolo perso
- biodiversità ridotta
- paesaggio frammentato
- comunità locali impattate dal traffico
Parliamo sempre di “tutela del territorio”, ma poi lo svendiamo un chilometro alla volta.
Una amministrazione che si dice moderna dovrebbe ragionare in chiave post-estrattiva, non continuare a scavare fino all’ultimo metro disponibile.
Ogni metro cubo di inerti estratti oggi è un metro cubo sottratto alle generazioni che verranno.
6. Le misure di salvaguardia come strumento per accelerare, non per proteggere
Dal momento dell’adozione scattano le misure di salvaguardia.
Questo significa che, anche senza approvazione definitiva, il nuovo assetto di piano diventa vincolante.
È un meccanismo che tutela… chi deve scavare.
Non certo i cittadini.
Di fatto la maggioranza sta dicendo:
“Intanto partiamo, poi discuteremo.”
È l’esatto contrario del principio di precauzione che dovrebbe guidare l’azione pubblica.
7. Una visione alternativa è possibile
La nostra opposizione non è ideologica.
È fondata su un’idea diversa di sviluppo:
- riduzione drastica dei volumi estrattivi
- investimenti sul riciclo degli inerti e dei materiali edilizi
- risparmio di suolo e rigenerazione urbana
- valutazioni ambientali trasparenti e non affrettate
- pianificazione partecipata vera
Il territorio della Val d’Enza non può essere considerato una miniera da svuotare, ma un bene comune da custodire.
8. Un modello internazionale virtuoso: l’esempio del Regno Unito e il principio di “chi inquina paga”
- Nel Regno Unito è attivo da molti anni un meccanismo fiscale specifico per le estrazioni di sabbia, ghiaia e roccia: La legge sugli Aggregati. Questa tassa grava ogni tonnellata di materiale estratto e commercializzato, con l’obiettivo dichiarato di rendere più costoso l’uso di inerti “vergini”, e allo stesso tempo incentivare l’uso di aggregati riciclati o secondari.
- In un recente intervento normativo del 2024, il governo britannico ha deciso di riallineare l’importo della Legge all’indice dei prezzi al consumo, aumentando la tariffa per tonnellata, proprio per rafforzare l’efficacia dell’incentivo ambientale.
- L’obiettivo esplicito della misura è “promuovere un uso efficiente degli aggregati”: cioè rendere economicamente più vantaggioso il riciclo e il riuso rispetto all’estrazione di materiale nuovo, e far emergere i ‘costi ambientali reali’ dell’attività estrattiva.
- Questo approccio dimostra, al di là degli slogan, che è possibile considerare l’impatto ambientale con strumenti concreti: tassazione delle estrazioni, incentivo al riciclo, internalizzazione dei costi sociali ed ecologici. Un modello che tiene conto del principio di “chi sfrutta delle risorse naturali deve dare qualcosa in cambio” — in termini di recupero, compensazioni, riduzione del consumo di suolo e tutela del paesaggio.
Il Regno Unito non ha scelto la continuità a ogni costo delle cave, ma ha introdotto un onere economico che rende l’escavazione meno “conveniente” rispetto a soluzioni alternative e sostenibili, riuscendo a ridurre di fatto le richieste di estrazioni.
Alla luce di questo, il nostro Comune — se davvero avesse a cuore il bene collettivo, la tutela ambientale e la giustizia intergenerazionale — dovrebbe farsi promotore, verso lo Stato, affinché venga adottata una strategia analoga quindi politiche che limitino il consumo di suolo, incentivino il riciclo degli inerti, e garantiscano che chi estrae paghi per l’impatto ambientale e sociale.
Per questi motivi, politici e tecnici, abbiamo votato contro a questa variante.
Non possiamo continuare a parlare di futuro sostenibile mentre approviamo strumenti che compromettono il presente e il domani della nostra comunità.
Abbiamo chiesto alla maggioranza un sussulto di coraggio politico.
Abbiamo chiesto loro di fermarsi, riconsiderare, coinvolgere la cittadinanza, valutare alternative moderne, non quelle del secolo scorso.
Ma la loro ossessione per le cave dimostra che non siamo noi ad essere rimasti all’Età della Pietra.
Il territorio non è una risorsa infinita.
La sua tutela è la nostra responsabilità principale.
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