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Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
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06 luglio 2009

Sicurezza: di chi e di che cosa

di Dino Greco - da Liberazione del 4 luglio 2009

Talvolta si intrecciano fatti, si verificano fortuite concomitanze che rendono chiaro, più di ogni sofisticato argomento, il senso delle cose. E' esattamente ciò che è accaduto in questi giorni, rispettivamente, in una stazione ferroviaria, quella di Viareggio, e nel Parlamento della Repubblica. Nel primo caso, la plateale elusione delle misure di sicurezza ha causato una strage di enormi proporzioni. Si è lì nuovamente materializzata la tragica realtà che quotidianamente si presenta davanti ai nostri occhi. Parlo degli infortuni sul lavoro, dei morti, dei feriti, degli invalidi, tanti quanti ne produce una guerra. Perché di una guerra si tratta. Scatenata proditoriamente, con dolo. Frutto di incuria, di intensificazione dei ritmi e di prolungamento sciagurato degli orari di lavoro, della precarietà dei rapporti di lavoro e di una disciplina legislativa che ne favorisce la moltiplicazione, dell' assenza di misure di prevenzione e di controlli, dell'evanescente regime sanzionatorio, al limite dell'impunità, per i responsabili delle violazioni di legge. Ecco, la sicurezza, per davvero costitutiva del diritto e della dignità umana, è qui sistematicamente negata. Come lo è quando le persone vengono private del lavoro senza attrezzare un decente sistema di ammortizzatori sociali. O come quando si abbattono i rendimenti pensionistici fino a trasformare in un'avventura la semplice sussistenza. O quando le reti di protezione sociale, di promozione della vita comunitaria, sono talmente evanescenti da generare anomia, paura, solitudine sino alla malattia mentale. O quando le due, forse tre generazioni più giovani guardano al proprio futuro senza alcuna certezza, avendo del tutto smarrito la consapevolezza di avere dei diritti, sanciti e protetti dalla suprema legge dello Stato, eppure caduti nell'oblio perché travolti da una legislazione che ne ha via via eroso efficacia ed esigibilità. E compromessi da una politica che ha ripudiato il concetto stesso di solidarietà. Di questa sicurezza non vi è traccia alcuna, e da tempo, nelle politiche dei governi. Primariamente, di questo governo, campione ineguagliato della scientifica demolizione del welfare. Della sicurezza, come sicurezza sociale, si è persa la nozione, il significato più profondo. Anch'essa è diventata una parola malata, introiettata nel senso comune come il portato di quella paranoia collettiva che vede nel contiguo più debole un concorrente o, peggio, una minaccia, un nemico, massimamente se immigrato. L'idea che troneggia è che c'è penuria. Penuria di tutto. Di reddito, di lavoro, di case, di spazio vitale.
Questo giornale si sforza ogni giorno di dimostrare che le risorse per un'altra politica, per altre risposte, ci sono, ma vengono sequestrate e dissipate da una ristretta porzione di cittadini, spesso violando la stessa legge tributaria.
Ma, più in profondità, in ragione di un'architettura politica e sociale sempre più classista. E di una cultura che ha fatto libero spaccio della fola secondo cui la disuguaglianza è il motore dello sviluppo. Il fatto è che se non ti accorgi di questa flagrante bugia, oppure se non credi più nella possibilità di rovesciare questa iniqua ripartizione della ricchezza prodotta dal lavoro sociale, allora ti arrocchi, ripieghi nel tuo "particulare" e provi, per velleitario che si riveli questo sforzo, a difenderti da solo! Non più contro la soverchiante potenza di chi sta sopra di te e dispone di una forza che ti appare inattaccabile. Bensì contro chi sta sotto, che ti è più prossimo e più vicino. Nel quale non vedi più colui che può condividere con te una via di possibile riscatto. Ma come una persona ostile. Oggi lo straniero è indicato come il responsabile di tutte le nostre privazioni e frustrazioni. E' da lui che senti di doverti difendere. E' lui l'agnello sacrificale di un rito fraudolento che rende tutti incarogniti e peggiori. Individui isolati, prigionieri dei propri egoismi, uniti soltanto dalla comune percezione di sentirsi indifesi. A maggior ragione dentro una crisi che ognuno è costretto ad affrontare in solitudine. E' in questo brodo fetido che prende corpo e recluta proseliti la risposta repressiva, che risolve ogni contraddizione in un problema di ordine pubblico.
Ecco allora, nel giorno stesso in cui un convoglio deraglia su una fatiscente rete ferroviaria ed una più che evitabile disgrazia stronca ventidue vite, che la maggioranza di centrodestra sforna la sua ricetta salvifica: l'introduzione del reato di clandestinità, in un Paese la cui legislazione xenofoba, quella che ha già scavato un fossato fra noi e il dettato costituzionale, non fa che generare illegalità, ricatto, sfruttamento, sfondamento dello stato di diritto. Migranti, graffitari, clochard, ambulanti abusivi: ecco qui i nemici della civile convivenza, dai quali proteggersi attraverso ronde e vigilantes, secondo i più vieti canoni dell'apartheid. Si inizia sempre così. Poi, quando la degenerazione ha compiuto sino in fondo il suo corso, a tempo debito, arriva sempre chi appiccica sul petto dei reietti di turno una stella di Davide. Non solo è già accaduto. Come si stancava di ammonirci Primo Levi, può ancora accadere.

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