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17 ottobre 2008

Il Governo attacca anche il processo del lavoro

di Paola Esposito e Giovanni Russo Spena

E' opportuno lanciare l'allarme, perché siamo di fronte ad una controriforma grave che rischia di essere clandestina, di sfuggire ad una conoscenza di massa. Il governo delle destre sta abbattendo quel che resta del processo del lavoro con un provvedimento collegato alla Finanziaria che, in quanto tale, è stato sottratto alla commissione Giustizia che sarebbe stata competente in Parlamento. Vengono sottratte le garanzie giurisdizionali alle lavoratrici ed ai lavoratori. Ci mobiliteremo sia sul piano democratico che sindacale. Il governo nega alla magistratura ogni controllo di legalità; torna all'attacco dello Statuto dei lavoratori. Nega l'articolo 4 della Costituzione perché la reintegrazione del posto di lavoro è sostituita da un risarcimento.

Il Governo Berlusconi ha presentato un disegno di legge che, tra le altre norme antipopolari, contiene una riforma del processo del lavoro che, se dovesse essere approvata, eliminerebbe gran parte delle garanzie dei lavoratori di poter ricorrere al giudice competente per ottenere un provvedimento di giustizia. A parte la limitazione del ruolo del giudice a mera verifica di legittimità dell'aspetto formale del rapporto di lavoro o della sua risoluzione; a parte la dilatazione dell'utilizzo della certificazione come strumento di interdizione di qualsivoglia possibile azione da parte del lavoratore con la quale chieda di riconoscere quanto negatogli, vi è un punto decisivo, disastroso. La controriforma prevede, infatti, che in casi di licenziamento in aziende con meno di 15 dipendenti, nella valutazione delle motivazioni poste alla base del recesso, il giudice dovrà tener conto, innanzitutto, di non meglio precisate regole del vivere civile e dell'oggettivo interesse della organizzazione del sistema produttivo; temiamo che questo significhi che i diritti di lavoratrici e di lavoratori siano subordinati alle priorità del paradigma del profitto dell'impresa anche quando vi è una controversia sulla legittimità del comportamento padronale.

Soprattutto, la controriforma prevede che il giudice, per valutare la "giusta causa" ed il giustificato motivo del licenziamento, debba tener conto oltre che dei contratti collettivi, anche dei contenuti dei contratti di lavoro individuali; vale a dire che, di fronte ad una norma attualmente vincolante per tutti i datori di lavoro, potremmo da domani trovarci con licenziamenti giustificati nei termini più diversificati e, comunque, iniqui per i lavoratori perché stipulati con l'assistenza delle commissioni di certificazione.

E qui si nasconde l'ulteriore incredibile iniquità. La certificazione del contratto da parte di una commissione può consentire l'introduzione nel contratto individuale di lavoro anche di clausole compromissorie; di quelle clausole cioè che spostano la competenza dal giudice del lavoro ad un collegio arbitrale che non è garante di imparzialità, potrà decidere secondo equità e non secondo l'applicazione delle leggi ed inoltre avrà un costo considerevole per il lavoratore che dovrà pagare il proprio arbitro più la metà del compenso del presidente. Per un complesso meccanismo poi una certificazione può rendere retroattivamente efficace una clausola compromissoria.

In ultimo appare opportuno evidenziare che il disegno di legge in discussione introduce decadenze che sono una vera e propria mutilazione dei diritti dei lavoratori. Ed infatti la proposizione di un ricorso di impugnativa di licenziamento (qualunque sia la tipologia di recesso) di nullità del termine per i contratti a tempo determinato, di impugnativa di trasferimento deve essere depositato entro 120 giorni nella cancelleria del tribunale. Decorso detto termine il diritto non è più giustiziabile. E' evidente che il governo nel silenzio generale tenta di erodere garanzie ai danni di lavoratrici e lavoratori. Questo intervento del governo, grave anche perché clandestino, accompagna l'attacco alla contrattazione e tende a rendere sempre più solo, disperatamente solo e ricattato, il lavoratore nei confronti del padrone.

La centralità del lavoro è la chiave di interpretazione della grammatica sociale e dell'intervento politico sul terreno comune della lotta democratica e dei proletariati. Sempre più, perché l'attacco quotidiano del governo, sia sul piano sociale che su quello ordinamentale, reclama con forza una mobilitazione.

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