di Paolo Ferrero, Segretario Nazionale PRC-SE
Il centro del progetto politico di Rifondazione Comunista riguarda la capacità di intervenire efficacemente al fine di determinare una uscita a sinistra dalla crisi.
E’ infatti evidente come non automaticamente la crisi porti a sinistra. Anzi, sono prevalenti i segnali in senso opposto, di uno spostamento a destra, nella logica della guerra tra poveri. Questa crisi, per dimensioni, durata e profondità, è a tutti gli effetti una “crisi costituente”, che cambierà il panorama italiano; decisiva è la nostra iniziativa in relazione con la costruzione del movimento di massa.
Questo tema ci chiede di operare su più livelli.
In primo luogo è necessario costruire una efficace opposizione di sinistra. A mio parere questo tema lo si può affrontare unicamente a partire dalla piena autonomia dal Pd, che sui temi principali – penso al federalismo, la riforma della contrattazione, la riforma della giustizia – bene che vada è incapace di assumere una posizione efficace, male che vada assume posizioni sbagliate. La questione è come si costruisce una opposizione di sinistra che sappia, come abbiamo fatto a partire della manifestazione dell’11 ottobre, entrare in relazione positiva con le mobilitazioni della Cgil e del sindacalismo di base.
Importantissimo a questo riguardo è stato lo sciopero generale di Fiom e Funzione pubblica del 13 febbraio. Senza alcuna strumentalizzazione e nel pieno rispetto delle diverse autonomie, mi pare quindi evidente come il tema dell’opposizione abbia al suo centro proprio il lavoro unitario con la Cgil e il sindacalismo di base. Quindi il tema è quello della costruzione unitaria di un movimento di massa contro governo, Confindustria e – quando serve - Vaticano, come abbiamo fatto dopo Genova. Qui sta il tema politico dell’efficacia. Questo non richiede solo autonomia dal Pd, ma chiede di avere un progetto che sia da un lato di ricostruzione del senso della politica e dall’altro di uscita da sinistra dalla crisi. Per questo abbiamo proposto e continuiamo a proporre il coordinamento di tutte le forze di sinistra: massimo lavoro unitario nel rispetto delle proprie identità.
In secondo luogo occorre porsi l’obiettivo di ricostruire la credibilità della politica e l’utilità della sinistra. A partire dalla centralità della questione morale, questo per me vuol dire non essere accecati da una centralità ossessiva delle relazioni istituzionali, ma saper ridislocare la nostra azione nella società, sia nella costruzione del conflitto sia nella costruzione di forme di mutualismo. Quello che abbiamo chiamato il partito sociale. In questo lavoro di ricostruzione del conflitto e del tessuto sociale, dobbiamo collocare il progetto di uscita da sinistra della crisi. Occorre coniugare la battaglia per la redistribuzione del reddito e del potere con la proposta di un intervento pubblico centrato sulla riconversione ambientale e sociale dell’economia, sulla difesa del carattere pubblico dei beni comuni. La nostra parola d’ordine centrale deve essere: nessuno nella crisi deve restare solo, nessuno che perde il posto deve rimanere senza un reddito e vedere reciso il suo rapporto di lavoro, la cassa integrazione va estesa a tutti i tipi di lavoro. Intrecciare battaglia sindacale e programmazione economica indirizzata al fare i conti con i limiti ambientali allo sviluppo mi pare il nodo di fondo. In questo quadro, visto il ruolo che il razzismo e il sessismo hanno nella costruzione politica del blocco dominante, è evidente che non vi può essere alcuna separazione tra la lotta per la libertà e quella per l’uguaglianza, tra gli interessi materiali e i valori.
Per contrastare la guerra tra i poveri occorre fare inchiesta ed avere un solido impianto sindacale, politico e culturale, perché la partita si gioca su tutti i terreni contemporaneamente.
La proposta politica
Ricostruire una efficacia della sinistra nella lotta per costruire uno sbocco a sinistra dalla crisi è quindi il centro della nostra proposta politica. Ritengo infatti che la sconfitta della sinistra arcobaleno sia nata in primo luogo dall’inefficacia della nostra presenza nella maggioranza di Prodi rispetto alle aspettative di trasformazione che aveva suscitato la vittoria dell’Unione.
Occorre quindi ripartire dall’insediamento sociale per determinare uno spazio pubblico della politica che agisca dentro un orizzonte politico e culturale che si proponga di forzare la gabbia del bipolarismo. Ricostruire lo spazio pubblico di quello che un tempo era il movimento operaio. Non è solo un compito politico ma anche culturale: dentro la crisi dobbiamo far rivivere l’essenza del marxismo e cioè che il capitalismo non è un fenomeno naturale ma un prodotto storico e così lo è la sua crisi. Un prodotto storico che si può superare. Dobbiamo rompere l’universo simbolico omologato che hanno prodotto vent’anni di pensiero unico e anche a questo serve il nostre essere comunisti.
In questo quadro il tema dell’unità della sinistra non può diventare l’ossessione per il partito unico. I tempi dei partiti unici per fortuna sono finiti. Penso che quello di oggi sia il tempo del massimo di unità possibile nel lavoro politico, sociale, culturale nel rispetto delle differenze. Coniugare unità e rispetto delle differenze: questa è una delle lezioni che la sinistra dovrebbe imparare dal movimento delle donne.
Per questo ritengo completamente sbagliata la proposta di superamento di Rifondazione Comunista in nome di una costituente della sinistra e ritengo ancora più sbagliata la scissione attualmente in corso.
Non occorre essere dei veggenti per capire che dar vita oggi ad una costituente della sinistra vuol dire immediatamente permettere la realizzazione di una costituente comunista. Se questo accadesse è evidente che non solo Rifondazione Comunista si spezzerebbe (non solo organizzativamente ma il suo progetto politico verrebbe spezzato) ma la sinistra si dividerebbe per linee ideologiche; una sinistra innovativa, più moderata e alleata con il PD e una sinistra comunista, più radicale ma esclusa dal gioco politico. A mio parere questo sarebbe un disastro. E’ infatti evidente che non esiste nessuna proposta di costituente che sia in grado di convogliare in una sola forza politica quella che è la sinistra attuale, le sue diverse culture, ideologie, pratiche politiche. Il nodo è l’unità e il rispetto tra diversi non il tentativo forzoso o massmediatico di ridurre ad uno una realtà complessa.
Ovviamente la scissione in corso è ancora più sbagliata per tre motivi. In primo luogo perché intimamente contraddittoria: l’ennesima scissione fatta in nome dell’unità.
In secondo luogo perché disloca una parte delle forze di rifondazione in una area più moderata e subalterna al PD. In terzo luogo perché segna un deficit di cultura politico di una sinistra non in grado di fare i conti con la democrazia e con la possibilità che da un congresso si possa uscire in minoranza.
A mio parere è invece necessario costruire tra le forze della sinistra disponibili a costruire una alternativa al PD, una rete di relazioni stabili che facciano massa critica. Nella dialettica culturale e sociale come in quella politica. Se sul piano generale il tema è l’uscita a sinistra dalla crisi, sul piano strettamente politico il tema è la nostra capacità di forzare il bipolarismo. Lo dico perché dal ’96 ad oggi, questo è il tema con cui la sinistra di alternativa si è scontrata. Stritolata dentro la logica dell’alternanza perché subalterna quando in maggioranza e a rischio di scomparsa quando fuori dalla coalizione. Io credo che questo sia il problema politico di fase: come può vivere una sinistra anticapitalista in un contesto in cui – dati i rapporti di forza – il centro sinistra ha un profilo marcatamente moderato.
A me pare che questo tema non possa risolto con alchimie organizzative o semplicemente rimosso dentro un orizzonte tutto politicista. Io credo che dobbiamo sapere che questo problema non ha una soluzione immediata perché rimanda direttamente al tema dei rapporti di forza complessivi e nello specifico ai rapporti di forza tra centro sinistra e sinistra di alternativa. Penso cioè che dobbiamo praticare una linea politica che a partire dall’autonomia dal PD sia in grado di accumulare forze e capacità progettuale. Questo patrimonio, non credo possa essere immediatamente speso in una prospettiva di governo come ha fatto Rifondazione nel 2006. Credo cioè che occorra aver chiaro che per potersi misurare positivamente sul terreno del governo nazionale occorre avere rapporti di forza tra le due sinistre, se non rovesciati, almeno assai diversi dagli attuali.
Rilanciare la Rifondazione Comunista
In questo quadro io penso che il rilancio del progetto della rifondazione comunista sia un risorsa e non un ostacolo. Una risorsa perché senza una prospettiva chiaramente anticapitalistica è impossibile costruire una sinistra di alternativa. Rifondazione Comunista, la dialettica tra questi due termini è il punto costitutivo del nostro progetto, se se ne abbandona uno non esiste più, perché si qualificano a vicenda. Il comunismo parla della centralità della trasformazione sociale, dell’anticapitalismo. Rifondazione parla della necessità di imparare dai nostri errori nella storia del comunismo medesimo, proprio per non ripeterli e per abbandonare gli elementi negativi che in quella storia si sono manifestati, in primo luogo dove si è preso il potere. Ma non solo. Non è un caso che nel congresso abbiamo detto di no alla costituente di sinistra e di no alla costituente comunista. Perché entrambi questi progetti avrebbero sfigurato, annichilito, il progetto politico della rifondazione e la sinistra. Il rilancio della Rifondazione Comunista per me significa anche sottolineare la consapevolezza della non autosufficienza del Prc. Non si tratta solo di lavorare a coordinare la sinistra e l’opposizione, ma occorre riconoscere il pari valore delle mille forme di attività e iniziativa politica dell’associazionismo e dell’autorganizzazione, nonché dei diversi percorsi con cui si può maturare una scelta anticapitalista. In Italia, per esempio, salta agli occhi quella del volontariato cattolico e di matrice religiosa.
Mi fermo qui ma voglio chiudere sottolineando come proprio nella crisi emergano tutti i limiti del sistema capitalistico. Anche per questo – a mio parere - il rilancio del tema della transizione non è un orpello ideologico ma un punto di vista essenziale in una sinistra non annichilita.
Il centro del progetto politico di Rifondazione Comunista riguarda la capacità di intervenire efficacemente al fine di determinare una uscita a sinistra dalla crisi.
E’ infatti evidente come non automaticamente la crisi porti a sinistra. Anzi, sono prevalenti i segnali in senso opposto, di uno spostamento a destra, nella logica della guerra tra poveri. Questa crisi, per dimensioni, durata e profondità, è a tutti gli effetti una “crisi costituente”, che cambierà il panorama italiano; decisiva è la nostra iniziativa in relazione con la costruzione del movimento di massa.
Questo tema ci chiede di operare su più livelli.
In primo luogo è necessario costruire una efficace opposizione di sinistra. A mio parere questo tema lo si può affrontare unicamente a partire dalla piena autonomia dal Pd, che sui temi principali – penso al federalismo, la riforma della contrattazione, la riforma della giustizia – bene che vada è incapace di assumere una posizione efficace, male che vada assume posizioni sbagliate. La questione è come si costruisce una opposizione di sinistra che sappia, come abbiamo fatto a partire della manifestazione dell’11 ottobre, entrare in relazione positiva con le mobilitazioni della Cgil e del sindacalismo di base.
Importantissimo a questo riguardo è stato lo sciopero generale di Fiom e Funzione pubblica del 13 febbraio. Senza alcuna strumentalizzazione e nel pieno rispetto delle diverse autonomie, mi pare quindi evidente come il tema dell’opposizione abbia al suo centro proprio il lavoro unitario con la Cgil e il sindacalismo di base. Quindi il tema è quello della costruzione unitaria di un movimento di massa contro governo, Confindustria e – quando serve - Vaticano, come abbiamo fatto dopo Genova. Qui sta il tema politico dell’efficacia. Questo non richiede solo autonomia dal Pd, ma chiede di avere un progetto che sia da un lato di ricostruzione del senso della politica e dall’altro di uscita da sinistra dalla crisi. Per questo abbiamo proposto e continuiamo a proporre il coordinamento di tutte le forze di sinistra: massimo lavoro unitario nel rispetto delle proprie identità.
In secondo luogo occorre porsi l’obiettivo di ricostruire la credibilità della politica e l’utilità della sinistra. A partire dalla centralità della questione morale, questo per me vuol dire non essere accecati da una centralità ossessiva delle relazioni istituzionali, ma saper ridislocare la nostra azione nella società, sia nella costruzione del conflitto sia nella costruzione di forme di mutualismo. Quello che abbiamo chiamato il partito sociale. In questo lavoro di ricostruzione del conflitto e del tessuto sociale, dobbiamo collocare il progetto di uscita da sinistra della crisi. Occorre coniugare la battaglia per la redistribuzione del reddito e del potere con la proposta di un intervento pubblico centrato sulla riconversione ambientale e sociale dell’economia, sulla difesa del carattere pubblico dei beni comuni. La nostra parola d’ordine centrale deve essere: nessuno nella crisi deve restare solo, nessuno che perde il posto deve rimanere senza un reddito e vedere reciso il suo rapporto di lavoro, la cassa integrazione va estesa a tutti i tipi di lavoro. Intrecciare battaglia sindacale e programmazione economica indirizzata al fare i conti con i limiti ambientali allo sviluppo mi pare il nodo di fondo. In questo quadro, visto il ruolo che il razzismo e il sessismo hanno nella costruzione politica del blocco dominante, è evidente che non vi può essere alcuna separazione tra la lotta per la libertà e quella per l’uguaglianza, tra gli interessi materiali e i valori.
Per contrastare la guerra tra i poveri occorre fare inchiesta ed avere un solido impianto sindacale, politico e culturale, perché la partita si gioca su tutti i terreni contemporaneamente.
La proposta politica
Ricostruire una efficacia della sinistra nella lotta per costruire uno sbocco a sinistra dalla crisi è quindi il centro della nostra proposta politica. Ritengo infatti che la sconfitta della sinistra arcobaleno sia nata in primo luogo dall’inefficacia della nostra presenza nella maggioranza di Prodi rispetto alle aspettative di trasformazione che aveva suscitato la vittoria dell’Unione.
Occorre quindi ripartire dall’insediamento sociale per determinare uno spazio pubblico della politica che agisca dentro un orizzonte politico e culturale che si proponga di forzare la gabbia del bipolarismo. Ricostruire lo spazio pubblico di quello che un tempo era il movimento operaio. Non è solo un compito politico ma anche culturale: dentro la crisi dobbiamo far rivivere l’essenza del marxismo e cioè che il capitalismo non è un fenomeno naturale ma un prodotto storico e così lo è la sua crisi. Un prodotto storico che si può superare. Dobbiamo rompere l’universo simbolico omologato che hanno prodotto vent’anni di pensiero unico e anche a questo serve il nostre essere comunisti.
In questo quadro il tema dell’unità della sinistra non può diventare l’ossessione per il partito unico. I tempi dei partiti unici per fortuna sono finiti. Penso che quello di oggi sia il tempo del massimo di unità possibile nel lavoro politico, sociale, culturale nel rispetto delle differenze. Coniugare unità e rispetto delle differenze: questa è una delle lezioni che la sinistra dovrebbe imparare dal movimento delle donne.
Per questo ritengo completamente sbagliata la proposta di superamento di Rifondazione Comunista in nome di una costituente della sinistra e ritengo ancora più sbagliata la scissione attualmente in corso.
Non occorre essere dei veggenti per capire che dar vita oggi ad una costituente della sinistra vuol dire immediatamente permettere la realizzazione di una costituente comunista. Se questo accadesse è evidente che non solo Rifondazione Comunista si spezzerebbe (non solo organizzativamente ma il suo progetto politico verrebbe spezzato) ma la sinistra si dividerebbe per linee ideologiche; una sinistra innovativa, più moderata e alleata con il PD e una sinistra comunista, più radicale ma esclusa dal gioco politico. A mio parere questo sarebbe un disastro. E’ infatti evidente che non esiste nessuna proposta di costituente che sia in grado di convogliare in una sola forza politica quella che è la sinistra attuale, le sue diverse culture, ideologie, pratiche politiche. Il nodo è l’unità e il rispetto tra diversi non il tentativo forzoso o massmediatico di ridurre ad uno una realtà complessa.
Ovviamente la scissione in corso è ancora più sbagliata per tre motivi. In primo luogo perché intimamente contraddittoria: l’ennesima scissione fatta in nome dell’unità.
In secondo luogo perché disloca una parte delle forze di rifondazione in una area più moderata e subalterna al PD. In terzo luogo perché segna un deficit di cultura politico di una sinistra non in grado di fare i conti con la democrazia e con la possibilità che da un congresso si possa uscire in minoranza.
A mio parere è invece necessario costruire tra le forze della sinistra disponibili a costruire una alternativa al PD, una rete di relazioni stabili che facciano massa critica. Nella dialettica culturale e sociale come in quella politica. Se sul piano generale il tema è l’uscita a sinistra dalla crisi, sul piano strettamente politico il tema è la nostra capacità di forzare il bipolarismo. Lo dico perché dal ’96 ad oggi, questo è il tema con cui la sinistra di alternativa si è scontrata. Stritolata dentro la logica dell’alternanza perché subalterna quando in maggioranza e a rischio di scomparsa quando fuori dalla coalizione. Io credo che questo sia il problema politico di fase: come può vivere una sinistra anticapitalista in un contesto in cui – dati i rapporti di forza – il centro sinistra ha un profilo marcatamente moderato.
A me pare che questo tema non possa risolto con alchimie organizzative o semplicemente rimosso dentro un orizzonte tutto politicista. Io credo che dobbiamo sapere che questo problema non ha una soluzione immediata perché rimanda direttamente al tema dei rapporti di forza complessivi e nello specifico ai rapporti di forza tra centro sinistra e sinistra di alternativa. Penso cioè che dobbiamo praticare una linea politica che a partire dall’autonomia dal PD sia in grado di accumulare forze e capacità progettuale. Questo patrimonio, non credo possa essere immediatamente speso in una prospettiva di governo come ha fatto Rifondazione nel 2006. Credo cioè che occorra aver chiaro che per potersi misurare positivamente sul terreno del governo nazionale occorre avere rapporti di forza tra le due sinistre, se non rovesciati, almeno assai diversi dagli attuali.
Rilanciare la Rifondazione Comunista
In questo quadro io penso che il rilancio del progetto della rifondazione comunista sia un risorsa e non un ostacolo. Una risorsa perché senza una prospettiva chiaramente anticapitalistica è impossibile costruire una sinistra di alternativa. Rifondazione Comunista, la dialettica tra questi due termini è il punto costitutivo del nostro progetto, se se ne abbandona uno non esiste più, perché si qualificano a vicenda. Il comunismo parla della centralità della trasformazione sociale, dell’anticapitalismo. Rifondazione parla della necessità di imparare dai nostri errori nella storia del comunismo medesimo, proprio per non ripeterli e per abbandonare gli elementi negativi che in quella storia si sono manifestati, in primo luogo dove si è preso il potere. Ma non solo. Non è un caso che nel congresso abbiamo detto di no alla costituente di sinistra e di no alla costituente comunista. Perché entrambi questi progetti avrebbero sfigurato, annichilito, il progetto politico della rifondazione e la sinistra. Il rilancio della Rifondazione Comunista per me significa anche sottolineare la consapevolezza della non autosufficienza del Prc. Non si tratta solo di lavorare a coordinare la sinistra e l’opposizione, ma occorre riconoscere il pari valore delle mille forme di attività e iniziativa politica dell’associazionismo e dell’autorganizzazione, nonché dei diversi percorsi con cui si può maturare una scelta anticapitalista. In Italia, per esempio, salta agli occhi quella del volontariato cattolico e di matrice religiosa.
Mi fermo qui ma voglio chiudere sottolineando come proprio nella crisi emergano tutti i limiti del sistema capitalistico. Anche per questo – a mio parere - il rilancio del tema della transizione non è un orpello ideologico ma un punto di vista essenziale in una sinistra non annichilita.
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