di Dino Greco, direttore di Liberazione
Guardiamo la questione da un altro punto di osservazione. Quello degli imprenditori, presi non individualmente, ma nella loro dimensione associativa. Diciamo pure come classe. Una classe che, ripetutamente in questi anni, ha voluto interpretare in proprio gli interessi generali del Paese, avanzando ricette e pretese su tutto e su tutti, dando prova di un’ inesauribile voracità: verso i lavoratori, e verso i loro sindacati innanzitutto, ai quali sono state imposte (con successo) silenziosa acquiescienza, flessibilità, complicità addirittura, per favorire la ripresa di un ingranaggio produttivo totalmente inceppato; sui governi e sul Parlamento, a cui hanno chiesto (con altrettanto e ancor più clamoroso successo) di segare un già precario sistema di protezione sociale per trasferire a sé stessi ingenti risorse pubbliche, poi non esattamente destinate, come abbiamo visto nel recente passato, ad un uso virtuoso, considerata la drastica caduta degli investimenti produttivi.
Bene: questi millantatori di un ruolo di tutela degli interessi della nazione non sono in grado, sempre nella loro dimensione associativa, di proferire una sola parola su quanto sta avvenendo all’Innse di Lambrate.
Confindustria, Assolombarda restano mute come pesci. Sono certo che neppure sono sfiorate dal dubbio che competerebbe loro dire qualcosa, farsi carico di una qualche responsabilità circa la rovinosa performance imprenditoriale che sta distruggendo una fabbrica sana, dal nome prestigioso, umiliando i suoi operai ed un’intera cittadinanza.
Ecco: qui l’interesse generale, non più presunto ma reale, scompare. Fa testo - e detta legge - solo la volontà, quale che sia, del singolo padrone cui tutto si deve lasciar fare. Anche se si ha di fronte il più squalificato speculatore. Ovviamente, questa ineffabile noncuranza, nel nome della libertà, la sola legittima, quella sacrale dell’impresa, che sovrasta e rimuove qualsiasi altro diritto. Eppure, in questa sconcertante vicenda, la cosa più stupefacente è l’assordante silenzio delle istituzioni, che invece del bene comune dovrebbero a buon titolo essere - sentirsi!- rappresentanti. Invece esse stanno pilatescamente lasciando che un pugno di operai faccia, in
drammatica solitudine, quello di cui esse dovrebbero rendersi interpreti.
Vi è da chiedersi quali sotterranei interessi, quali inconfessabili calcoli paralizzino le amministrazioni locali, a partire dal comune di Milano, per arrivare alla potente giunta regionale lombarda. Oppure se tanta colpevole ignavia sia semplicemente il prodotto della convinzione che nel conflitto sociale sono i lavoratori, sempre e comunque, a dover soccombere.
Allora, nuovamente, torniamo ad insistere: signori, tocca a voi agire. Ne avete gli strumenti: requisite l’Innse. Obbligate Genta ad abbassare la cresta. Create le condizioni per un negoziato che porti finalmente alla ripresa dell’attività: con altri imprenditori, come pare ve ne siano;oppure attraverso la mano pubblica; oppure ancora, semmai ve ne fosse la disponibilità dei diretti interessati, in una forma autogestita, che le istituzioni locali hanno tutta la possibilità di sostenere, politicamente ed economicamente. Sarebbe un segnale vero, un chiaro cambiamento di passo, un po’ di aria pulita in questo disastrato Paese.
Guardiamo la questione da un altro punto di osservazione. Quello degli imprenditori, presi non individualmente, ma nella loro dimensione associativa. Diciamo pure come classe. Una classe che, ripetutamente in questi anni, ha voluto interpretare in proprio gli interessi generali del Paese, avanzando ricette e pretese su tutto e su tutti, dando prova di un’ inesauribile voracità: verso i lavoratori, e verso i loro sindacati innanzitutto, ai quali sono state imposte (con successo) silenziosa acquiescienza, flessibilità, complicità addirittura, per favorire la ripresa di un ingranaggio produttivo totalmente inceppato; sui governi e sul Parlamento, a cui hanno chiesto (con altrettanto e ancor più clamoroso successo) di segare un già precario sistema di protezione sociale per trasferire a sé stessi ingenti risorse pubbliche, poi non esattamente destinate, come abbiamo visto nel recente passato, ad un uso virtuoso, considerata la drastica caduta degli investimenti produttivi.
Bene: questi millantatori di un ruolo di tutela degli interessi della nazione non sono in grado, sempre nella loro dimensione associativa, di proferire una sola parola su quanto sta avvenendo all’Innse di Lambrate.
Confindustria, Assolombarda restano mute come pesci. Sono certo che neppure sono sfiorate dal dubbio che competerebbe loro dire qualcosa, farsi carico di una qualche responsabilità circa la rovinosa performance imprenditoriale che sta distruggendo una fabbrica sana, dal nome prestigioso, umiliando i suoi operai ed un’intera cittadinanza.
Ecco: qui l’interesse generale, non più presunto ma reale, scompare. Fa testo - e detta legge - solo la volontà, quale che sia, del singolo padrone cui tutto si deve lasciar fare. Anche se si ha di fronte il più squalificato speculatore. Ovviamente, questa ineffabile noncuranza, nel nome della libertà, la sola legittima, quella sacrale dell’impresa, che sovrasta e rimuove qualsiasi altro diritto. Eppure, in questa sconcertante vicenda, la cosa più stupefacente è l’assordante silenzio delle istituzioni, che invece del bene comune dovrebbero a buon titolo essere - sentirsi!- rappresentanti. Invece esse stanno pilatescamente lasciando che un pugno di operai faccia, in
drammatica solitudine, quello di cui esse dovrebbero rendersi interpreti.
Vi è da chiedersi quali sotterranei interessi, quali inconfessabili calcoli paralizzino le amministrazioni locali, a partire dal comune di Milano, per arrivare alla potente giunta regionale lombarda. Oppure se tanta colpevole ignavia sia semplicemente il prodotto della convinzione che nel conflitto sociale sono i lavoratori, sempre e comunque, a dover soccombere.
Allora, nuovamente, torniamo ad insistere: signori, tocca a voi agire. Ne avete gli strumenti: requisite l’Innse. Obbligate Genta ad abbassare la cresta. Create le condizioni per un negoziato che porti finalmente alla ripresa dell’attività: con altri imprenditori, come pare ve ne siano;oppure attraverso la mano pubblica; oppure ancora, semmai ve ne fosse la disponibilità dei diretti interessati, in una forma autogestita, che le istituzioni locali hanno tutta la possibilità di sostenere, politicamente ed economicamente. Sarebbe un segnale vero, un chiaro cambiamento di passo, un po’ di aria pulita in questo disastrato Paese.
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