"Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada" Majakovskij

Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
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06 febbraio 2009

Unità del PRC per ricomporre la diaspora

di Claudio Grassi - segreteria nazionale Prc

A distanza di pochi mesi dal congresso nazionale di Rifondazione Comunista tutto è più chiaro. Ciò che appariva avvolto nelle nebbie dell'indefinito (il «processo costituente», «la sinistra senza aggettivi», «la nuova soggettività politica») oggi ha un nome («Movimento per la Sinistra») e un primo gruppo dirigente votato da un'assemblea.
L'obiettivo immediato è dare vita ad un nuovo partito che si presenti alle prossime elezioni (europee e amministrative) in concorrenza con il Prc. Quello a medio termine, per esplicita ammissione di suoi autorevoli esponenti, è disarticolare il Partito democratico e costruire un nuovo soggetto politico con a capo Massimo D'Alema.
Da questi dati di fatto evinco alcune riflessioni.
La prima: per mesi siamo stati accusati di agitare fantasmi e siamo stati inchiodati ad un dibattito nominalistico alquanto stucchevole sulle differenze tra scioglimento, superamento e dissoluzione del Prc. Durante il congresso molti compagni hanno sostenuto il documento di Nichi Vendola proprio perché rassicurati in ordine alla persistenza politica e organizzativa del partito. Oggi possiamo dire che, per raccogliere consensi tra la "base", non si è voluto esplicitare chiaramente e limpidamente il proprio progetto politico. E' quindi del tutto naturale che molti iscritti, che nei congressi avevano votato la mozione Vendola, oggi non abbiano nessuna intenzione di uscire dal partito.
La seconda: il progetto scissionista che prende corpo in questi giorni è profondamente debole, perché fondato sul paradosso di voler unificare la sinistra separandosi da Rifondazione Comunista che comunque resta, pur con tutti i suoi limiti, il partito più rappresentativo della sinistra stessa e spaccando tanto l'area congressuale che si era raccolta a Chianciano intorno al documento «Rifondazione per la Sinistra», quanto l'assemblea che si era convocata allo scopo di formalizzare la scissione.
La terza riflessione è forse la più semplice, perché emerge con tutta evidenza dai propositi di chi è uscito da Rifondazione. La costruzione di un nuovo partito della sinistra (a maggior ragione nella variante che lo vedrebbe scaturire direttamente dalle contraddizioni interne del Partito democratico) è funzionale alla definizione di un quadro di rapporti che vedrebbe gravitare la nuova formazione politica nell'orbita del Partito democratico e del Socialismo Europeo. Con il carico di subalternità strutturale che sarebbe facile prevedere. Ma allora perché avere investito vent'anni nella rifondazione comunista? Perché avere investito nel progetto di rifondare un partito comunista respingendo all'epoca le sirene occhettiane di un soggetto della sinistra socialdemocratica?
Anche il recente esperimento elettorale dell'Arcobaleno (che alludeva implicitamente al superamento del Prc qualora l'esperimento avesse funzionato) non fa, inoltre, che confermare il destino fallimentare di qualsiasi impresa affine: moderata sul piano politico (non a caso al fondo di quell'impresa si continua a rimuovere la ragione principale della nostra sconfitta e cioè la nostra esperienza di governo) e post-comunista sul terreno dell'identità (con l'aggravante che per giustificare tutto questo si è voluto denigrare il Prc usando argomenti talmente grossolani da rendere scarsamente credibili coloro che li hanno proposti prima ancora di quanti sono stati i destinatari di quelle critiche).
Proviamo a pensare cosa sarebbe successo se, invece che produrre sei scissioni in diciotto anni, le ragioni di dissenso che le hanno motivate si fossero ricomposte all'interno di una dialettica del Partito della Rifondazione Comunista. Sarebbe oggi più debole o più forte la sinistra nel suo complesso? Sarebbe più lontana o più vicina la prospettiva di unificare la sinistra politica e sociale del nostro Paese?
Ciò di cui abbiamo bisogno è altro. Dismettere la supponenza di chi ritiene di essere Dio in terra. Di essere il depositario della "innovazione" (i cui risultati, però, non si accetta mai di sottoporre a verifica) e in nome di ciò poter perennemente denigrare i percorsi altrui. Rifondazione Comunista - che può essere criticata per mille motivi e che negli ultimi anni ha teso ad emarginare le minoranze (chi scrive ne sa qualcosa) - ha comunque un funzionamento democratico ed è attraverso un congresso democratico che si è dotata di una linea politica che è il frutto di un dibattito e, alla fine, di una sintesi tra posizioni differenti che, appunto democraticamente, si confrontano.
È un presupposto che vale per quei compagni che ancora sono esposti nel limbo che si è creato dall'ambigua oscillazione tra intenti scissionisti e propositi di restare nel nostro partito e, ancor di più, per noi e per quei compagni che hanno scelto di investire nel Prc. La storia politica italiana degli ultimi vent'anni dimostra che non c'è unità della sinistra senza unità del suo partito più forte. Noi siamo disposti a ribadirlo proponendo a tutta la diaspora della sinistra anticapitalista e comunista di entrare o rientrare nel Prc, disponibili a costruire assieme il suo nuovo profilo e proponendo a tutte e a tutti la gestione unitaria e la direzione collegiale del Partito.

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