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Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
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05 agosto 2008

Quando l'immaginazione fa brutti scherzi

di Alberto Burgio - da Il manifesto del 3 agosto 2008


Immaginiamo una società in cui lo sfruttamento del lavoro dipendente si radicalizza travolgendo diritti e regole stabilite in fasi storiche segnate da robusti conflitti di classe. Una società nella quale i sindacati rischiano di trasformarsi in enti parastatali incaricati di contribuire alla realizzazione delle direttive del governo. Una società nella quale agli stranieri - solo a loro - vengono rilevate le impronte digitali sin da bambini. Una società che estromette gli stranieri dalle pensioni sociali, dalle prestazioni sanitarie, dalla possibilità di avere un tetto sopra la testa, minacciando la confisca degli immobili affittati ai «clandestini».
Immaginiamo una società nella quale la scuola e l'università pubbliche sono strangolate dalla carenza di risorse finanziarie, mentre si addita loro l'aurea via della privatizzazione. Una società in cui il modello delle istituzioni universitarie è un «centro di eccellenza» controllato dal governo. E nella quale i costi dell'istruzione garantiscono il ferreo rispetto delle logiche di casta. Una società che strangola le voci fuori dal coro, a cominciare dai giornali non asserviti, che rischiano di raccontare una realtà diversa da quella ufficiale. Una società in cui l'80% dell'informazione e il 90% della raccolta pubblicitaria sono saldamente in mano ai due maggiori gruppi di potere politico-imprenditoriale, uno dei quali di proprietà del capo del governo. Già che ci siamo, immaginiamo che in questa società il Parlamento si blindi in modo da escludere le forze politiche «incompatibili». Garantendo che non si dibatta d'altro che di amministrazione, di governance, e di leggi su misura per politici di rango inquisiti o inquirendi. E che - a scanso di equivoci - le città si riempiano di soldati e i tribunali sanciscano il diritto della polizia di massacrare e torturare chi ancora osi manifestare contro la «democrazia che decide».
Immaginiamo. Si converrà che - ove mai esistesse - una società di tal fatta desterebbe le più vive preoccupazioni presso qualsiasi democratico. Lungi da noi l'intenzione di riaprire l'infinita querelle sulle possibili riedizioni del fascismo. Consideriamo ineludibili le lezioni di Collotti e di Kühnl e consigliamo per gli ozi estivi la lettura dell'ultimo Laqueur. Ma, come diceva un vecchio saggio, a non leggere non succede niente. Il punto è che lo scenario immaginato non appare affatto tranquillizzante.
Certo, oggi non usciamo da un conflitto mondiale e non registriamo una fibrillazione sociale europea simile a quella scaturita dall'Ottobre bolscevico. Non siamo al cospetto di un diffuso conflitto tra imperialismi, né è più il tempo dei nazionalismi aggressivi. In compenso il razzismo continua a svolgere il suo ruolo di discriminazione, la guerra continua a rappresentare la via d'uscita dalla crisi di accumulazione e le disuguaglianze tra le classi sono tornate ai livelli del '29 (fonte Financial Times). L'ideologia che ha predicato le virtù di autoregolazione del libero mercato è ormai alla frutta e spiana la strada a un nuovo «ritorno del politico». Per di più, l'ambiente è al collasso, il che certo non facilita la ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti delle società «avanzate». Insomma, la situazione è seria e raccomanda a ciascuno di fare la sua parte a difesa dello Stato di diritto, della Costituzione e del pluralismo politico. Rinunciando a replicare alle europee il giochetto delle ultime politiche, quando ci si è allegramente sbarazzati della sinistra sfruttando gli sbarramenti posti da una legge-porcata. Nel caso del fascismo ci fu un solo momento in cui Mussolini si giocò il tutto per tutto. In occasione dell'assassinio di Matteotti il regime vacillò per davvero, poiché fu chiaro che minacciava anche i ceti medi e le fragili conquiste dello Stato liberale. Poi tutto si richiuse, fino alla guerra.
Riflettano dunque bene i nostri odierni «democratici», sempreché i nomi in politica abbiano ancora un senso. Ma riflettano anche, a sinistra, i pervicaci teorici dell'inutilità dei partiti, gli eterni innamorati della «società civile». L'idea che si possa contrastare la destra curando reti di relazioni «sul territorio» e disertando il terreno istituzionale è figlia della stessa ideologia che vorrebbe combattere. Non c'è una società autosufficiente, estranea alla politica che la governa e immune per grazia divina dai suoi vizi. Chi lo crede mostra di non saper rinunciare alle favole del liberalismo. Predica una radicale alterità ma pone le premesse per una stabile subordinazione. Noi ci fermiamo qui. Gramsci, che non faceva sconti, parlò in proposito di «primitivismo».

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