di Dino Greco, Direttore di Liberazione
Ci sarà molto su cui riflettere, quando lo stato di assoluta emergenza sarà superato e quando la primaria necessità di dedicare ogni sforzo al soccorso delle popolazioni aquilane permetterà un'analisi più istruita delle ragioni che hanno trasformato il terremoto d'Abruzzo nell'ennesima, per nulla inevitabile, catastrofe umanitaria. Sappiamo che l'impegno solidale, la generosità spontanea di tante persone, associazioni, corpi di volontari non mancherà. Del resto, è già visibile, ed è una risorsa di cui, per fortuna, questo Paese non è privo. E tuttavia, mentre le proporzioni del disastro crescono di ora in ora e mentre le cifre di quanti mancano all'appello lasciano intuire quanto l'elenco dei morti sia ancora provvisorio, è necessario tornare, subito, su alcune questioni di fondo. Perché l'invito a "non fare chiacchiere" ("sciacallaggio", dice chi ha la coda di paglia) nell'ora del bisogno, nasconde il cinismo di quanti vorrebbero sbarazzarsi di evidenti, reiterate inefficienze, ritardi, irresponsabilità, occultandoli dietro massicce dosi di retorica. In Italia abbiamo «piccoli terremoti e pessime case», ha ricordato il Presidente del Comitato grandi sismi della Protezione civile, Giuseppe Zamberletti. Si pensi alla casa dello studente o all'ospedale aquilani. La "notizia" è che il solo edificio pubblico dotato di requisiti antisismici, la palestra, è rimasto integro. In California - infierisce Franco Barberi, Presidente onorario della Commissione alti rischi - «un sisma simile non avrebbe causato un solo morto». Insomma, che il patrimonio edilizio di questo Paese sia totalmente vulnerabile e che nessuna precauzione sia stata mai, dicasi mai, adottata, neppure nelle zone a più alto rischio è oppure no un fatto di gravità senza pari? E c'è di peggio se Patrizio Signanini, docente di geofisica presso l'Università di Chieti, rivela ieri a La Repubblica che «la zona dell'Aquilano è segnata in categoria uno nelle mappe sismiche», ma «per la regione è urbanisticamente nel livello due, che non impone costruzioni speciali».
Allora si capisce perché a crollare come castelli di sabbia siano edifici di recente fabbricazione, e non soltanto le vecchie case del centro storico o quelle dei paesi di più antico insediamento che pure avrebbero dovuto essere messe in sicurezza. D'altra parte, il comportamento della regione Abruzzo è perfettamente in linea con la latitanza del governo centrale. E' il Sole 24 ore di ieri che documenta come l'impegno solennemente assunto da Berlusconi dopo il sisma del 2002 in Molise, nel quale perirono 27 bambini sepolti sotto le macerie della scuola di San Giuliano di Puglia, sia finito nel nulla. Il decreto che conteneva dettagliate prescrizioni per la costruzione dei nuovi edifici e per la messa in sicurezza di quelli esistenti è naufragato, nelle mani dei governi che si sono alternati alla guida del Paese. Di proroga in proroga, di rinvio in rinvio. La verità è che dentro vicende drammatiche come questa si specchia la realtà di un Paese che ha adottato il "laissez faire", la deregolazione, in ogni campo, come metodo: brodo di coltura della speculazione edilizia, come della devastazione ambientale, dei profitti lucrati sulla elusione delle norme antinfortunistiche, come dell'evasione fiscale. Raccontano che, in definitiva, la politica altro non è che lo specchio della società, di cui essa non fa che mettere in scena i vizi su una più visibile ribalta. Può darsi che ci sia qualcosa di vero in questa peraltro autoassolutoria rappresentazione. Salvo che la politica dovrebbe coltivare un'ambizione pedagogica, piuttosto che inseguire l'opportunismo, lo spregiudicato affarismo e farsi lievito dei peggiori istinti predatori. Guardiamo poi al davvero grande moto di spontanea seppur disordinata solidarietà che da ogni dove si stringe attorno alle popolazioni colpite. E confrontiamolo con le disfunzioni - malgrado la prosopopea di cui è circondata - della nostra Protezione civile. «Fra le più efficienti del mondo», si dice. Ma, ad Onna distrutta, i sopravvissuti non potevano contare neppure su una tenda dove pernottare. Venti ore dopo il sisma.
Ci sarà molto su cui riflettere, quando lo stato di assoluta emergenza sarà superato e quando la primaria necessità di dedicare ogni sforzo al soccorso delle popolazioni aquilane permetterà un'analisi più istruita delle ragioni che hanno trasformato il terremoto d'Abruzzo nell'ennesima, per nulla inevitabile, catastrofe umanitaria. Sappiamo che l'impegno solidale, la generosità spontanea di tante persone, associazioni, corpi di volontari non mancherà. Del resto, è già visibile, ed è una risorsa di cui, per fortuna, questo Paese non è privo. E tuttavia, mentre le proporzioni del disastro crescono di ora in ora e mentre le cifre di quanti mancano all'appello lasciano intuire quanto l'elenco dei morti sia ancora provvisorio, è necessario tornare, subito, su alcune questioni di fondo. Perché l'invito a "non fare chiacchiere" ("sciacallaggio", dice chi ha la coda di paglia) nell'ora del bisogno, nasconde il cinismo di quanti vorrebbero sbarazzarsi di evidenti, reiterate inefficienze, ritardi, irresponsabilità, occultandoli dietro massicce dosi di retorica. In Italia abbiamo «piccoli terremoti e pessime case», ha ricordato il Presidente del Comitato grandi sismi della Protezione civile, Giuseppe Zamberletti. Si pensi alla casa dello studente o all'ospedale aquilani. La "notizia" è che il solo edificio pubblico dotato di requisiti antisismici, la palestra, è rimasto integro. In California - infierisce Franco Barberi, Presidente onorario della Commissione alti rischi - «un sisma simile non avrebbe causato un solo morto». Insomma, che il patrimonio edilizio di questo Paese sia totalmente vulnerabile e che nessuna precauzione sia stata mai, dicasi mai, adottata, neppure nelle zone a più alto rischio è oppure no un fatto di gravità senza pari? E c'è di peggio se Patrizio Signanini, docente di geofisica presso l'Università di Chieti, rivela ieri a La Repubblica che «la zona dell'Aquilano è segnata in categoria uno nelle mappe sismiche», ma «per la regione è urbanisticamente nel livello due, che non impone costruzioni speciali».
Allora si capisce perché a crollare come castelli di sabbia siano edifici di recente fabbricazione, e non soltanto le vecchie case del centro storico o quelle dei paesi di più antico insediamento che pure avrebbero dovuto essere messe in sicurezza. D'altra parte, il comportamento della regione Abruzzo è perfettamente in linea con la latitanza del governo centrale. E' il Sole 24 ore di ieri che documenta come l'impegno solennemente assunto da Berlusconi dopo il sisma del 2002 in Molise, nel quale perirono 27 bambini sepolti sotto le macerie della scuola di San Giuliano di Puglia, sia finito nel nulla. Il decreto che conteneva dettagliate prescrizioni per la costruzione dei nuovi edifici e per la messa in sicurezza di quelli esistenti è naufragato, nelle mani dei governi che si sono alternati alla guida del Paese. Di proroga in proroga, di rinvio in rinvio. La verità è che dentro vicende drammatiche come questa si specchia la realtà di un Paese che ha adottato il "laissez faire", la deregolazione, in ogni campo, come metodo: brodo di coltura della speculazione edilizia, come della devastazione ambientale, dei profitti lucrati sulla elusione delle norme antinfortunistiche, come dell'evasione fiscale. Raccontano che, in definitiva, la politica altro non è che lo specchio della società, di cui essa non fa che mettere in scena i vizi su una più visibile ribalta. Può darsi che ci sia qualcosa di vero in questa peraltro autoassolutoria rappresentazione. Salvo che la politica dovrebbe coltivare un'ambizione pedagogica, piuttosto che inseguire l'opportunismo, lo spregiudicato affarismo e farsi lievito dei peggiori istinti predatori. Guardiamo poi al davvero grande moto di spontanea seppur disordinata solidarietà che da ogni dove si stringe attorno alle popolazioni colpite. E confrontiamolo con le disfunzioni - malgrado la prosopopea di cui è circondata - della nostra Protezione civile. «Fra le più efficienti del mondo», si dice. Ma, ad Onna distrutta, i sopravvissuti non potevano contare neppure su una tenda dove pernottare. Venti ore dopo il sisma.
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