"Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada" Majakovskij

Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Circolo "Lucio Libertini" Montecchio Emilia
prc.montecchio@gmail.com
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30 giugno 2009

Ferrero e Amato: Honduras, pieno sostegno al presidente Zelaya contro il colpo di Stato

Il Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea esprime la sua ferma condanna contro il colpo di Stato messo in atto dai militari contro il governo ed il presidente costituzionale dell'Honduras Manuel Zelaya. Un tentativo fomentato dai poteri forti del Paese ed eseguito dalle Forze Armate che riporta l'America Latina alle pagine più buie della sua storia, quella dei colpi di stato e delle dittature sorrette dai militari.

Con l'uso della forza i militari e i poteri forti dell'Honduras cercano di impedire l'attuazione dei risultati del referendum elettorale del 28 giugno che mirava a dare vita ad una Assemblea costituente, democratizzare il sistema politico e consentire alle organizzazioni di base, comunitarie e sindacali una maggiore partecipazione nel processo di trasformazione dello Stato e dell'economia.

L' obiettivo dei militari e delle destre è quello di impedire la trasformazione politica e sociale a favore degli ultimi, l'integrazione politica ed economica dei paesi del continente latinoamericano e quello di salvaguardare gli interessi dell'oligarchia locale, delle multinazionali statunitensi ed europee.

Il Prc-Se esprime piena solidarietà al presidente Zelaya chiedendo che possa ritornare al più presto al suo posto nel suo Paese e al popolo honduregno, nella sua battaglia per la sovranità e l' indipendenza.

Honduregni a testa alta per la democrazia - da www.peacereporter.it

25 giugno 2009

Iran: sostegno alla rivolta, non a Mousavi

di Fabio Amato, Resp. Esteri PRC-SE

L'Iran, dal 12 giugno, è scosso da manifestazioni senza precedenti. Migliaia di giovani e non solo, sono scesi in piazza contro elezioni secondo loro truccate, sfidando persino i divieti della guida suprema e la certezza della brutale repressione. Sono motivati da un desiderio di cambiamento che va ben al di là delle promesse del candidato Mousavi, impropriamente definito moderato o riformista dai media occidentali. Media dalla memoria corta, o proprio senza memoria. Mousavi, il "moderato", non è un personaggio esterno al regime degli Ayatollah, ma una delle sue varianti. E' stato primo ministro negli anni 80, quelli della repressione del regime khomeinista nei confronti delle forze politiche di opposizione, secolari, laiche e progressiste. Fra questi i comunisti, decimati, fucilati a migliaia dal "moderato" Mousavi. E' stato il primo ministro che ha gestito l'affare Iran-Contras. Per questo viene spacciato come moderato, in quanto la categoria di moderato, in occidente, si applica a coloro i quali sono disponibili a fare affari, non alla democrazia o alla libertà, variabili del tutto dipendenti dagli interessi delle potenze occidentali, che si applicano a seconda dei casi. Vedasi i "moderati" Mubarak, Ben Ali, o i governanti Sauditi.
Le elezioni iraniane, per tentare di fare un esempio improprio, ma che dà il senso delle distanze reali fra i due maggiori contendenti alla Presidenza della Repubblica, assomiglierebbero ad una scelta, in Italia, fra Gasparri e Schifani. A voi la scelta su chi definire riformista o moderato tra i due. Varrebbe la pena di farsi massacrare per uno dei due? No, evidentemente. E' quindi ben altro ciò che muove questa rivolta, che sfugge di mano anche a chi magari pensava di usarla per un regolamento di conti interno al regime.
Fra i Palazzi del potere della Repubblica islamica si è aperto uno scontro che sullo sfondo delle manifestazioni di questi giorni sta ridefinendo la mappa del potere interna al regime. In cui le chiavi sono nelle mani della guida suprema, al Khameini, incalzato dal potentissimo Rasfajani, alla guida dell'assemblea degli esperti, l'organismo che potrebbe, secondo l'ordinamento della Repubblica Islamica, rimuovere Khameini. Per questo non è facile prevedere come finirà questa rivolta. Se basterà un accordo di vertice a mettere fine alle mobilitazioni, lasciando che tutto si risolva nel perimetro della teocrazia, o se le rivolte intaccheranno in modo irreversibile il carattere del regime degli Ayatollah.
Non a caso in queste ore si cerca di dividere coloro i quali manifestano per un disappunto riguardante i brogli, e coloro che, invece, definiti provocatori, aspirano ad un radicale cambiamento del regime e della sua natura teocratica. Se è vero che nelle mobilitazioni emerge una frattura anche sociale, fra la popolazione urbana, la classe media e il resto del paese, sarà il comportamento dei lavoratori, dei più poveri del Paese a decidere le sorti di questa rivolta, la più imponente dai giorni della rivoluzione ad oggi.
Lo sciopero generale è la carta che si tenterà di giocare per saldare la popolazione delle città con il resto della Persia. Non sarà semplice, poiché, come ricordava un saldatore in un reportage su Repubblica del 12 Giugno: «Voi venite da Teheran nord e non potete capire». «Ahmadinejad ha aumentato del 50% le pensioni. Mio padre ora riesce a campare con 458mila tuman (380 euro). Prima ne prendeva 270mila. Ha permesso agli artigiani di venir curati gratis in caso di infortuni sul lavoro».
Ahmadinejad inoltre è un baluardo dei militari, dei pasdaran, che hanno goduto, a scapito del clero sciita, dei benefici donati loro dal loro uomo alla presidenza. E' stato però anche protagonista di politiche economiche che hanno creato aumento dell'inflazione, della disoccupazione, producendo non pochi conflitti e resistenze in questi anni, fra cui lo sciopero dei bazari.
Ma le ragazze e i ragazzi che manifestano per le strade di Teheran, non sono mossi da forze esterne. Questa esplosione di rabbia nasce all'interno della società iraniana, una società molto più complessa e articolata di quanto si pensi. Aspirano a poter rompere la gabbia di un potere religioso che soffoca qualsiasi istanza di libertà. Di liberarsi da una democrazia controllata e da un regime in cui l'ultima parola spetta non al popolo, ma al clero.
Non si tratta, per le forze progressiste e comuniste, di schierarsi con uno o l'altro dei contendenti dello scontro elettorale. Si tratta di sostenere il popolo iraniano, nella sua legittima ribellione contro il regime teocratico.

23 giugno 2009

Documento approvato dal Comitato Politico Nazionale del 13-14 giugno

Il quadro in cui ci muoviamo

Il risultato delle elezioni a livello europeo vede una vittoria dei partiti di destra, l'emergere prepotente di destre estreme, nazionaliste e razziste, una tenuta delle forze della sinistra di alternativa e la sconfitta pesante delle socialdemocrazie. Il progetto strategico delle socialdemocrazie europee che hanno condiviso con le destre la linea liberista che ha caratterizzato l'Europa viene sonoramente sconfitto. La crisi derivante dalle politiche liberiste sta quindi
producendo un ulteriore spostamento a destra dell'asse dell'Europa. Questa situazione enfatizza la necessità di rafforzare di molto il progetto della sinistra europea al fine di produrre una alternativa a livello continentale che ci permetta di essere efficaci nel contrastare sia le politiche liberiste che gli effetti devastanti delle stesse in termini di guerre tra i poveri.

A livello italiano, le elezioni hanno determinato l'indebolimento dei due progetti estremi di scardinamento istituzionale. Da un lato Berlusconi non ottiene il plebiscito che aveva cercato e vede indebolirsi il suo progetto eversivo di scardinamento della Costituzione. Questo non significa però che la destra esca indebolita dalle elezioni, anzi. La Lega esce rafforzata dalla consultazione e diventa sempre più il catalizzatore delle paure sociali che in altri paesi trovano il loro punto di riferimento in partiti di estrema destra fino ad ora extraistituzionali.
Dall'altra subisce un colpo anche il tentativo del PD di dare uno sbocco alla crisi del sistema politico nella direzione del bipartitismo. Le lezioni ci consegnano un sistema politico che vede l'indebolimento dei due partiti maggiori e una situazione di maggior pluralismo politico. Il PD esce decisamente ridimensionato dalla consultazione elettorale – dato che si riverbera pesantemente nelle elezioni amministrative – e vede un deciso travaso di consensi verso l'Italia dei Valori e – in parte – verso la sinistra. Di Pietro capitalizza la visibilità del suo antiberlusconismo urlato ma privo di contenuti alternativi per quanto riguarda le politiche economiche e sociali. Un risultato quello dell'IdV non privo di contraddizioni che sarebbe sbagliato dare per stabilizzato: la domanda di cambiamento che si è riversata nel voto all'IdV non trova nelle proposte di questa formazione politica una risposta effettiva e questa contraddizione è tutt'altro che chiusa.


Il nostro risultato.

Nonostante il grande e generoso impegno dei compagni e delle compagne, il nostro risultato è stato negativo perché non ha raggiunto il quorum necessario per avere una rappresentanza al parlamento europeo. Questo esito è figlio della sconfitta storica subita l'anno scorso dalla sinistra arcobaleno in seguito alle negativa esperienza di governo e ci segnala che l'uscita da quella crisi è appena cominciata.
Nello specifico il mancato raggiungimento del quorum è da addebitarsi in primo luogo alla scissione che Rifondazione ha subito e alla scelta dei compagni e delle compagne fuoriuscite da Rifondazione di dar vita ad un cartello elettorale con i socialisti craxiani in una riedizione moderata della fallimentare esperienza dell'arcobaleno.
Questo dato non deve però far velo sull'analisi dei risultati - che sono al di sotto delle possibilità - e che ci segnala alcuni nodi di fondo. In primo luogo è evidente l'esito deludente del voto al Nord. Pur avendo capito il problema della crisi e avendo messo a tema la necessità di un intervento strategico dentro il contesto di guerra di movimento determinato dalla crisi, siamo riusciti solo parzialmente a dispiegare una iniziativa politica efficace. I comitati contro la crisi che pure
avevamo lanciato come proposta unitaria e aperta non sono partiti o siamo stati capaci di farli solo a macchie di leopardo. Complessivamente siamo stati più dei commentatori della crisi che costruttori di risposte concrete in termini di mobilitazione ed organizzazione.
In secondo luogo è evidente che abbiamo declinato il nostro essere comunisti più sul versante dell'appartenenza ad una storia che non nella capacità di avanzare una proposta di radicale trasformazione sociale. Anche il richiamo all'elemento simbolico chiede di essere declinato in avanti al fine di poter recuperare una nostra credibilità e utilità. Il comunismo è stato percepito più come un elemento di nostra appartenenza storica e ideologica che non come "il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente": non siamo riusciti a far percepire il nesso tra il comunismo e l'alternativa.
In questo contesto il voto amministrativo, non differenziandosi dal trend generale è negativo, in particolare per quanto riguarda le elezioni comunali, in cui registriamo un ulteriore calo di voti. Questo dato sottolinea ulteriormente il dato dello scarso radicamento sociale del partito su cui occorre assolutamente intervenire. Questo risultato si traduce in un netto calo di eletti negli enti
locali interessati dalla consultazione elettorale.
Ovviamente la situazione concreta in cui siamo stati costretti ad operare, con il congresso di Luglio mai chiuso, la scissione strisciante, uno stillicidio continuo di attacchi non ci ha certo favorito. Il contesto in cui si siamo trovati ad operare non deve però nascondere i limiti soggettivi che abbiamo avuto, che sono da riconoscere per superarli e migliorare la nostra azione politica. In particolare perché l'offensiva che punta alla distruzione di una sinistra comunista e di
alternativa in nome di una sinistra senza aggettivi è tutt'altro che terminata. La nostra proposta politica deve quindi fare i conti con questo dato di contesto che ci accompagnerà ancora per lungo tempo.
Per mettere a frutto il milione di voti che abbiamo ottenuto con la lista anticapitalista e comunista, su una proposta politica chiara di alternativa di sistema, riteniamo quindi necessario fare un salto di qualità. Dopo aver individuato nel Congresso di Chianciano la necessità di una svolta in basso a sinistra, si tratta ora di approfondire e articolare questo percorso su quattro livelli

1) Costruire e unificare l'opposizione sociale.

La crisi e le soluzioni che ad essa si prospettano, i risultati delle elezioni, rendono ancor più importante di prima quella costruzione dell'opposizione sociale che da tempo abbiamo posto al centro delle nostre riflessioni. Una vera e propria costruzione, ossia un intervento soggettivo forte e coscientemente orientato, perché altrimenti la dinamica spontanea dei conflitti oscillerà tra momenti di disperato ripiegamento individualistico (col connesso ricorso clientelare alla politica) e
momenti di altrettanta disperata esplosione, in un contesto di crescita della guerra tra poveri. In assenza di una dispiegata opposizione sociale è l'intero arco dei diritti sociali, democratici e civili che viene aggredito alla radice Una tale costruzione si presenta particolarmente difficile sia per i limiti del nostro partito e dell'intera sinistra, sia per la notevole differenza dei modi in
cui la crisi si riverbera sui diversi strati popolari e nelle diverse parti d'Italia. A seconda delle diverse realtà produttive e territoriali, avremo la crescita della cassa integrazione nei gruppi medio-grandi e l'esplodere dei licenziamenti tra le imprese della subfornitura; il fiorire di patti corporativi tra operai e padroni e la mobilitazione di tutte le risorse territoriali in opposizione
ai territori limitrofi; la disoccupazione dei precari nella formazione, nella cultura, nei servizi pubblici e soprattutto in quelli privati, nonché l'acuirsi delle tensioni legate alla scarsità delle risorse pubbliche ed alla gestione del territorio nel Sud. La crisi colpirà quindi settori di classe assai diversi per aggregazione e per capacità di resistenza economica e di risposta sindacale e
politica. Questa situazione articolata ci chiede quindi di essere in grado di penetrare diversi conflitti, diversi linguaggi e culture, e di unificarli tendenzialmente tutti in una comune battaglia contro la gestione padronale della crisi, a partire dall'idea di una generalizzazione della cassa integrazione a carico della fiscalità generale.
A tal fine è necessario un salto di qualità del nostro partito nella sua capacità di sperimentare, di organizzare vertenze, di sviluppare le pratiche del partito sociale, di coinvolgere in maniera programmatica, pianificata e determinata altri soggetti sociali e politici.
In particolare, le prime sperimentazioni del partito sociale hanno dimostrato la nostra capacità, oltre che di dare nuove motivazioni ai compagni ed alle compagne, di riprendere il contatto con settori popolari da tempo abbandonati dalla sinistra e sedotti dalla destra, di migliorare la nostra conoscenza delle diverse esigenze delle diverse componenti della classe, di iniziare a costruire quei luoghi sociali che soli possono aggregare una classe spesso dispersa e frammentata. La crisi rende
urgente trasformare queste sperimentazioni in pratica diffusa e comune del partito, per costruire esperienze i Comitati Contro la Crisi, vertenze, esperienze mutualistiche, risposte immediate ai bisogni immediati, che aiutino i lavoratori a non sentirsi soli e li abituino a guardare ai comunisti ed alla sinistra con una rinnovata speranza. Ogni circolo, ogni commissione, dovrà preoccuparsi di
intrecciare alla propaganda politica e al lavoro nelle istituzioni, la formulazione di proposte concrete di iniziativa scoiale che producano risultati tangibili sui territori e nei luoghi di lavoro, perché solo in tal modo si possono intaccare quella disperazione e quella sfiducia nell'azione collettiva che sono il brodo di coltura della destra. A tal riguardo è del tutto evidente che le manifestazioni nazionali fatte sono stato un elemento importante ma non sufficiente. Sia sul
terreno politico che su quello sindacale è necessario riprendere una iniziativa articolata e conflittuale che superando ogni suggestione concertativa ricostruisca sul terreno diversi rapporti di forza. Su questo terreno si misurerà in particolare la capacità della Cgil di reagire positivamente all'attacco politico di cui è fatta oggetto da parte di governo e padronato. La ricostruzione a partire dai luoghi di lavoro e dai territori di una opposizione sociale conflittuale, è la condizione per aggregare le forze necessarie a porre il tema dell'uscita da sinistra dalla crisi.
Ma è del tutto chiaro che per una simile impresa, per avere la necessaria diffusione ed efficacia, l'impegno del nostro partito è necessario e decisivo ma non sufficiente. Proponiamo quindi che a partire dal coordinamento della lista anticapitalista e comunista sia necessario coinvolgere direttamente tutti i soggetti disponibili sul territorio a costituire i Comitati Contro la Crisi.
Dopo una fase in cui siamo stati necessariamente concentrati sulla giusta necessità di rivendicare la nostra esistenza come partito e la nostra autonomia politica, dobbiamo ora fare un salto di qualità. Consapevoli come siamo della difficoltà di costruire un'opposizione sociale efficace, dobbiamo fare in modo che ogni nostra iniziativa preveda il coinvolgimento di altri soggetti, l'inizio di una relazione stabile che può conoscere insuccessi e stalli, ma che deve essere perseguita come obiettivo vitale.
Esiste infatti un grande potenziale di impegno e iniziativa sociale, nella persistente cultura e pratica del movimento altermondialista, nelle esperienze sindacali, in alcune sezioni territoriali di altri partiti che, disorientata e dispersa dalla sconfitta dell'aprile 2008, non ha comunque smesso di tentare soluzioni: a questo potenziale dobbiamo rivolgerci se non vogliamo che la costruzione dell'opposizione sociale resti un vuoto slogan.

2) Per un polo della sinistra di alternativa

La credibilità dell'opposizione sociale richiede però che ci si muova anche sul versante dell'opposizione politica. Questa affermazione apparentemente ovvia riveste oggi un significato assai particolare: infatti la presenza di un'opposizione politica credibile (per dimensioni, per stile di lavoro e per programma) non è solo il logico sbocco di un'opposizione sociale, ma oggi ne costituisce in parte una condizione. Oggi non esiste una opposizione credibile perché quella parlamentare è subalterna ai poteri forti del paese e quindi non è mai in grado di prefigurare una alternativa al berlusconismo in particolare sul terreno economico e sociale. Proprio nel momento in cui le ipotesi socialdemocratiche mostrano appieno il proprio fallimento strategico ed entrano in crisi anche a livello europeo, diventa assolutamente necessario costruire una sinistra di alternativa.
A partire dal Coordinamento della lista anticapitalista e comunista, proponiamo quindi di operare per costruire un polo della sinistra di alternativa autonoma dal PD. Tale processo, che parte dal coordinamento delle forze che hanno promosso la lista per allargarsi, si deve strutturare sia a livello nazionale che locale. A tal fine proponiamo di avviare da subito una interlocuzione con tutti i soggetti, politici, sociali, culturali, interessati a questo progetto politico per coinvolgerli a pieno titolo nella promozione e costruzione del polo della sinistra di alternativa. Per rompere la gabbia del bipolarismo è vitale la costruzione di un polo della sinistra anticapitalista che, su precisi basi programmatiche e nella piena autonomia dal PD, sappia far vivere la prospettiva dell'alternativa. Su questa base occorre interpellare tutte le forze della sinistra politica, sociale, sindacale, per individuare e costruire insieme i passaggi che, a partire dall'unità d'azione in significative iniziative di massa, consentano la costruzione di un soggetto unitario in cui nessuno debba rinunciare ad identità, simboli, ambiti e forme particolari di azione politica. Tutti questi passaggi devono essere sostanziati da momenti di coinvolgimento del "nostro" popolo che consentano comunque a decine di migliaia di persone di sentirsi partecipi di un processo che deve rompere la separatezza tra politica e società. Questo processo di aggregazione deve infatti anche fare i conti positivamente con la crisi della politica che caratterizza pesantemente la crisi attuale.
Per fare tutto ciò è necessario rafforzare il partito, rilanciare il progetto della rifondazione comunista e della sinistra europea. Noi riteniamo infatti che a partire da questo punto di vista si possono leggere più efficacemente sia la natura della crisi in atto, sia la posta in gioco degli attuali scontri politici. Si tratta proprio di mostrare la fecondità del punto di vista comunista, definendo a partire da essa i contenuti fondamentali di un programma di alternativa che dobbiamo articolare meglio.
I nodi dell'uscita a sinistra dalla crisi, in termini di redistribuzione del reddito, di blocco dei licenziamenti, di estensione degli ammortizzatori sociali e di introduzione del salario sociale, di blocco delle privatizzazioni e di rilancio dell'intervento pubblico per una riconversione ambientale e sociale dell'economia sono i punti centrali attorno a cui lavorare. Da qui occorre partire per affrontare i nodi dell'immigrazione, della sicurezza, del welfare, dei diritti individuali sociali e civili e della loro esigibilità. Si tratta indubbiamente di un progetto ambizioso: ma quando, se non in condizioni di crisi, possono essere proposti progetti analoghi?
E' nella discussione di questi temi che si può procedere ad un'aggregazione non politicista di forze diverse, a risvegliare l'orgoglio di una sinistra dispersa, a stimolare ed incalzare le numerose forze dell'associazionismo e dei movimenti tematici, ad interloquire positivamente con le più importanti esperienze sindacali, a partire dalla sinistra della CGIL e dall'importante dinamica di aggregazione del sindacalismo di base. E' sulla base di una posizione politica forte ed autonoma, centrata su un progetto credibile, che si può intervenire positivamente sulla crisi del PD, non certo facendoci risucchiare al suo interno.

3) Il rilancio della rifondazione comunista

Il ruolo e il rilancio del partito e del progetto della rifondazione comunista, l'apertura di un confronto serrato con le altre organizzazioni comuniste, si pone all'interno della costruzione dell'opposizione sociale e della costruzione di un polo della sinistra di alternativa.

Noi comunisti siamo oggi di fronte ad una opportunità storica. La crisi mondiale dimostra la giustezza di molte delle nostre affermazioni, e l'eventuale momentanea soluzione dei più gravi problemi finanziari, porterà probabilmente alla luce più profondi problemi strutturali: l'acuirsi degli squilibri globali e della crisi ambientale; l'impossibilità, per il capitalismo, di accettare oltre un certo limite una dinamica crescente dei salari e quindi della domanda; la non risolta crisi dei profitti che ha contribuito non poco alla finanziarizzazione dell'economia e che rimanda alla crescente difficoltà di dar vita ad una produzione altamente socializzata sulla base della proprietà privata. La crisi capitalistica apre quindi grandi spazi di iniziativa politica. Ma nel contempo, il nostro persistente minoritarismo e la nostra difficoltà a parlare all'insieme della società, dimostrano che per valorizzare pienamente le nostre buone ragioni è necessario che la nostra posizione si modifichi ed evolva, in relazione ai modi concreti in cui si pongono le contraddizioni del capitalismo, che non sono mai identici ai modi precedenti. Senza questo salto di qualità rischia di andare perduta questa opportunità storica.
Il rilancio della prospettiva comunista che passa per il rilancio del nesso tra eguaglianza e libertà come guida dell'azione politica. Necessita l'apertura di un ampio confronto politico e culturale, deve costruire unità d'azione in campagne di massa che, indicare una via di uscita alla crisi italiana.

La crisi infatti ripropone il nodo del comunismo, cioè di una trasformazione sociale radicale, ma proprio per questo si fa più urgente la necessità di adeguarla alla forma attuale delle classi, della società, della mobilitazione politica, della stessa individualità soggettiva. Bisogna dunque rilanciare con forza il processo della rifondazione comunista, la capacità di cogliere meglio le contraddizioni così come oggi essere si presentano nelle nuove forme di sfruttamento, nel riconoscimento pieno e senza riserve del carattere costituente della questione ambientale, della centralità dei diritti individuali e della lotta al patriarcato.
Dobbiamo cioè essere in grado di declinare il tema del comunismo non solo come appartenenza ad una storia ma come proposta politica radicale di trasformazione sociale oggi. Questa è la sfida su cui aprire il confronto oggi tra le diverse esperienze comuniste.

4) Un salto di qualità nel funzionamento del partito

Per svolgere i compiti che abbiamo sopra descritto è necessario un salto di qualità nell'organizzazione del Partito, sia nella capacità di finalizzare il nostro lavoro all'iniziativa esterna, al lavoro sociale del partito, sia nella capacità di superare limiti e farraginosità di funzionamento dei nostri organismi dirigenti.
Troppo spesso le intuizioni non diventano parole d'ordine praticate, le campagne di massa vengono cominciate e non portate a termine. In altri termini da tempo non siamo in grado di individuare chiaramente le priorità di lavoro politico e le iniziative si susseguono senza sedimentare identità e senza determinare risultati misurabili. Parallelamente, il partito si è progressivamente sedimentato in aree strutturate, sclerotizzandosi. Questa situazione se da un lato ha contribuito ad evitare lo scioglimento del PRC, dall'altra questa costituzione materiale sta determinando gravi problemi: nei fatti funzioniamo come una federazione.
Questo meccanismo tende a selezionare i quadri più sulla base della fedeltà che della capacità e rappresenta un limite alla capacità di espansione del partito oltre che alla sua vivibilità interna. Abbiamo la necessità di una profonda autoriforma della nostra vita interna. Così come abbiamo la necessità di una profonda riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture del partito, vista la scarsità di risorse finanziarie. Occorre salvaguardare pienamente il pluralismo interno e nello stesso tempo superare un meccanismo sclerotizzato che limita il confronto e il lavoro politico. Il CPN impegna tutto il gruppo dirigente a misurarsi con questa esigenza, dai circoli alla direzione nazionale, avviando un percorso di ridisegno del funzionamento del partito in modo da renderlo più confacente agli obiettivi politici che ci siamo dati.

18 giugno 2009

Il lavoro concreto di Rifondazione Comunista per l'unità a sinistra

di Raul Mordenti

Il mancato raggiungimento del 4% alle elezioni europee ha positivamente riaperto il dibattito sull'unità a sinistra, ma mi sembra che tale dibattito rischi di essere inconcludente, e anzi truccato, se non si procede a una preliminare operazione di pulizia concettuale e, direi, perfino terminologica a cominciare dalle parole che usiamo, come "sinistra" e "unità". Ad esempio: la discussione sul voto (e probabilmente anche il risultato elettorale) avrebbe assunto forme diverse se i compagni Vendola e Bertinotti avessero detto con chiarezza prima del voto ciò che invece hanno detto solo dopo, il primo accettando senz'altro la proposta del Pd di Soro di aprire un tavolo di discussione che escludesse però preliminarmente i comunisti, il secondo spingendosi addirittura a proporrre un nuovo partito-contenitore senza riferimenti ideali né di classe, insomma un nuovo Pd (o una corrente interna/esterna dello stesso Pd). Non per caso il compagno Migliore definisce "vecchia" e "superata" l'idea delle "due sinistre". Dunque - pare di capire - per questi compagni di "Sinistra e Libertà" c'è una sinistra sola, e il Pd di Binetti, Colaninno e Parisi ne fa parte; ma chi altri oltre al Pd? Anche su questo ora (e solo ora) è chiarissimo Riccardo Nencini «interprete di tutti i leader delle forze politiche che hanno dato vita a Sinistra e Libertà» (il virgolettato è del manifesto , 14 giugno, pagina 8): Ferrero non riceverà l'invito a discutere dell'unità della sinistra da "Sinistra e Libertà", anzi afferma Nencini più brutalmente: «Ferrero è duro d'orecchie: il no a un'ammucchiata indistinta con la sinistra radicale e antagonista è totale». Sarà invece invitato d'onore a questa "sinistra" Marco Pannella, ultra-atlantico e ultra-liberista. Ancora una volta: buono a sapersi, anche se sarebbe stato più onesto dirlo agli elettori prima del voto europeo. Dunque è con costoro che si pone il tema dell'unità, ripreso assai polemicamente da Luigi Ferrajoli su Liberazione dell'11 giugno («non ci sono giustificazioni", "non è giustificabile", "si sono presentate insensatamente divise», e così via) e all'indomani del voto con particolare asprezza da Rossana Rossanda, entrambi facendo riferimento ad un loro appello di marzo per una "lista unica". E' il caso di ricordare agli immemori e ai distratti che quella proposta di "lista unica" (respinta peraltro unanimente da tutti i destinatari della proposta, non solo dal Prc) prefigurava una sorta di "Lista Di Pietro" senza Di Pietro, essa cioè avrebbe dovuto essere priva di simboli, priva di qualsiasi programma elettorale che non fosse l'opposizione a Berlusconi, priva perfino di riferimenti al futuro schieramento nel Parlamento europeo, e in essa i partiti non avrebbero dovuto mettere bocca neanche sui candidati; tutto ciò sarebbe spettato forse a qualche "comitato di saggi" auto-eletto in quanto espressione della pura e incorrotta "società civile"; invece ai corrotti partiti e ai loro impuri militanti sarebbe spettato attaccare i manifesti, distribuire i volantini e disciplinatamente votare (in verità io vedo proprio in quella proposta quel "sostanziale disprezzo" del ceto politico per la base militante e l'elettorato che Luigi Ferrajoli rimprovera invece su Liberazione ad altri). E il manifesto , sempre specialista nel fare l'autocritica degli altri, non sembra avere ancora avviato alcuna autocritica seria in ordine ai danni enormi che ha arrecato a tutti il suo flirtare con il non-voto, la sua proposta di "saltare un giro" (che conviveva però con il suo sostegno, neanche tanto implicito, alla lista di Vendola).
Così i comunisti rischiano di essere - come si dice a Roma - cornuti e mazziati, da una parte essi hanno subìto una scissione irresponsabile, che guardava al Pd e che, sostenuta apertamente dai suoi media, si poneva l'obiettivo tattico intermedio il far mancare il quorum alla lista comunista e anticapitalista, e dall'altra, al tempo stesso, essi sono accusati anche del catastrofico risultato di quella separazione! Lo stimato compagno Ferrajoli neppure si pone il problema che forse non era così facile per noi unirci (per salvare il quorum) con una forza politica che nasceva proprio per separarsi da noi (e per farci mancare il quorum). Meno che mai questi critici esprimono un qualche apprezzamento per il processo ricompositivo reale che abbiamo invece avviato a sinistra con la lista comunista e anticapitalista, prefigurando un polo politico plurale e unitario ma decisamente autonomo dal Pd, che presentava assieme Prc, Pdci, i socialisti di Salvi e i Consumatori, e comprendeva anche autorevoli compagni della "mozione Vendola" rimasti nel Prc, ma soprattutto tanti indipendenti (circa il 50% dei candidati). La sciocca accusa-ritornello di essere "identitari" e "vetero-comunisti" sostituisce qualsiasi analisi seria di ciò che Rifondazione sta tentando di fare fra immense difficoltà, che risalgono alla fase storica ma anche ai gravi errori commessi negli anni del sostegno a Prodi.
E allora ecco un altro concetto che va chiarito: avviare un processo di unità a sinistra (anzi, io credo, un processo da estendere anche all'Italia dei Valori) e ricercare ostinatamente forme di unità d'azione è una cosa, lo scioglimento è altra cosa, del tutto diversa.
Allo scioglimento per confluire, prima o poi, nel Pd (che era la vera sostanza della proposta di Vendola al Congresso) Rifondazione ha detto di no, all'unità a sinistra sta invece concretamente lavorando. Sì, lo ammetto, siamo gente un po' strana, gente che pensa che il Pd non sia affatto il partito-guida della sinistra a cui guardare (magari in cambio di qualche assessorato), gente che crede che il riferimento alla lotta di classe e alla storia del movimento operaio sia il fondamento stesso del nostro fare politica (questo significano per noi la bandiera rossa e la falce e il martello), gente convinta che l'internazionalismo, la lotta per la pace, per l'ambiente e per la laicità, la lotta attualissima contro il razzismo, l'omofobia e il fascismo siano i contorni di una identità politica non solo utile ma più che mai necessaria per contrastare il micidiale vuoto di senso in cui il berlusconismo si afferma. Chi è interessato a fare esperienze di unità con noi deve partire da queste nostre - chiamiamole così - "stranezze" e accettare di camminare insieme per un cammino lungo di reciproca contaminazione; al contrario, bacchettarci perché non accettiamo di smettere di essere comunisti non ha nulla a che fare con l'unità, anzi è il suo contrario, e può portare solo a nuovi inganni e a nuove divisioni.

15 giugno 2009

Brevi considerazioni sul risultato delle elezioni amministrative di Montecchio

La sinistra a Montecchio riparte dal 10% nonostante il vento di destra soffi forte anche nel nostro paese; con i loro voti, infatti, i cittadini hanno consegnato 4 seggi su 5, destinati all'opposizione, alla destra capeggiata da Daniele Reverberi della Lega Nord che ha guidato la lista insieme alla PdL e all'UdC, uscendone sconfitto, ma non troppo.

Ma non tutto è stato spazzato via alla sinistra del PD (che per propria ammissione non è di sinistra). Hanno infatti votato la lista di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea un significativo 10% di cittadini, consentendoci di avere un consigliere comunale (che sarà Giorgia Riccò) e di poter fare, direttamente all'interno dell'istituzione un'opposizione di sinistra, costruttiva e propositiva a Colli e alla sua giunta.

Cercheremo di tenere un canale di dialogo aperto con la maggioranza su alcuni temi fondamentali come l'antifascismo, la partecipazione attiva dei cittadini, l'opportunità della costruzione di spazi pubblici laici di aggregazione per tutti, giovani e meno giovani, la condivisione culturale da praticare realmente tra tutte le comunità presenti sul nostro territorio perchè esse sono una vera ricchezza. Una realizzata opera di condivisione aggrega, costruisce coesione sociale, solidarietà, in una parola, crea comunità. Questo dovrebbe essere il progetto di Colli e della sua giunta e noi spingeremo affinchè questo progetto di comunità si avvii il prima possibile e si realizzi contrariamente alla proposta razzista della destra che va in direzione opposta, disgregando e creando le condizioni di un'ideologica guerra tra poveri. A questo noi ci opporremo sempre perchè abbiamo già visto dove porta l'estremo individualismo, la competizione senza barriere, la ricerca del capro espiatorio: porta ad una comunità frammentata, in lotta, per nulla solidale, porta ad un'epoca buia e nichilista. Niente di tutto ciò ci appartiene e speriamo che sia lontano dai progetti della nuova maggioranza che governa Montecchio.

Saremo fortemente critici con questa giunta e con la maggioranza che la sostiene qualora non via sarà un'adeguata attenzione verso la politica sociale che, soprattutto in previsione di un autunno di profonda crisi economica e sociale, miri ad ampliare i servizi ai cittadini e metta in opera veri e propri “ammortizzatori sociali” a favore di tutti quei lavoratori e di quelle famiglie sulle cui spalle ricadrà il peso del fallimento del capitalismo.

Controlleremo e vigileremo sulla politica ambientale della nuova amministrazione; il nostro è un territorio già fortemente urbanizzato e il cui equilibrio tra vivibilità e insostenibilità è assai precario e non potrà che peggiorare nei prossimi anni qualora non siano attivati da subito tutti quei nuovi sistemi di risparmio energetico, riuso di fonti rinnovabili di energia e una nuova politica di gestione dei rifiuti.

14 giugno 2009

CIAO IVAN!



Ivan Della Mea se ne è andato. Ha cantato le sofferenze e le speranze dei proletari e dei comunisti per mezzo secolo. Le ha cantate anche quando, in questi anni, la parabola discendente della sinistra pareva non far presagire nulla di buono. Lo ha fatto con l'ottimismo della volontà, lo ha fatto da militante per il comunismo. La nostra commozione è tanta nel ricordarlo, nel salutarlo e nel promettergli che la sua lotta era ed è la nostra e che... continua.
Ciao Ivan!

11 giugno 2009

Dalla sconfitta rilanciare il conflitto sociale e l’unità della sinistra di alternativa

di Paolo Ferrero, Segretario Nazionale PRC-SE

Le elezioni ci consegnano un panorama decisamente spostato a destra. A Livello europeo assistiamo alla vittoria delle forze conservatrici, ad una pericolosa crescita delle forze razziste e al crollo delle socialdemocrazie. Le forze della sinistra europea tengono con alcuni elementi di crescita ma certo non sfondano. Per adesso la crisi quindi lavora a destra, il disagio sociale si esprime principalmente fuori dalla politica – attraverso il non voto – o dentro una logica di guerra tra i poveri egemonizzata dalla destra .

In Italia assistiamo ad una sconfitta del tentativo berlusconiano di sfondamento costituzionale che ha voluto trasformare le elezioni in referendum sulla sua persona. Il plebiscito non c'è stato. La sconfitta dell'estremismo berlusconiano non si traduce però nella sconfitta delle destre che complessivamente non perdono voti. La tenuta delle destre con la vittoria della sua ala razzista e populista si accompagna ad una redistribuzione di voti nell'ambito delle opposizioni: sconfitta secca del PD, raddoppio dell'Italia dei Valori, raddoppio dell'area di sinistra che però non elegge in quanto divisa in tre. Come la Lega capitalizza a destra, Di Pietro capitalizza a sinistra sulla base di un antiberlusconismo tanto urlato quanto inconsistente sui contenuti economici e sociali.

In questo contesto due sono le urgenze su cui lavorare.

In primo luogo la costruzione di una forte opposizione sociale, politica e culturale non solo a Berlusconi ma alla politica del governo, di confindustria, delle banche e – quando serve – al Vaticano. Occorre rompere la pace sociale che si traduce in disperazione individuale ed in impotenza di fronte alla crisi. Di fronte alla perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro vi è una drammatica assenza di iniziativa politica e sindacale che noi dobbiamo provare a forzare. Occorre ricostruire un sano conflitto sociale per evitare che la crisi continui a produrre unicamente guerre tra i poveri e che la destra estrema continui a rafforzarsi proprio a partire dalla crisi. Su questo è necessario un salto di qualità fortissimo nel lavoro politico del partito che deve essere riorganizzato dalla testa ai piedi nella direzione del lavoro sociale, della costruzione e della generalizzazione del conflitto. Occorre passare decisamente dall'opposizione urlata ma parolaia all'opposizione sociale nel paese, alla mobilitazione contro i contenuti concreti delle politiche governative.

In secondo luogo occorre avviare una iniziativa specificatamente politica sul terreno dell'unità della sinistra. L'unità della sinistra anticapitalista che abbiamo proposto e realizzato solo parzialmente nella consultazione elettorale deve essere rilanciato. Non abbiamo potuto realizzare questo obiettivo nelle elezioni europee perché vi è chi ha preferito il rapporto con gli epigoni di Craxi all'unità della sinistra di alternativa ma non ci dobbiamo dare per vinti. Proponiamo perciò di costruire un polo della sinistra di alternativa, che a partire dal coordinamento delle forze che hanno dato vita alla lista anticapitalista e comunista si ponga l'obiettivo di costruire una rete di relazioni stabili tra tutte le forze politiche, culturali e sociali disponibili a lavorare per l'alternativa. Confronto e lavoro comune tra le forze comuniste e processo di aggregazione della sinistra di alternativa non sono processi alternativi ma due facce della stessa medaglia. Dobbiamo agire con forza questa prospettiva partendo dall'aggregazione a cui abbiamo dato vita alle europee per allargarla. Per costruire un processo di aggregazione della sinistra italiana non subalterna al PD così come abbiamo costruito una sinistra europea non subalterna alle socialdemocrazie.

Non abbiamo raggiunto il risultato che ci prefiggevamo alle europee ma abbiamo rimesso in moto il partito e lo abbiamo ridislocato nell'iniziativa politica. Si tratta ora di valorizzare il lavoro fatto producendo un salto di qualità sia nella costruzione dell'opposizione sociale che nell'iniziativa unitaria a sinistra. Dentro una crisi che stà cambiando tutto è possibile operare per un suo sbocco a sinistra. Questo è il compito dei comunisti oggi.

09 giugno 2009

Quale unità per quale sinistra?

di Dino Greco, direttore di Liberazione
Senza giri di parole, bisognerà pur dire che le elezioni europee sono andate male. E molto, per quanto alcune carte si siano mischiate. Come in Francia, dove i Verdi di Cohn Bendit ottengono - su un programma certamente alla sinistra del nostrano Pd - uno straordinario successo. O come in Grecia, dove il Pasok raccoglie i frutti di una profonda rivolta sociale. Oppure in Germania, dove il progresso di Die Linke manda a dire che la crisi (profondissima) delle socialdemocrazie può, almeno potenzialmente, trovare un'alternativa a sinistra.Ma, in generale, è lo schieramento conservatore a vincere, incamerando voti e aumentando i propri seggi nel Parlamento europeo. Non solo, nella destra si affermano le componenti più estreme e apertamente razziste. Avviene in Inghilterra come in Ungheria, in Austria come in Italia. Il Parlamento europeo muta, dunque, fisionomia politica. Cresce la componente euroscettica. Quella sua parte, per capirci, che è tale non perché contesta l'inclinazione monetarista e liberista dell'Unione, ma perché rincula dentro logiche di gretto nazionalismo, autistico e antisolidale.La prima e fondamentale considerazione che se ne ricava è dunque che la crisi economica e finanziaria che ha travolto le illusioni liberiste, ridicolizzato gli idolatri del mercato, generato disoccupazione ed impoverimento sociale non ha suscitato nelle larghe masse una reazione di rigetto del sistema vigente. O meglio, la possibile reazione, in assenza di risposte alternative e convincenti a sinistra, si è espressa come paura ed è divenuta il combustibile di cui si sono nutrite le classi dominanti, più mobili e duttili nel rappezzare il tessuto lacerato e nel riproporsi come le più adatte a governare la crisi. E nel manipolare un'opinione pubblica spaventata e disorientata.Quanto all'Italia, si può sì dire che Berlusconi non ha sfondato. Anzi, che la sua forza e le sue velleità totalitarie subiscono una seria battuta d'arresto. E che lo stesso ridimensionamento del Pd sembra far tramontare l'idea di una metamorfosi non solo bipolare ma, addirittura, bipartitica del quadro politico italiano. Si può anche ragionevolmente ritenere che il referendum attraverso il quale i due partiti più grandi hanno tentato una semplificazione autoritaria ed uno snaturamento della democrazia costituzionale è destinato ad eclissarsi entro un paio di settimane. E tuttavia, non c'è chi non veda come questo esito sia il risultato, simultaneo, dell'astensionismo da un lato, e, dall'altro, dello strepitoso successo, in latitudine e in longitudine, della Lega Nord e dell'Italia dei Valori che raddoppia in un solo anno i suoi consensi e incassa molti voti da chi ha creduto di vedere in essa, più che in qualsiasi altra formazione politica, l'antidoto a Berlusconi e al suo sistema di potere.La sinistra, in tutte le sue articolazioni, resta sostanzialmente fuori dal gioco.E non solo perché non raggiungendo la soglia critica del 4% non avrà accesso al Parlamento europeo. Ma perché si conferma, malgrado qualche segnale di ripresa, una sua sostanziale marginalità. Della quale è assolutamente necessario prendere atto per riaprire una discussione che non si riduca nel puro e semplice scambio ritorsivo di accuse fra noi della lista anticapitalista e comunista e quanti sono approdati in Sinistra e Libertà.Ho le mie idee, al riguardo, e non mi sfugge certo la totale sconsideratezza dell'atto scissionistico che ha generato un micidiale contraccolpo, non soltanto nelle parti in contesa, uscite entrambe indebolite e impoverite da quello scontro fratricida. E, soprattutto, in quella vasta porzione dell'elettorato di sinistra che, semplicemente, ha abbandonato entrambi i contendenti. Neppure mi sfuggono gli elementi di sostanza, vale a dire i nodi politici legati ad uno scontro che solo un'estrema semplificazione può attribuire alle biografie personali. Il fatto è che non si può continuare così, perché l'olio che alimenta la fiammella rischia di finire rapidamente.Cominciamo allora ad afferrare per le corna i nostri problemi. A partire dalla questione dell'unità a sinistra. Ho letto, nei giorni immediatamente precedenti le elezioni, su un giornale di nuovo conio, che bisognerà dedicarsi - a consultazione conclusa - alla ricostruzione della sinistra: mai più divisi, si leggeva. Ma poi, proseguendo nella lettura, si scopriva che alla nuova sinistra unitaria immaginata ed evocata era già imposto un preciso confine, un perimetro politicamente ben delineato: una parte rilevante del Pd, Sinistra e libertà e i Radicali. Punto e basta. Gli altri, semplicemente, non entravano nel conto, non esistevano. Che questo atteggiamento non faccia che alimentare speculari idiosincrasie è del tutto evidente. Solo che mentre i capponi di Renzo si strappano le penne, la pentola nella quale rischia di esaurirsi la loro singolare tenzone è già sul fuoco.Dopodiché, di tanta centrifuga, rischia di non rimanere altro che il riflusso - più o meno dorato - di qualche notabile, in qualche generoso ospizio politico. Forse, con maggiore umiltà e riguadagnando un reciproco rispetto, occorrerebbe che tutti si interrogassero sulle ragioni di uno scollamento così persistente fra sinistra e società. Una sinistra di opinione, eclettica, chiacchierona e autoreferenziale, congenitamente malata di istituzionalismo, del tutto avulsa dal sociale, incapace di riselezionare il suo gruppo dirigente nelle lotte e nel conflitto, non va da nessuna parte. O meglio, va a destra. E può farlo persino mantenendo con tutta tranquillità (e mascherandosi dietro) un linguaggio aggressivo.Ma, come diceva Marx, attraverso le frasi si possono cambiare le frasi del mondo, ma non il mondo reale. Che non ti ascolta, se gli operai del Nord votano più che mai la Lega; se chi si batte per la laicità trova più convincente il messaggio dei Radicali; se le giovani generazioni si dividono fra quanti esauriscono il loro protagonismo nel carsico mondo dei movimenti e quanti - fuori da qualsiasi impegno politico e civile - consumano la loro esistenza e il loro sistema di relazioni in una dimensione esclusivamente privata.Abbiamo detto innumerevoli volte che per noi la politica o è fatta per immersione nel sociale o non è. Eppure, benché nessuno contraddica apertamente questa tesi, il lavoro di inchiesta, la capacità di interrogare la realtà per trarne indicazioni, strategie utili a produrre azione diretta, langue. Peccato, perché dove invece lo si fa con continuità, i risultati si vedono. Attenzione, non si tratta di resettare tutto. Personalmente, diffido di tutti coloro che con stucchevole spocchia (altra "virtù" diffusa a sinistra) spiegano che bisogna azzerare tutto. Sono i costruttori di soffitte che non volendo affrontare soverchie difficoltà, inventano ad ogni pié sospinto nuovi luoghi e nuovi contenitori. E' una storia che si ripete da vent'anni e non ha detto nulla di buono. Le scorciatoie, tutte incrostate di politicismo, ci hanno portato al riformismo incolore o all'implosione settaria.Luciana Castellina ha detto ieri che all'origine delle disgrazie della politica italiana c'è la sciagurata decisione di sciogliere il Pci. Non ci sarà tutto, ma c'è molta verità in questa affermazione. Che se non vuole rimanere un impotente grido nostalgico deve indurci a qualche non superficiale riflessione sul passato e sul presente. Sempre che non si ritenga, deterministicamente, che ciò che è stato dovesse necessariamente accadere. La discussione è aperta. Deve riaprirsi.

05 giugno 2009

Appello al voto per Montecchio

Tra alcuni giorni i cittadini montecchiesi saranno chiamati a votare i propri rappresentanti in comune, in provincia e al parlamento europeo.
Per quanto riguarda il sindaco e il consiglio comunale di Montecchio la prospettiva che si ha di fronte è molto semplice. Ci sono sul campo tre proposte: una proposta di sinistra avanzata dalla lista Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, una moderata di centrosinistra rappresentata dalla lista Democratici Uniti e una di destra che unisce Popolo della libertà, Lega Nord e Unione di Centro.
Purtroppo i cittadini montecchiesi non hanno potuto assistere ad un pubblico confronto in quanto i candidati sindaci Colli e Reverberi sono scappati di fronte alla possibilità. Per molti, crediamo, già questo potrebbe essere un giudizio di merito.
Il Partito Democratico, assieme ad altre componenti del centrosinistra, propone un programma e una lista che non è né di continuità né di rottura rispetto alla vecchia amministrazione. E anche il programma ne risente. Le idee e i progetti sono, a nostro parere, fumosi e confusi. Sull’ambiente, sui servizi pubblici e sulla gestione della fase di crisi.
La proposta della destra si concentra contro gli immigrati. Per smontare questa propaganda populista potrebbe bastare ricordare che la legge che regola l’immigrazione è, da 7 anni, la 189 del 2002. Questa legge è meglio nota come “Bossi-Fini”. L’inefficacia di questa legge è sotto gli occhi di tutti. Inoltre, anche lasciando da parte l’aspetto morale, bisogna essere quantomeno in malafede per pensare di fermare flussi di persone con un territorio di circa 4000 chilometri di costa e con la parte maggiore che entra dalla Slovenia.
Anche da un punto di vista del governo di Montecchio, ci sono parecchie cose che ci trovano molto in disaccordo. Su tutte l’idea dei nidi aziendali e la proposta di dare bonus per i nati e case popolari a chi risiede in paese da più di 5 anni. La prima, in questa fase in cui le aziende chiudono per settimane o mesi, dimostra oltre alla pochezza del progetto educativo, anche la poca affidabilità temporale. La seconda invece lascia fuori da misure di stato sociale la fetta di popolazione che ne avrebbe più bisogno, ovvero i giovani che si sono trasferiti a Montecchio in questi ultimi due anni e che in grandissima parte sentono il disagio economico e sociale di un lavoro precario.
La proposta di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea risponde alla crisi economica che, causata dalle multinazionali e dai grandi capitali finanziari, si scarica pesantemente su lavoratori e artigiani. Il nostro programma si articola su quattro temi: lavoro e società, partecipazione e democrazia, ambiente e territorio, scuola e cultura.
Per dare sostegno ai lavoratori in difficoltà e alle loro famiglie, soprattutto in questa fase di crisi, proponiamo il ricalcolo delle tariffe comunali, la creazione di un fondo a sostegno della locazione e del pagamento del mutuo e l’avvio di spacci popolari per beni di prima necessità a prezzi calmierati.
Vogliamo mettere in pratica il bilancio partecipativo, organizzare referendum consultivi sulle questioni più importanti e per facilitare l’integrazione vogliamo allargare il diritto di voto a chi abita a Montecchio.
Ambiente vuol dire futuro! Continuando a consumare il territorio e le risorse limitate, sarà un pessimo futuro.
Stop alla edificazione selvaggia, raccolta porta a porta per dire no agli inceneritori, prodotti a Km zero, risparmio energetico e energia da fonti rinnovabili: prima di tutto l’amministrazione pubblica dovrà dare l’esempio per poi mettersi al fianco dei cittadini ed aiutarli nel passaggio a uno stile di vita più rispettoso dell’ambiente e della salute di tutti.
L'amministrazione deve garantire un'istruzione pubblica, laica e di qualità per tutti. I profondi tagli di risorse operate dal governo Berlusconi mettono in ginocchio la scuola pubblica, per questo è necessario che le risorse siano prioritariamente destinate ad essa.
Non chiediamo il voto di tutti. Anzi, siamo ostinatamente partigiani. Noi chiediamo un voto contro la destra, contro la paura, e per un governo di sinistra del paese. Le carte sono sul tavolo. Ora sta ai cittadini decidere con quali carte giocare.