"Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada" Majakovskij

Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Circolo "Lucio Libertini" Montecchio Emilia
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28 febbraio 2009

Giù le mani dal diritto di sciopero

di Roberta Fantozzi, resp. naz Lavoro e Welfare del PRC-SE

La macchina politico-mediatica si è messa in moto ed è evidente l'operazione del governo. Quello che sta accadendo sul diritto di sciopero è l'ulteriore gravissima puntata di un disegno ben preciso: il disegno di riscrivere le relazioni sociali nel nostro paese smantellando i diritti del lavoro e la sostanza della democrazia, il disegno di gestire la crisi con un salto di qualità autoritario. Ma la macchina mediatica si è messa in moto, per l'appunto, contro gli "scioperi selvaggi", le "minoranze che bloccano il paese", come se scioperare fosse l'atto leggero di pochi scriteriati e non l'azione a cui si è costretti, pagando di tasca propria con la diminuzione di salari magrissimi. I più bassi d'Europa, giova ricordare. La macchina mediatica si è messa in moto per presentare l'attacco gravissimo del governo al diritto di sciopero come la benevola preoccupazione del sovrano per la qualità della vita delle persone, per il loro diritto alla mobilità. Come riportavano alcuni giornali, il Ministro Sacconi voleva intervenire a tutto campo, fino alla modifica dello stesso articolo 40 della Costituzione. Poi il progetto è stato accantonato e il testo che dovrebbe essere approvato dal Consiglio dei Ministri interviene sul "solo" settore dei trasporti. Un settore nel quale si ritiene più agevole mettere i lavoratori l'uno contro l'altro - chi usa il mezzo pubblico contro chi lavora sul mezzo pubblico - per costruire il consenso all'operazione in atto. Così la vita grama dei pendolari, di quei lavoratori che aggiungono alla fatica del lavoro quella di un viaggio sempre più disagevole per le politiche di taglio al trasporto pubblico, la vita faticata di coloro che la rendita immobiliare ha espulso in questi anni in periferie sempre più lontane nel ridisegno classista delle nostre città, può essere utilizzata come uno strumento per costruire il consenso all'ulteriore stravolgimento della nostra democrazia. E' un'operazione che va impedita. L'attacco al diritto di sciopero è contenuto nell'accordo separato siglato da Confindustria, Governo, Cisl, Uil, Ugl, con le "tregue" dello sciopero previste durante la contrattazione e con la previsione che lo sciopero non sia più, nella contrattazione di secondo livello dei servizi pubblici, un diritto soggettivo del singolo lavoratore, ma una prerogativa riservata alle organizzazioni sindacali che rappresentino la maggioranza dei lavoratori. Ora il testo del governo vuole trasformare in legge quell'accordo, sancendo che solo laddove si tratti di sindacati rappresentativi di più del 50% dei lavoratori si possa indire uno sciopero, il che non si realizza sostanzialmente in nessun caso, e prevedendo in alternativa l'obbligo di un referendum preventivo. In sostanza, ci vorrebbero mesi per poter indire uno sciopero. Sciopero che in alcuni comparti dovrebbe essere solo virtuale, cioè vado a lavorare ma mi decurtano il salario e con in più l'obbligo di adesione individuale preventiva: meccanismo chiaramente intimidatorio che nega l'essenza dello sciopero, azione collettiva, che in quanto tale riesce con la forza organizzata dei lavoratori a bilanciare l'asimmetria di potere che esiste tra il singolo lavoratore e il datore di lavoro. Non vi è chi possa davvero credere che principi di tale natura una volta introdotti si fermino - e già sarebbe grave - al settore dei trasporti. Non vi è chi possa davvero credere che non si tratti delle prove generali della volontà di svuotare il diritto di sciopero in quanto tale nel nostro paese. Per questo va messa in campo la più ampia mobilitazione sociale e politica. Va sollevato lo scandalo per un governo che vuole un referendum preventivo per poter indire uno sciopero, mentre nega alle lavoratrici e ai lavoratori di poter votare su piattaforme e accordi. Un governo che pretende di stabilire le regole per la contrattazione, contro la più grande organizzazione sindacale e senza alcun referendum dei lavoratori. Va disvelata tutta la portata del nuovo attacco che si vuole portare al lavoro e alla democrazia. Il governo vuole colpire il diritto di sciopero per impedire la resistenza alle proprie politiche, di taglio e smantellamento dei servizi, di privatizzazione dello stato sociale. Il governo vuole colpire il diritto di sciopero perché non vuole che, nella crisi, i lavoratori rispondano con la mobilitazione e con il conflitto. Per quanto sta in noi, costruiremo la più ampia, determinata, duratura mobilitazione.

Contro l'equirapazione tra partigiani e repubblichini. Contro la proposta di legge n. 1360.




Di fronte all’attacco che da anni si muove contro il movimento di liberazione partigiano e alla Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza e che negli ultimi mesi si è pericolosamente intensificato fino a minare le basi della democrazia italiana, il Circolo di Rifondazione Comunista di Montecchio Emilia ha deciso di presentare una mozione in Consiglio Comunale di ferma condanna alla proposta di legge n. 1360 avente per oggetto l’istituzione dell'Ordine del Tricolore e adeguamento dei trattamenti pensionistici di guerra.

Questa proposta di legge di fatto parifica il movimento partigiano alle milizie della Repubblica Sociale Italiana.

La mozione è depositata in Comune e a disposizione di tutti i Consiglieri Comunali che si ritrovano nell’antifascismo e che vogliono sottoscriverla.

Testo dell'Ordine del Giorno depositato.

Questa destra è antagonista della Repubblica nata dalla Resistenza

L'Ordine del Giorno è stato approvato dal Consiglio Comunale di Montecchio Emilia

27 febbraio 2009

Barbarie

da http://www.nuovomunicipio.org

Accadono strane cose, in questa Italia che cerca maldestramente di dimenticare la crisi. Primo, ignorando completamente una deliberazione direttamente espressa dal Popolo sovrano, e in seguito mai riveduta, il Governo sigla con la Francia un accordo internazionale vincolante che prevede l'allocazione sul nostro territorio di 4 nuove centrali nucleari, con l'evidente effetto di forzare la mano a qualunque decisione successiva in merito. Secondo, ignorando completamente una sentenza della magistratura competente esplicita al riguardo, prima tenta di rendere obbligatorio per decreto l'accanimento terapeutico, poi mette in cantiere una legge sul testamento biologico il cui «principio fondamentale» - per espressa dichiarazione del Ministro competente - è che «la Vita non appartiene all'Uomo». Terzo, ignorando completamente i principi della legalità costituzionale e per nulla intimorito dal fiorire di episodi «raccapriccianti» di intolleranza xenofoba, legittima sempre per decreto ronde spontanee di sorveglianza del territorio (su questo è attesa nelle prossime ore una presa di posizione apertamente critica della Rete, che vi comunicheremo a parte). In ultimo, non pago di queste violazioni patenti dello Stato di Diritto, si accinge a varare un progetto di riforma costituzionale la cui plausibilità lo preoccupa solo in termini di voti disponibili, in Parlamento, per raggiungere la maggioranza qualificata; il tutto senza avviare alcuna discussione con le "parti sociali" - in veste diretta o rappresentata. C'è davvero poco da dire di questi nuovi profeti, se non che (Matteo, 7:16) «li riconoscerete dai loro frutti» - i quali a quanto pare non piacciono neanche a loro: vendite al dettaglio al -1,9% a Dicembre, disoccupazione al +2% nel 2009 con una previsione dell'8,5% complessivo per il 2010, PIL al -2,5% quest'anno, con deficit e debito che salgono rispettivamente al 4% e al 110,3% del PIL, pareggio di bilancio rinviato a data da destinarsi. Si dirà - e con parziale ragione - che questo non è colpa di chi ci governa, che dipende da una congiuntura globale su cui nessuno può fare nulla; ma è proprio questo che contestiamo. Primo perché non è vero, una svolta radicale nelle nostre scelte di "sviluppo" appare, oggi, non solo possibile ma obbligata, e sta solo a noi (e a chi ci rappresenta) decidere se favorirla o ostacolarla; secondo perché nessuna contingenza, nessuna emergenza può giustificare l'introduzione di norme che non si possono leggere se non come un rigurgito di barbarie - e di fronte alle quali lo scandalo, pur nobile, è una forma di reazione assolutamente insufficiente.

21 febbraio 2009

I neofascisti aggrediscono un compagno a pochi metri dalla Direzione nazionale

dichiarazione di Paolo Ferrero, Segretario Nazionale del PRC-SE

Denunciamo con forza la gravissima aggressione subita poche ore fa da un compagno di Rifondazione che lavora alla sede della Direzione nazionale del Prc, aggredito in maniera brutale da un gruppo di militanti di estrema destra che stazionavano a pochi passi dalla sede nazionale del Prc con la scusa di attaccare manifesti proprio sotto la nostra sede.

Il ragazzo che lavora al prc e che è stato pesantemente aggredito si trova in questo momento al Pronto soccorso dell'ospedale Policlinico di Roma e sporgerà denuncia contro ignoti.

E' inaccettabile che a meno di 20 metri dalla sede nazionale del Prc sia permesso a militanti dell'estrema destra di agire indisturbati, di propagandare le loro idee politiche fasciste e antisemite a pochi passi dalla sede nazionale del Prc e di aggredire a freddo chi qui pacificamente vi lavora.

20 febbraio 2009

Il lavoro NON HA NAZIONE

Storie. Khedidja, la delegata che rappresenta gli italiani

È algerina ma si sente più italiana di Bossi. Marito della Guinea e tre figli «mulatti» che parlano la nostra lingua senza inflessioni. Khedidja Sayah lavora alla Tecnogas di Reggio Emilia, è rispettata da tutti perché si batte per l'unità degli operai

Khedidja Sayah è algerina e da 11 anni vive in Italia. Da 5 anni è operaia alla catena di montaggio della Tecnogas - il padrone è lo stesso Antonio Merloni che dalle Marche ha esportato la crisi in tutti gli stabilimenti in suo possesso - di Gualtieri, provincia di Reggio Emilia, meglio dire Bassa Reggiana che in realtà è a nord del capoluogo, verso la Lombardia. È sposata e ha tre figli «mulatti», il suo compagno è della Guinea e anche lui «fa l'operaio metalmeccanico».

Da 3 anni Khedidja è delegata sindacale, tessera Fiom.

Nell'intervento pronunciato con passione dal palco di piazza San Giovanni, durante la manifestazione nazionale dei lavoratori metalmeccanici e pubblici, aveva chiesto: «Bossi mi vuole togliere il visto di soggiorno e rispedirmi a casa? Va bene, lo accetto. Ma a voi italiani chiedo di togliere a Bossi il permesso di soggiorno in Italia, visto che attacca la Costituzione che è di tutti». Ci siamo fatti raccontare il suo lavoro, il rapporto con le operaie e gli operai, sia «italiani» che immigrati, che si rivolgono a lei dopo averla votata: da lei si sentono pienamente rappresentati, in questa crisi che alla Tecnogas è esplosa ben prima della bolla finanziaria.

«Lavoro alla catena di montaggio, assembliamo cucine e forni. Alla cadenza del lavoro fissata corrisponde un certo numero di elettrodomestici al giorno, variabile a seconda della complessità e delle dimensioni del prodotto. Da tempo, però, in Tecnogas si lavora poco o niente e le settimane di cassa integrazione diventano mesi. Lo sai che non ricordo da quanto tempo non ricevo una busta paga intera? Sono stata anche in cassa a zero ore, e lo sai che quando resti per un mese intero a casa arrivi a prendere solo 680 euro? Pensa che, prima di quest'ultima crisi, da noi potevamo guadagnare anche 1.400 euro, grazie al premio di risultato strappato con la lotta. Ora, dopo la richiesta di insolvenza e l'utilizzo della legge Marzano per la Antonio Merloni, è tutto congelato dalla procedura: premio, trattamento di fine rapporto, ferie».

La storia dell'Antonio Merloni è stata più volte raccontata sul manifesto, con le parole dei delegati e delle delegate di Fabriano, in provincia di Ancona. Alla Tecnogas «i guai seri sono iniziati 4 anni fa, i primi responsabili sono i manager che con una pessima organizzazione del lavoro hanno penalizzato il gruppo. Ma le responsabilità vanno cercate anche altrove, in tutte le direzioni. Nelle Marche crescevano gli esuberi, ma si sa, quella è la terra in cui i Merloni sono padri-padroni e in più, laggiù la Fiom non ha la maggioranza come qui a Reggio. La crisi non è mai stata affrontata con serietà, hanno sempre cercato di proteggere il territorio di riferimento e i figli. Così si è fatto male a tutti, e c'è qualcosa che non va se il padrone decide di mettere 190 milioni di tasca sua, soldi buttati in un pozzo senza fondo».

Khedidja è stata eletta delegata dal voto di «operai e operaie immigrati, ma soprattutto dagli italiani perché alla Tecnogas gli stranieri sono soltanto un centinaio su una forza di lavoro totale di 500 persone. Sono molto orgogliosa per questo e sono riconoscente al mio delegato storico che mi ha insegnato tutto, mi ha fatto crescere. Da noi la Fiom ha la maggioranza, del resto siamo a Reggio Emilia. Questo è un territorio speciale, e la nostra è una Cgil speciale. Da gennaio sono in distacco sindacale con legge 300 dello Statuto dei lavoratori. Ebbene, io come tutti gli altri compagni sindacalisti o delegati in distacco giriamo fabbrica per fabbrica dal mattino alla sera, mica stiamo in sede dietro la scrivania a scaldare le sedie».

È soltanto da un mese che Khedidja ha lasciato la sua fabbrica e già «mi mancano i compagni, mi manca il lavoro. Ma non ho tempo per le nostalgie, passo i giorni in strada a difendere i lavoratori. Provo a portare ovunque l'esperienza che abbiamo costruito alla Tecnogas. A Roma, a San Giovanni ho citato Vittorio Foa che diceva «dobbiamo essere d'esempio» ma non ho avuto il tempo per spiegarmi: volevo dire che noi alla Tecnogas lo siamo stati d'esempio, perché abbiamo costruito una rete forte basata sulla solidarietà, al di là del genere, della razza, del colore della pelle. Noi abbiamo due strade davanti, o siamo protagonisti del nostro futuro, almeno ci proviamo, altrimenti fai lo struzzo, metti la testa sotto la sabbia e subisci tutto. E' questo che vado predicando, tra una trattativa e l'altra».

Torniamo alla Tecnogas con la delegata algerina biturbo. Come si rapportano a te le operaie e gli operai italiani?

«Con me non hanno problemi, si parla di tutto. Anche di stranieri, di 'clandestini', poi magari qualcuno mi dice imbarazzato: 'Scusa, avevamo dimenticato che anche tu sei straniera'. Si vede che io faccio dimenticare la mia nazionalità. Io sono aperta al confronto, questa è la mia forma d'integrazione dentro un sindacato che per me vuol dire innanzitutto rappresentanza, senza divisioni di sesso o nazione».

Cos'è che vi tiene uniti, alla Tecnogas, a Reggio?

«I diritti che devono essere uguali per tutti. La dignità del lavoro. La Costituzione italiana che sento anche mia e che oggi qualcuno vuole stracciare insieme al mio permesso di soggiorno. Il più piccolo dei miei figli è nato in Italia, gli altri due sono arrivati qui che avevano rispettivamente 1 e 2 anni. Parlano italiano, senza accenti», racconta Khedidja con una leggera inflessione emiliana. «E ora, signor Bossi, che dovrei fare? Tornare là da dove sono venuta? Lo sai che ogni volta che ho bisogno di un documento di uno dei miei due figli nati fuori sono costretta a fare un viaggio per andarli a prendere? Con la carta di soggiorno potrei avere la cittadinanza italiana, ma ci vorrebbero almeno 6 o 7 anni».

Khedidja è molto preoccupata per la strada che ha imboccato il paese per il quale produce ricchezza, per certe leggi e certe parole di Bossi e dei suoi «che producono odio, e l'odio genera insicurezza e viceversa. Io chiamo all'amore non all'odio: amo più l'Italia io o il signor Bossi? Amo questo paese, e sono contro chi lo vuole dividere».

In fabbrica, nella Fiom, sei riconosciuta e apprezzata. Sei una figura positiva. Cosa ti succede quando varchi i cancelli ed entri nella società?

«Io sono una specie di Cenerentola adottata da tutti, rispetto tutti e vengo rispettata. Si discute, alla fine ci si incontra. Oh, guarda che siamo a Reggio Emilia», insomma un posto un po' speciale. «Le mie passioni, i miei amori, i miei interessi sono in Italia, questo fa la differenza. Ai migranti dico: guardiamoci allo specchio, abbiamo i capelli bianchi, lavoriamo qui e non siamo più gente di passaggio. Siamo abitanti di questo paese, perciò dobbiamo partecipare, dobbiamo impegnarci». In politica? «Macché, nel sindacato, siamo lavoratori. Non algerini o italiani, lavoratori, e io rappresento i lavoratori. Poi sono impegnata nel coordinamento migranti che abbiamo costruito come Cgil e Fiom. E' nel sindacato il mio impegno, le chiacchiere servono a poco».

Dunque, sarà perché vivi nel Reggiano e la tua integrazione l'hai realizzata, resta il fatto che nella società non trovi muri insormontabili come immigrata.

«Io no, e neanche i miei figli. Qualche volta, quando erano più piccoli mi dicevano che magari un loro compagno li aveva apostrofati: 'Negri!'. Io dicevo loro di non prendersela, 'sono degli stupidi, vedrai che con il passar del tempo capiranno. Ora non ci sono più questi problemi, noi siamo un esempio di tolleranza, da queste parti».

Però monta un clima pesante, in un'Italia che non assomiglia più di tanto a Reggio Emilia...

«Certo, sono molto preoccupata. Innanzitutto per le conseguenze di questa crisi economica così pesante. Atteggiamenti razzisti e leggi sbagliate rischiano di scatenare una guerra tra poveri, soprattutto quando non c'è più lavoro per tutti: il nord contro il sud, i vecchi lavoratori contro i giovani, gli uomini contro le donne, gli italiani contro gli immigrati. Il governo Berlusconi sta giocando con il fuoco, sta generando una situazione pericolosa che a un certo punto non sarà più in grado di governare. Nessuno di noi può sentirsi al sicuro, perciò nessuno di noi deve chiamarsi fuori, o mettere la testa sotto la sabbia. Non saranno certo i militari o le leggi speciali a farci sentire più sicuri, tantomeno a risolvere i problemi provocati dalla crisi».

Questa chiacchierata l'abbiamo fatta durante una pausa mensa, Khedidja ha ritagliato un po' del suo tempo tra un'assemblea e una trattativa nella pausa mensa. La sua pizza è ancora sul tavolo, ormai si è freddata ma questo non le ha tolto il buon umore. La determinazione, questa rappresentante dei lavoratori con un volto che sembra tratto da «La battaglia di Algeri» di Gillo Pontecorvo, di sicuro non rischia di perderla.

Il tuo padrone alla Tecnogas sarà contento di essersi tolto di mezzo una delegata come te, la sfotto.

«Sì, sarà contento ma si sbaglia, perché dovrà pur sempre trattare con il delegato storico, quello che mi ha insegnato il mestiere».

14 febbraio 2009

Democrazia al lavoro

di Dino Greco, direttore di Liberazione

Quello che speravamo e che era sommamente necessario per scuotere l'inquietante atmosfera in cui imputridisce la politica italiana è infine accaduto. Il lavoro, non nella sua astratta espressione sociologica, ma con i volti di donne e uomini "in carne ed ossa" ha fatto sentire la propria voce. Talmente forte e chiara da rendere risibile l'ennesima, stucchevole querelle sul numero dei partecipanti. Il fatto incontrovertibile è che per le vie di Roma è scorso un fiume in piena: lavoratrici e lavoratori sono scesi in sciopero nel bel mezzo di una crisi devastante che mette in gioco i loro posti di lavoro, la loro vita, il loro futuro, disposti a farsi carico di un'ulteriore decurtazione salariale per render chiaro a tutto il Paese, ad un governo imbelle e protervo, ad una tracotante Confindustria, che non sarà facile scaricare sui più deboli i costi del disastro economico. E che quanti hanno stipulato l'accordo separato che li deruba di salario, diritti, democrazia troveranno pane per i loro denti. Merito di Fiom e Fp quello di avere compreso la natura e la profondità di questo attacco. Rivolto, sì, in primo luogo, contro le persone che lavorano, ma luciferinamente organizzato anche per colpire quella parte del sindacato che non intende rinunziare ad un'autonoma rappresentanza del lavoro, che non si piega ad un ruolo servile nei confronti dell'impresa. La storia patria, da quella più antica a quella più recente, come quella continentale e d'oltre oceano, ci rende avvertiti che ogniqualvolta il sindacato è stato sconfitto (i controllori di volo nell'America di Ronald Reagan, i minatori di Arthur Scargill nell'Inghilterra di Margaret Thatcher) è l'insieme dei rapporti sociali che ne è uscito sconquassato, generando povertà, solitudine, disuguaglianza. E una drammatica implosione della democrazia. Oggi, siamo noi a vivere su questo crinale. Reso ancor più ripido dal più organico tentativo mai messo in atto, da sessant'anni a questa parte, di archiviare la Costituzione Repubblicana. Siamo cioè di fronte ad una riedizione di quella che lo storico Giovanni De Luna ha definito come «la latente tentazione antidemocratica della borghesia italiana», che oggi si sposa al sovversivismo clerico-fascista di una classe politica dirigente ignorante, corrotta e aggressiva. Credo che tutto questo abbiano capito - con quell'immediato istinto politico di cui tante volte hanno dato prova - le proletarie, i proletari che ieri sono così in tanti convenuti a Roma. Essi hanno avvertito il pericolo mortale, il bisogno di reagire direttamente, subito, in proprio, senza deleghe. Viene da lì un messaggio che è politico e morale insieme: provare ad ostruire una strada e ad indicarne un'altra, con una intelligenza dei fatti ed una determinazione che altrove latitano. Allora servono due cose: la continuità della lotta sociale, battendo colpo dopo colpo, ancora e poi ancora, finché il ferro è caldo. Ed un ruolo politico della sinistra, a partire dal Prc, sempre più necessario di fronte allo sconfortante cerchiobottismo del Pd.

13 febbraio 2009

Contro l'aumento dell'età pensionabile delle donne

Documento contro l'aumento dell'età pensionabile delle donne sottoscritto da donne della sinistra

Ci opporremo in ogni modo all’innalzamento dell’età pensionabile per le donne. Una misura che non è affatto obbligata dalla recente sentenza della Corte europea di giustizia, a cui pure si è arrivati per gravissima responsabilità del II e III governo Berlusconi, che hanno risposto con omissioni o non hanno risposto affatto alle richieste di chiarimenti sulla legislazione vigente nel nostro paese.
L’innalzamento dell’età pensionabile per le donne sarebbe una scelta profondamente ingiusta nei confronti delle donne e regressiva per l’intera società. Inaccettabile rispetto alla situazione esistente, inaccettabile rispetto al futuro che vogliamo costruire.

Ci opponiamo perché:

1. Tutto il dibattito pubblico è viziato dall’occultamento voluto di un dato che, se fatto valere, avrebbe determinato con ogni probabilità un esito diverso anche del contenzioso con la Corte di Giustizia. Le donne nel nostro paese, infatti, non sono “costrette” dalla normativa esistente a andare in pensione a 60 anni. Possono farlo se lo scelgono. Secondo l’articolo 4 della legge 903/77, una legge che esiste da ben 31 anni “Le lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative”.

Non si può configurare dunque nessuna discriminazione, ma solo una possibilità, un’opportunità positiva. Che le colpevoli omissioni dei governi Berlusconi producano come esito, l’obbligo di andare in pensione più tardi, questo sì, sarebbe punitivo e discriminatorio. Che il ministro Brunetta rilasci interviste pubbliche che falsificano i dati di realtà, questo sì, è politicamente e moralmente inaccettabile.

2. “Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali” diceva Don Milani. Questa considerazione tanto elementare quanto decisiva, non serve per perpetuare l’esistente, come strumentalmente viene sostenuto da molti. Serve all’opposto per obbligare a riconoscere le disuguaglianze e a fare scelte che non le aggravino ma all’opposto operino positivamente per rimuoverle. La vita delle donne nel nostro paese è gravemente segnata dal persistente assetto patriarcale dello stato sociale. L’asimmetria tra i generi è tra le più aspre su scala europea. L’Italia è penultima in Europa per occupazione femminile, la precarietà colpisce in maniera accentuata le donne, il differenziale retributivo medio rispetto agli uomini è del 23%. Concorrono a questa situazione più motivi: l’inadeguatezza e il sottofinanziamento complessivo dello stato sociale, insieme a un contesto culturale e simbolico che, più che altrove, perpetua l’inferiorizzazione delle donne dentro la tradizionale divisione di ruoli nella famiglia. L’ingresso delle donne nel mondo del lavoro è avvenuto senza che la società nel suo complesso abbia messo in discussione la divisione sessuata tra la sfera della produzione e la sfera della riproduzione biologica, domestica e sociale. Senza che si sia operato dunque né per la necessaria redistribuzione del lavoro, della responsabilità e del tempo della cura nè per l’altrettanto necessario sviluppo della rete dei servizi. Le conseguenze sono pesantissime. Il lavoro, il reddito, i percorsi contribuitivi delle donne restano accessori e supplementari. Il 20% delle donne lascia il lavoro alla nascita di un figlio, il 60% nella fascia di età tra i 35 e i 44 anni è costretta a ridursi l’orario di lavoro per prendersi cura dei figli minori. Il 77% del lavoro domestico e di cura è a carico delle donne. Una divisione di ruoli particolarmente rigida, rimasta pressoché invariata negli ultimi vent’anni. Secondo l’Istat, il tempo dedicato dagli uomini al lavoro familiare è cresciuto di 16 minuti in 14 anni. In questa situazione l’innalzamento dell’età pensionabile, non farebbe altro che rendere ancora più insostenibile la vita di tante donne.

3. A questa situazione si può porre rimedio solo con la riqualificazione e l’espansione dello stato sociale, portando la spesa sociale complessiva al livello della media europea e con la ripresa di una stagione di lotte per i diritti, la libertà e l’autodeterminazione delle donne, come fondamento di un diverso modello sociale più giusto e solidale.

Il governo Berlusconi dal suo insediamento ha messo in atto politiche opposte, segnate dall’ulteriore erosione delle protezioni e dei diritti civili e sociali, mercatiste e familiste al tempo stesso. Ha abolito la legge 188 che eliminava la pratica dei licenziamenti mascherati da dimissioni e ha precarizzato ulteriormente il lavoro. Ha tolto risorse ai centri antiviolenza. Ha eliminato le misure di contrasto a evasione e elusione fiscale, la cui entità nel nostro paese è la vera ragione del sottofinanziamento dello stato sociale. Ha programmato per il triennio 2009-2011 tagli pesantissimi per la sanità, per i comuni e le regioni, per l’istruzione. Ha tagliato il fondo per le politiche sociali, abbandonato il disegno di legge sulla non autosufficienza e previsto per il 2010 l’azzeramento del fondo relativo. Ha attaccato il lavoro pubblico.

L’obiettivo dichiarato nel Libro verde del ministro Sacconi è quello di privatizzare sanità, assistenza, formazione. Quello stesso Libro verde in cui sta scritto che si dovrà valutare “la necessità di promuovere un ulteriore innalzamento dell’età di pensione” anche per gli uomini. E in cui si chiede alla famiglia, cioè alle donne, di diventare un “soggetto virtuoso”.

La volontà di aumentare l’età pensionabile per le donne non è la conseguenza della sentenza della Corte di Giustizia, è parte integrante di un disegno sessista e classista, della volontà di fare regredire gravemente la qualità della vita e delle relazioni di donne e uomini, i livelli di civiltà guadagnati e ancora da guadagnare dalla soggettività politica e dalle lotte delle donne.


Promuovono:
Lidia Menapace, Luciana Castellina, Roberta Fantozzi, Daniela Alfonzi, Imma Barbarossa, Sabina Bigazzi, Rosa Calderazzi, Lidia Campagnano, Maria Grazia Campari, Giovanna Capelli, Elena Casagrande, Eleonora Cirant, Eliana Como, Elena Del Grosso, Rossana Dettori, Titti Di Salvo, Angela Di Tommaso, Erminia Emprin, Maria Paola Fiorensoli, Eleonora Forenza, Haidi Giuliani, Rita Guglielmetti, Donata Ingrillì, Betty Leone, Donatella Linguiti, Monica Lanfranco, Lia Losa, Graziella Mascia, Manuela Palermi, Franca Peroni, Rosangela Pesenti, Barbara Pettine, Sabina Petrucci, Silvana Pisa, Marilde Provera, Patrizia Quartieri, Franca Rame, Rosi Rinaldi, Angela Ronga, Alessandra Salvato, Linda Santilli, Anita Sonego, Gabriella Stramaccioni, Marina Toschi, Katia Zanotti.

Per adesioni: donnescelgono@libero.it

aderiscono:
Stefania Calzolari, Miriam Prati, Fabiana Motgan, Bianca Pomeranzi, Ausilia Ferrarotti, Adriana De Mitri, Enza Miceli, Filomena Perna, Tonia Guerra, Nadia Mastropasqua, Michela Carlotti, Baraldi F., Loretta Tartufoli, Ester Aparo, Amalia Albano, Mauro Cassano, Andrea Pendezzini, Cristiana Cimmino, Aurelia Cotone, Alessandra Mambelli, Stefania Grittani, Serena Lombardi, Alfredo Di Sirio, Maria Pia Trevisani, Assunta Sarlo, Anita Giuriato, Claudia Lauri, Maris Baldi, Jeanine Carteau, Cinzia Quagliotti, Claudio Ravasio, Maria Grazia Donno, Anna Maria Bruni, Parisina Dettoni, Gabriella Zonno, Patrizia Mancini, Pina Garofalo, Anna Meluso, Linda Mazzoni, Manuela Mangili, Belotti Marta, Giovanna Vertova, Grazia Meriggi, Milly Gambirasio, Nicoletta Pirotta, Maria Francesca Atene, Marika Castiglioni , Antonella Mantovani, Leda Sartori, Antonella Rosicarelli, Mario Priarolo, R.S.U Fiom Ferrari auto, Caterina Cimelli, Maria Assunta Federici, Sigrid Marchiori, Teresa Coltellese, Giusy Chiaramonte, Maddalena Cattaneo, Linda Caramia, Alfonso Di Sirio, Silvia Mazzini, Silvia Cortesi, Adelaide Coletti, Carmen Plebani, Monica Farnetti, Fiorenza Addivinola, Rita Fiorani, Patrizia Locaputo, Nunzia Raimondi Augeri, Daniela Zuffa, Liliana Curnis, Silvana Moretti, Proietti Gaffi Patrizia, Maria Campese, Anna Rozza, Maria Elisa Moretti, Giovanna Guaraldi, Giancarla Nobili, Giorgio Nobili, Federica Bergamaschi, Maria Rosaria Marchioro, Alice Correale, Cristina Papa, Rita Gussago, Franca Sartini, Cristina Intraina, Silvia Salvi, Marta Intraina, Mirca Molinari, Maria Carla Baroni , Mara Seracini, Cristina Angelucci, Pinucci Stefania, Luisa Garavelli, Nunzia Pandoli, Alidina Marchettini, Luisa Spagnolo, Zandonà Patrizia, Pietro Fattori, Anna Faggi Vicenza, Angelica Lo Russo, Giorgio Marcandelli , Luisa Parodi, De Laurentiis Dinora, Rosa Tavella, Cinzia Bottene, Giuliana Beltrame, Tiziana Valpiana, Susanna Poole, Serenella Angeloni Cortesi, Mara Baronti , Chiara Cattaneo, Alessandra Bonalumi, Carmen Bendotti, Maria Teresa Salvi, Nora Gamba, Ionne Guerrini, Maria Marangoni, Daniele Boniani, Maila De Bianchi, Luciana Preden, Michela Bellini, Nadia Rinaldi, Susanna Ragazzini, Lorena Cipriani, Cinzia Bronzatti, Dottori Commercialisti associati Bardazzi, Fausta Squatriti, Myriam Verdi, Ciresini Margherita, Elisabetta Genoni, Annamaria Mastrantuoni, Nunzia Augeri, Alfia Miano, dr. Cristiana Marchese, Marina Loro Piana, Quartesan Paola, Lucia Spadacci, Coordinamento Nazionale Donne Fisac CGIL, Letizia Bolognesi, Rita Pappalardo, Giuliana Righi, Giovanna Cabassa, Ines Valanzuolo, Vernola Michela, Antonio Ferraro, Maria Grazia Negrini, Laura Tonoli, Marina Venieri, Paola Santini, Annalisa Comuzzi, Tiziana Demarchi, Giuliana Ortolan, Bonotto Elisabetta, Giuseppe Gomini, Damiani Cesarina, Liberini Gabriella, Pino Delle Noci, Pierangela Piovano, Silvia Conca, Gabriella Scotti, Chiara Sergi, Mattia Laconca, Teresa Mariniello, Elisabetta Biagetti, Centro Donna di Urbino, Lucia Brilli, Patricia Tough, Maria Saponaro, Fara Saponaro, Rita Canderolo, Maria Tricarico, Rosaria Pescara, Adriana Spera, Manuela Rosini, Maria Ruggeri, Rag.Rita Biancalani, Simonetta Scarlatti, Amadio Mirella, Berardi Rita, Canini Maria Gabriella, Capozza Raffaella, Cerro Roberta, Ciani Agata, Ciarrocchi Maria Gabriella, Cirri Marina, Colacicchi Rosalba, Colella Rosa, Costantini Rosa, Cristofanelli Luciana, Cuocci Giacinta, De Paolis Delide, Di Lucente Teodolinda, Di Michele Carlotta, Di Tella Celilia, Fastampa Laura, Illi Marina, Lo Bue Carmela, Lo Russo Maria Luisa, Lucarelli Maria Luisa, Meucci Paola, Montrone Luisanna, Pellegrini Patrizia, Sanzari Patrizia, Sappino Laura, Scarciglia Patrizia, Scarlatti Simonetta, Simonetti Adele, Venditti Patrizia, Vitullo Angela, Stella Summa, Giusy Montini, Luciana Mattei, Alessandra Visani, Franca Del Cotto, Luicia Barbieri, Valeria Franchi, Maria Luisa Garavelli, Eleonora Bortolot, Maria Antonietta Garofalo, Vincenzo Rocco Lacava, Grazia Francescatti, Rosaria Rivoli rsu Ikea, Caterina Marmo, Giorgetti Monica, Emanuela Zucchini, Mariagraziella Ruberto, Dott. Neide Ornella Borghini, Adriana De Mitri, Giuseppe Scognamillo, Marco Vilevich, Giancarla Zucchini, Gabriella Cappiello, Libera Mazzoleni, Claudia Cesselli, Enrica Pezzotta, Antonio Marchiafava, Marianna Clericuzio, Laura Tonoli, Anna Nocentini, Antonia Crippa, Mattioli Fiorella, Giancarla Marzola, Monica Zammarchi, Corinna Rinaldi, Giorgio Marcandelli, Graziella Vallacchi, Bruna Benvenuto, Brunella Canovi, Eleonora Montagna, Andrea Musacci, Elisabetta Bonaiuto, Chiara Aloardi, Roberta Massone, Merighi Nives, Rosa Capozzi, Teresa Zuccaro, Vladimiro Lionello, Sonia Sapienza, Dott. Fiorenza Minervini, Cecilia Lanave, Olga De Pascale, Loiudice Angela, Maria Antonietta Sale, Carla Basso, Giovanna Boatta, Ines Marina Scarpa, Pietrina Chessa, Vitello Alessandra, Giuliana Collet, Donatella Costa, Giovanni Miraglia, Antonella Muratore, Maristella Ghiazza, Rosalba Giacoppo, Isabella Filippi, Renata Bellucci, Fiorella Colleoni, Giovanna Guizzetti, Marzia Piccin, Corinne Lanoir, Primarosa Pia, Maria Luisa Mantovani, Eliana Riggio, Maria Pia Benci, Enrico Peyretti, Angelita Peyretti, Francesca Balena, Luisa Aprosio, Graziella Giacomini, Emanuela Garibaldi, Fabrizio Bertoli, Donatella De Paoli, prof.ssa Aurora Delmonaco, Bianca Pividori, Marcella Pepe, Pistore Emanuela, Tiziana Valente, Marta Ugolini, Federica Misturelli, Nadia Filippini, Katia Silvestrini, Anna Vanzan Venezia, Annalisa Bruni, Donatella Di Muro, Carmen Garavaglia, Francesca Simeoni, Valentina Vogliolo, Rosalba Toderi, Daniela Delleani, Irene Rui, Guido Zentile, Lia Arrigoni, Angela Parodi, Maria Rita De Momi,Alberta Marin, Paola Boccardo,Sonia Giorietto, Cristina Cirillo, Cristina Cirillo, Simona Elli, Elena Giretto, Maria Cailotto, Emilia Bausani, Elisabetta Grigolo, Maria Luisa Pellizzaro, Michela Bortolozzo, Roberto Bertarello, Margherita Granero, Annapia Lobbia, Maria Carolina Rocco, Annachiara Pumilia, Daniela Anichini, Elia De Pasquale, Calà Nina, Ruggiero Maria Rosaria, Laura Re Garbagnati, Lorella Galli, Miriam Cailotto, Maria Germinara, Costabel Rosalba, Mitzi Menusan, Vavalà M.Antonia, Marisa Tron, Enrica Ricca, Camboni Angela, Rivoira Silvia, Peyrot Giuseppina, Elisabetta Marauda, Antonella Griglio, Federica Dotta, Annalisa Mariano, Manuela Masini, Loretta Costantino, Rosa Marinella Granero, Susanna Berteotti, Durand Ombretta, Iris Donini, Renata Rosso, Alice Papandrea, Sara Favout, Daniela Ruffini, Susanna Stratimirovich, Roberto Loddo, Mario Pasini, Bianca Busato
Giustifica

11 febbraio 2009

Direzione Prc: il programma di Rifondazione per le elezioni europee

Le prossime elezioni europee avvengono proprio mentre è evidente, in tutto il mondo, il fallimento del modello del capitalismo globalizzato. Siamo di fronte ad una crisi di carattere sistemico, non solo economica e finanziaria, ma sociale, alimentare, energetica, ambientale, che sta scuotendo l'intero pianeta. La crisi della globalizzazione capitalista conferma la scelta riaffermata al Congresso di Chianciano del PRC , ovvero quella del rilancio del progetto strategico della rifondazione comunista e di ripresa del percorso cominciato a Genova e proseguito con la grande esperienza partecipativa dei Social Forum, quello della sua internità al movimento mondiale contro la globalizzazione capitalistica e la crisi economica che questa ha prodotto.

In Europa ciò richiede il rafforzamento dell'unità della sinistra antiliberista, anticapitalista e delle forze comuniste, sia nell'ambito del Partito della Sinistra Europea sia in quello del Gruppo Parlamentare Europeo della Sinistra Unitaria Europea-Sinistra Verde Nordica. L'Europa di Maastricht mostra oggi tutti i limiti di una costruzione fondata sul primato del mercato sulla democrazia, sul dogma monetarista che ha imposto politiche finanziarie ed economiche che hanno prodotto aumento delle disuguaglianze, privatizzazioni dei servizi pubblici e controriforme dei sistemi di welfare su tutto il continente, congiuntamente alla precarizzazione del lavoro, alla deregolamentazione dei mercati e alla discriminazione dei migranti.
Una discriminazione che si è tradotta nell'accentuarsi della guerra tra poveri, nel perpetuarsi di condizioni di subalternità giuridica nell'accesso ai diritti di cittadinanza reale, nell'approvazione di vere e proprie "leggi razziali".

Quest'Europa è quella che viene confermata dai contenuti del Trattato di Lisbona e contro cui si sono espressi i popoli europei che hanno potuto pronunciarsi.
Neoliberista e allo stesso tempo ademocratica. Un' Europa a misura delle banche e non dei popoli. Dove il potere è sempre di più nei governi e sempre meno in assemblee democraticamente elette. Un'Europa che è stata fin qui subalterna alla Nato e complice della guerra preventiva, incapace di proporre una politica di pace e di disarmo.

Questa Europa si è retta su una grande coalizione, formata dai più grandi partiti europei, in primis popolari e socialisti, che sono responsabili di queste politiche liberiste e che hanno praticato una costruzione mercantile e non politica dell'Europa. E' dunque necessario contrastare fortemente questa grande coalizione e costruire l'alternativa alla lunga stagione del neoliberismo.

La Direzione Nazionale decide quindi di dar vita ad un percorso di costruzione della lista in vista delle elezioni europee, aperto e in relazione con i soggetti e le forze del movimento altermondialista, anticapitalista, comunista, femminista, LGBTQ, ambientalista, sindacale. Sulla base del Documento Congressuale, la Direzione nazionale decide pertanto di promuovere una lista da presentare alle prossime elezioni europee che, partendo dalla presentazione del simbolo di Rifondazione Comunista-SE, condivida la scelta di appartenenza al GUE-NGL, unisca tutte le forze anticapitaliste, comuniste, di sinistra, sulla base di contenuti alternativi al progetto di Trattato di Lisbona e all'impostazione neoliberista e militarista dell'Unione Europea.

La proposta che avanziamo è quella di una lista, che si ponga l'obiettivo di rovesciare queste politiche economiche e sociali antipopolari, che hanno prodotto la crisi, a partire dal programma elaborato dal Partito della Sinistra Europea. Con un percorso partecipato, vogliamo quindi costruire, riconoscendo la non autosufficienza di Rifondazione Comunista, una lista che sia un concreto segnale di unità della sinistra di alternativa; lista di cui siano protagonisti tutti i soggetti che stanno pagando la crisi e tutti i movimenti che si stanno battendo contro le politiche neoliberiste che l'hanno causata: lavoratori, precari, donne, giovani, studenti, pensionati e migranti. Una lista che faccia sue le ragioni di chi in questi anni e in questi mesi sta lottando, nella scuola e nei luoghi di lavoro, per la giustizia sociale e la libertà femminile, che sappia opporsi al razzismo e all'offensiva clericale del Vaticano. Che si batta per un intervento pubblico finalizzato alla riconversione sociale e ambientale dell'economia, per la redistribuzione del reddito, contro la guerra, le spese militari e per il disarmo europeo. Una proposta che rivolgiamo ai tanti e alle tante che da Genova in poi hanno animato l'esperienza dei Fori sociali e che hanno contribuito a dare gambe e sostanza all'idea di un'altra Europa possibile.

Una lista da costruire attraverso una grande partecipazione di tutti coloro che decideranno di farne parte e di sostenerla, al fine di unire e consolidare le forze che in Europa si battono per una uscita da sinistra dalla crisi, per un'alternativa al liberismo e alle fallimentari politiche della grande coalizione fra popolari e socialisti europei. Una lista per un'altra Europa possibile: dell'uguaglianza, della pace, della giustizia sociale ed ambientale , dei diritti e delle libertà.

In questa prospettiva è necessario sviluppare il massimo di iniziativa per evidenziare il percorso politico e di lotta per l'altra Europa, sostenendo e partecipando alle iniziative di movimento già in cantiere e decise dal forum Sociale di Belem, fra le quali il 28 marzo a Londra contro il G20, il 4 aprile a Strasburgo contro la NATO, l'8-10 luglio in Sardegna contro il G8.


Approvato con 3 astensioni

08 febbraio 2009

Battere l'offensiva clerico-fascista

di Paolo Ferrero, Segretario Nazionale PRC-SE

Ieri è stata una grande giornata di mobilitazione contro il governo Berlusconi e l'offensiva clerico fascista che il presidente del consiglio ha aperto. Berlusconi non è rimasto con le mani in mano e ha puntato dritto all'obiettivo dicendo a proposito della Costituzione quello che lui considera l'insulto peggiore e cioè che è sovietica.
Berlusconi ha cioè deciso una offensiva in grande stile, in cui il destino della povera Eluana è evidentemente un puro pretesto. L'obiettivo di Berlusconi è lo sfondamento del quadro di regole in cui vive il nostro paese; questo al fine di poter modificare in modo duraturo i rapporti di forza tra le classi e determinare una uscita da destra dalla crisi. L'offensiva di questi giorni va ad aprire nuovi contenziosi in una situazione che vede già numerosi fronti aperti. Principalmente quattro.
In primo luogo, in sintonia con Confindustria, ha aperto il fronte sindacale, come nel 2002, puntando ad isolare la Cgil e a distruggere il sindacato come espressione autonoma della classe.
In secondo luogo Berlusconi ha aperto il fronte con la Magistratura cercando di metterle la mordacchia, sia sulla riforma della giustizia che sulla vicenda delle intercettazioni.
In terzo luogo il governo ha approvato un decreto sicurezza che radicalizza l'estremismo della Bossi Fini e costruisce sul piano legislativo il migrante come capro espiatorio.
Da ultimo, in sintonia con il Vaticano, ha aperto l'offensiva contro il Presidente della Repubblica, mettendo definitivamente in discussione ogni parvenza di laicità dello Stato e l'equilibrio dei poteri che ci consegna la nostra Costituzione. Nella concezione fascista che caratterizza la cultura di Berlusconi, il potere derivante dal popolo deve essere assoluto, privo di vincoli e di regole: un potere sovrano per l'appunto, come ci ha insegnato il teorico Carl Schmitt, tanto caro ai nazisti.
Il tutto avviene in un contesto di crisi economica pesantissima, destinata a durare a lungo, in cui milioni di persone vedono peggiorare la propria condizione di vita e guardano al futuro con paura.
La mia opinione è che Berlusconi abbia aperto troppi fronti e che le reazioni ad ognuno di questi si possano sommare. Taluni pensano che Berlusconi stia facendo una manovra diversiva, per nascondere i problemi della crisi economica. A me non pare. Sia perché la logica che lo guida è una linea politica compiuta, espressione aggiornata del Piano di Rinascita democratica di Licio Gelli. Sia perché mi pare possibile nella concreta situazione italiana lavorare a sommare questi fronti, facendo si che le questioni democratiche non nascondano quelle sociali e viceversa.
E' del tutto evidente che il principale vantaggio di cui gode Berlusconi è dato dall'ignavia dell'opposizione parlamentare. Il PD guidato da Veltroni ha nei confronti di Berlusconi un atteggiamento a dir poco schizofrenico: oggi dice che è un fascista ma ieri ci si è accordato per riscrivere le regole del Paese, dalla legge elettorale contro la sinistra alla riscrittura dei regolamenti parlamentari per permettere al governo di operare in modo più spedito. Come se non bastasse, sui contenuti sociali, il PD chiama alla mobilitazione contro il governo ma parallelamente lascia completamente isolata la Cgil, una cosa che non era mai accaduta nell'Italia repubblicana. Da parte sua, Di Pietro agisce il suo populismo giustizialista unicamente per lucrare sulla crisi del PD, ma non costruisce nulla a positivo. E' una forma di estremismo di centro che ci presenta un Berlusconismo rovesciato. Si può affermare con chiarezza che la principale forza di Berlusconi è data dall'inconsistenza dell'opposizione. Va anche registrato che tra le forze della sinistra ex parlamentare il grado di consapevolezza dei problemi non mi pare altissimo se è vero com'è vero che le nostre proposte di costruire un coordinamento delle opposizioni di sinistra è regolarmente caduto nel vuoto.
In questo contesto noi dobbiamo fare due cose. La prima è lavorare a massimizzare il conflitto, la denuncia, l'aggregazione su ogni singolo problema. Dalla questione sociale alla giustizia alla laicità dello stato alla democrazia. Costruire su ognuno di questi terreni il massimo di iniziativa politica, culturale, di mobilitazione, sia nazionale che sui territori. Tutti i fronti vanno agiti cercando il massimo di allargamento dei medesimi, il massimo di coinvolgimento di tutti gli interlocutori disponibili, il massimo di efficacia.
La seconda è costruire una opposizione efficace, che padroneggi i diversi fronti di lotta e proponga una alternativa complessiva, evitando ogni scorciatoia frontista che in nome della difesa della democrazia lasci indietro le altre questioni, a partire dalla questione sociale. Non può essere il PD la spina dorsale di questa opposizione. Oggi per difendere la democrazia occorre difendere i salari e per battere il razzismo occorre bloccare i licenziamenti e generalizzare gli ammortizzatori sociali.
Agire consapevolmente su due livelli evitando cortocircuiti frontisti è la vera sfida che oggi devono ingaggiare i comunisti per sconfiggere il clericalismo fascistoide di Berlusconi.

07 febbraio 2009

L'erede della Loggia P2

di Dino Greco, direttore di Liberazione

Il Paese, la democrazia repubblicana sono sotto scacco. Al rifiuto del Capo dello Stato di controfirmare il decreto che ordina di riprendere l'alimentazione forzata di Eluana Englaro, Berlusconi risponde con la convocazione delle Camere (anche se non rientra nei suoi poteri farlo) per approvare, a tamburo battente, attraverso il voto di fiducia, una legge che risolva in radice l'oggetto del contenzioso. Sembra che, nelle ultime ore, questa tracotante intenzione abbia incontrato, nella stessa maggioranza e specialmente nel Presidente della Camera, qualche significativo contrasto. E che, "in articulo mortis", l'uomo di Arcore sia stato costretto a scegliere una strada formalmente meno dirompente: un disegno di legge affidato ad un percorso parlamentare accelerato. Ma resta, tutta intera, l'intenzione eversiva, l'insofferenza sempre più marcata verso ogni e qualsiasi regola o potere che si frappongano all'esercizio del suo potere assoluto. Si guardi alla successione di eventi di questa convulsa giornata. Prima Berlusconi si scaglia contro il presidente della Repubblica, accusato di avallare con il suo diniego niente meno che il reato di «omissione di soccorso di una persona in pericolo di vita». Poi, in un crescendo rossiniano, dichiara che la decretazione d'urgenza, il ricorso al voto di fiducia, rappresentano il modo ordinario, necessario, di governare. E se ciò non bastasse - ma i nessi logici si fanno qui assai laschi - si rammenti che è sempre possibile tornare dal popolo sovrano per ottenerne un mandato plebiscitario a cambiare la Costituzione. In un sol colpo, il caudillo italiano squaderna l'intero suo repertorio, ereditato - come è sempre più evidente - dal «programma di rinascita democratica» del «venerabile maestro» Licio Gelli: minaccia il capo dello Stato e ne usurpa le prerogative, ignora la sentenza della Corte di Cassazione, si sbarazza del Parlamento, attacca con ossessione compulsiva la Costituzione, travolge ogni senso di laicità dello Stato per conformarsi alle pulsioni più reazionarie della gerarchia vaticana, esercita un'inaudita violenza sul corpo di una donna costringendola a protrarre un'esistenza puramente vegetativa, compie un gesto di crudele sopraffazione sulla sua famiglia. Ve n'è più che abbastanza per comprendere che - forse come non mai in questa pessima stagione politica - si sia superata la soglia di guardia, oltre la quale sono davvero messe a repentaglio la democrazia e le libertà fondamentali. Non è bene attendere che la corsa si fermi in fondo al piano inclinato. Perché allora potrebbe essere troppo tardi. Occorre mobilitarsi, da subito, in tutto il Paese, costruendo la massima unità.

06 febbraio 2009

Unità del PRC per ricomporre la diaspora

di Claudio Grassi - segreteria nazionale Prc

A distanza di pochi mesi dal congresso nazionale di Rifondazione Comunista tutto è più chiaro. Ciò che appariva avvolto nelle nebbie dell'indefinito (il «processo costituente», «la sinistra senza aggettivi», «la nuova soggettività politica») oggi ha un nome («Movimento per la Sinistra») e un primo gruppo dirigente votato da un'assemblea.
L'obiettivo immediato è dare vita ad un nuovo partito che si presenti alle prossime elezioni (europee e amministrative) in concorrenza con il Prc. Quello a medio termine, per esplicita ammissione di suoi autorevoli esponenti, è disarticolare il Partito democratico e costruire un nuovo soggetto politico con a capo Massimo D'Alema.
Da questi dati di fatto evinco alcune riflessioni.
La prima: per mesi siamo stati accusati di agitare fantasmi e siamo stati inchiodati ad un dibattito nominalistico alquanto stucchevole sulle differenze tra scioglimento, superamento e dissoluzione del Prc. Durante il congresso molti compagni hanno sostenuto il documento di Nichi Vendola proprio perché rassicurati in ordine alla persistenza politica e organizzativa del partito. Oggi possiamo dire che, per raccogliere consensi tra la "base", non si è voluto esplicitare chiaramente e limpidamente il proprio progetto politico. E' quindi del tutto naturale che molti iscritti, che nei congressi avevano votato la mozione Vendola, oggi non abbiano nessuna intenzione di uscire dal partito.
La seconda: il progetto scissionista che prende corpo in questi giorni è profondamente debole, perché fondato sul paradosso di voler unificare la sinistra separandosi da Rifondazione Comunista che comunque resta, pur con tutti i suoi limiti, il partito più rappresentativo della sinistra stessa e spaccando tanto l'area congressuale che si era raccolta a Chianciano intorno al documento «Rifondazione per la Sinistra», quanto l'assemblea che si era convocata allo scopo di formalizzare la scissione.
La terza riflessione è forse la più semplice, perché emerge con tutta evidenza dai propositi di chi è uscito da Rifondazione. La costruzione di un nuovo partito della sinistra (a maggior ragione nella variante che lo vedrebbe scaturire direttamente dalle contraddizioni interne del Partito democratico) è funzionale alla definizione di un quadro di rapporti che vedrebbe gravitare la nuova formazione politica nell'orbita del Partito democratico e del Socialismo Europeo. Con il carico di subalternità strutturale che sarebbe facile prevedere. Ma allora perché avere investito vent'anni nella rifondazione comunista? Perché avere investito nel progetto di rifondare un partito comunista respingendo all'epoca le sirene occhettiane di un soggetto della sinistra socialdemocratica?
Anche il recente esperimento elettorale dell'Arcobaleno (che alludeva implicitamente al superamento del Prc qualora l'esperimento avesse funzionato) non fa, inoltre, che confermare il destino fallimentare di qualsiasi impresa affine: moderata sul piano politico (non a caso al fondo di quell'impresa si continua a rimuovere la ragione principale della nostra sconfitta e cioè la nostra esperienza di governo) e post-comunista sul terreno dell'identità (con l'aggravante che per giustificare tutto questo si è voluto denigrare il Prc usando argomenti talmente grossolani da rendere scarsamente credibili coloro che li hanno proposti prima ancora di quanti sono stati i destinatari di quelle critiche).
Proviamo a pensare cosa sarebbe successo se, invece che produrre sei scissioni in diciotto anni, le ragioni di dissenso che le hanno motivate si fossero ricomposte all'interno di una dialettica del Partito della Rifondazione Comunista. Sarebbe oggi più debole o più forte la sinistra nel suo complesso? Sarebbe più lontana o più vicina la prospettiva di unificare la sinistra politica e sociale del nostro Paese?
Ciò di cui abbiamo bisogno è altro. Dismettere la supponenza di chi ritiene di essere Dio in terra. Di essere il depositario della "innovazione" (i cui risultati, però, non si accetta mai di sottoporre a verifica) e in nome di ciò poter perennemente denigrare i percorsi altrui. Rifondazione Comunista - che può essere criticata per mille motivi e che negli ultimi anni ha teso ad emarginare le minoranze (chi scrive ne sa qualcosa) - ha comunque un funzionamento democratico ed è attraverso un congresso democratico che si è dotata di una linea politica che è il frutto di un dibattito e, alla fine, di una sintesi tra posizioni differenti che, appunto democraticamente, si confrontano.
È un presupposto che vale per quei compagni che ancora sono esposti nel limbo che si è creato dall'ambigua oscillazione tra intenti scissionisti e propositi di restare nel nostro partito e, ancor di più, per noi e per quei compagni che hanno scelto di investire nel Prc. La storia politica italiana degli ultimi vent'anni dimostra che non c'è unità della sinistra senza unità del suo partito più forte. Noi siamo disposti a ribadirlo proponendo a tutta la diaspora della sinistra anticapitalista e comunista di entrare o rientrare nel Prc, disponibili a costruire assieme il suo nuovo profilo e proponendo a tutte e a tutti la gestione unitaria e la direzione collegiale del Partito.

02 febbraio 2009

Rifondazione Comunista sul risultato delle primarie del PD montecchiese

A conclusione delle Primarie indette dal Partito Democratico per scegliere chi dovrà essere il prossimo candidato sindaco, Rifondazione Comunista può fare una prima valutazione politica a partire dalla scelta operata dai cittadini che hanno votato in larghissima misura Paolo Colli.

Se finora, come forza politica, non ci siamo mai permessi di intervenire nel merito e nel metodo del percorso dei democratici, a conclusione delle primarie, ora ci sentiamo di congratularci con il futuro candidato Colli. Riteniamo che i cittadini che si sono recati ai seggi allestiti dal partito abbiano voluto dare un messaggio chiaro preferendo Colli all’altro candidato Azio Minardi, erede e continuatore, a nostro parere, dell’attuale amministrazione. Evidentemente la scelta è ricaduta su un esponente autorevole del partito, con una certa esperienza nell’ambito degli enti locali e che, al contrario di Minardi, rappresenta un elemento di discontinuità rispetto alla Giunta del sindaco Giglioli.

In considerazione di questo, Rifondazione Comunista saluta con favore il risultato raggiunto da Colli e rinnova la propria disponibilità al dialogo e al confronto sui programmi e sui metodi, nel segno di un reale rinnovamento della politica territoriale a Montecchio.

A margine della nostra valutazione politica sul risultato delle primarie, vogliamo intervenire sull’episodio accaduto sabato pomeriggio e che ha coinvolto in prima battuta Paolo Colli, accusato di aver voluto allontanare una ragazza italo-araba che avrebbe prestato opera di volontariato ai seggi.

Apprendiamo dell’episodio dai quotidiani locali e non siamo dunque testimoni dell’accaduto, ci limitiamo per tanto a fare due valutazioni.

La prima riguarda il metodo. Una consultazione elettorale legittima necessita di un organo organizzativo e uno di controllo; i due devono condividere e concordare sul metodo della consultazione affinché non vi siano contestazioni e irregolarità. Ciò che emerge dai giornali invece è che, al contrario, questa condivisione all’interno del PD non vi sia stata, generando così l’episodio.

Non intravvediamo elementi di razzismo nell’esclusione della giovane ai seggi avendo stima e fiducia che nessuno dei due candidati (Colli e Minardi) avrebbe permesso che la ragazza fosse discriminata, ma piuttosto ci sembra di poter intravvedere delle incomprensioni in capo all’organizzazione.

Nel merito, vorremmo esprimere apprezzamento per le Primarie montecchiesi che hanno visto la partecipazione di un buon numero di migranti denotando un primario interesse da parte loro ad essere partecipi della vita del paese segnando un passo importante verso il coinvolgimento ai processi democratici di tutti i cittadini presenti sul territorio, nessuno escluso.

01 febbraio 2009

Fuori dai palazzi per una politica di massa

di Paolo Ferrero - Segretario Nazionale PRC-SE

Vi sono epoche storiche in cui il tempo sembra scorrere più veloce, in cui si producono cambiamenti repentini, in cui ciò che due mesi prima appariva impossibile viene considerato normale. Vi sono epoche in cui i giorni valgono anni. Io penso che oggi stiamo attraversando una di queste epoche. La crisi che ha investito il sistema capitalistico a livello mondiale è destinata a modificare pesantemente le nostre vite. In Italia questa crisi sarà particolarmente pesante e oggi cominciamo ad averne una qualche consapevolezza.
In Italia più di un milione di persone perderanno il proprio posto di lavoro. Di questi la metà non avranno alcuna forma di sostegno del reddito. Molti stavano pagando il mutuo per la prima casa e la perderanno. La paura per il futuro tende a sostituire l'incertezza e l'insicurezza che già caratterizzavano gli ultimi anni.
La crisi non durerà pochi mesi, ma è destinata a durare a lungo perché non è frutto di un incidente di percorso degli speculatori finanziari ma è il frutto maturo della globalizzazione capitalistica. In questi venti anni è raddoppiato il numero di lavoratori salariati a livello mondiale e parallelamente è sceso il salario relativo. In questi anni ovunque nel mondo e in particolare in Italia sono aumentati i profitti e le rendite ed è diminuita la massa salariale e le pensioni. Questa iniqua distribuzione del reddito è all'origine della crisi: i lavoratori non hanno i soldi per comprare le merci che producono. I padroni non hanno nuovi mercati verso cui indirizzare la produzione eccedente. Da questa crisi non si esce senza un rovesciamento della distribuzione del reddito e senza una radicale messa in discussione delle tipologie di produzione e della stessa mercificazione dei valori d'uso.
Nello stesso tempo, il sistema politico italiano vive una crisi irrisolta. Il passaggio dalla prima alla seconda repubblica non ha dato luogo ad una costruzione stabile, ma piuttosto ad una costruzione fragile. Il ricorso sempre più diffuso al populismo e il continuo scontro tra poteri dello stato ne è un chiaro indizio. Quella italiana, più che una lunga transizione, sembra alludere ad una sorta di crisi della repubblica di Weimar al rallentatore.

Una crisi costituente
Per queste ragioni io penso che ci troviamo di fronte ad una crisi "costituente", ad un punto di passaggio che modificherà radicalmente il quadro dei rapporti sociali, delle culture dominanti, delle rappresentanze politiche. La crisi - questa è la mia tesi - ha una valenza qualitativa simile alla crisi del '29 e - in scala ridotta - alle guerre mondiali. Questa crisi non è un passaggio ma una fucina da cui il materiale che entra viene radicalmente trasformato.
In questa situazione, potenti forze operano per una uscita da destra dalla crisi. Oltre a Confindustria, il governo nel suo impasto di populismo reazionario e politiche economiche antisociali propone nei fatti come sbocco la guerra tra i poveri, o meglio, una gestione autoritaria della frantumazione del conflitto sociale. Il Pd non va oltre alcune suggestioni da borghesia illuminata; accetta la riforma della contrattazione e il peggioramento dell'iniqua distribuzione del reddito isolando la Cgil e risponde alla sua crisi strategica - non è in grado di assumere una posizione chiara su nessun tema - forzando il carattere bipartitico della politica italiana e provando a distruggere la sinistra.
Le altre forze politiche presenti certo non sono in grado di rovesciare questa tendenza. Di Pietro ha accumulato consensi agitando l'antiberlusconismo e costruendosi una posizione di rendita sull'ignavia veltroniana, ma non propone alcun elemento progettuale in grado di prefigurare una uscita dalla crisi. Una parte della sinistra di alternativa - tra cui i compagni e le compagne usciti dal Prc - ha piegato il tema dell'alternativa all'interno della gabbia dell'alternanza, condannandosi così all'impotenza.

Il nostro progetto
Il nostro progetto al contrario propone una uscita da sinistra dalla crisi. Visto il carattere delle classi dominanti e delle rappresentanze politiche, proponiamo una uscita in basso a sinistra dalla crisi, perché non è all'orizzonte nulla di simile a quanto si è prodotto negli Stati Uniti con la vittoria di Obama. In altri termini non è alla portata un governo che persegua un New Deal comunque inteso, per cui la costruzione di uscita da sinistra dalla crisi deve necessariamente passare per una costruzione dal basso, in termini di conflitto, di vertenzialità, di progettualità, di costruzione di relazioni sociali solidali ed egualitarie.
Il nostro progetto si può così declinare: ridistribuire reddito, ridistribuire potere, riconvertire l'economia in senso ambientale e sociale attraverso un intervento pubblico forzato dal conflitto sociale. Questo progetto, per potersi realizzare, deve muoversi su più livelli: il conflitto sociale, la battaglia culturale, la pratica mutualistica della solidarietà, la riproposizione sul terreno della politica della prospettiva dell'alternativa.
A tal fine dobbiamo ripensare completamente il modo di essere e di agire del nostro partito. Occorre evitare qualsiasi continuismo e burocratismo interno. Il peggior ostacolo che oggi noi abbiamo è costituito dall'incapacità di capire che la realtà si è rimessa in movimento e nel pensare che si tratta di resistere, di aspettare che "passi la nottata". Noi non siamo impegnati a fare una traversata del deserto in cui si tratta di resistere. Non siamo gli ultimi sopravvissuti di un esercito sconfitto chiamati a far la guardia a cosa resta di un passato glorioso dopo che la guerra è finita. Siamo dentro una guerra di movimento in cui le identità sociali, politiche e culturali che abbiamo ereditato sono messe pesantemente in discussione, disarticolate dalla crisi,a ma anche disponibili al conflitto ed a cercare una via di uscita. Il problema oggi è la capacità di abbandonare completamente un atteggiamento di testimonianza e di propaganda per assumere una linea di massa che sappia interagire con la novità introdotta dalla crisi e su questa costruire le opportune alleanze e convergenze.
Questo, a mio parere, significa fare tre cose. In primo luogo essere costruttori di conflitto. Lo sciopero di Fiom e Funzione pubblica del 13 febbraio e il percorso di lotte pensato dalla Cgil così come le lotte che metterà in piedi il sindacalismo di base, non sono fatti sindacali. Sono la principale risorsa di mobilitazione su cui innervare un tentativo di uscita a sinistra dalla crisi. Dobbiamo lavorare a generalizzare queste lotte e a costruire mille punti di aggregazione, mille vertenze sul territorio. La rivendicazione di estendere gli ammortizzatori sociali a tutti coloro che perdono il lavoro - qualsiasi sia il lavoro, dai precari, ai dipendenti delle aziende artigiane, a tutta la platea del lavoro subordinato - è, da questo punto di vista, obiettivo centrale della piattaforma.
In secondo luogo essere costruttori di pratiche mutualistiche e di solidarietà, di vertenzialità con gli enti locali, per combattere la solitudine delle persone, dare risposte concrete a problemi concreti e creare legami comunitari solidali. Nessuno deve essere lasciato solo nella crisi.
In terzo luogo dobbiamo dare forma al progetto, dobbiamo trasformarlo in bandiere, slogan, ideali, proposta politica. Dobbiamo demistificare il carattere non naturale della crisi e unire le rivendicazioni materiali con la lotta al razzismo e al sessismo. Dobbiamo unire la richiesta della redistribuzione del reddito con la proposta dell'intervento pubblico per la riconversione ecologica e sociale dell'economia. Dobbiamo cioè avere chiaro che il nostro "essere comunisti" deve essere oggi completamente piegato al nostro "fare i comunisti", cioè al nostro costruire qui ed ora il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente.
Non è poco ma non è impossibile. Soprattutto è indispensabile.