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Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
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22 gennaio 2009

Il Partito Democratico lascia sola la CGIL

di Dino Greco, direttore di Liberazione

Veltroni si schiera e va all'attacco del lavoro. Su tutto il fronte. La lunga intervista concessa ieri al Sole 24 Ore , malgrado qualche passaggio criptico, non lascia margini d'equivoco. La latitudine dell'intervento è vastissima. Innanzitutto le pensioni, tema sensibile su cui da oltre tre lustri si sforbicia a oltranza. La disponibilità dichiarata è quella ad un «adeguamento dei coefficienti che darebbe un po' di respiro ai conti pubblici». In soldoni, ciò vuol dire che per destinare qualche risorsa all'estensione degli ammortizzatori sociali per la platea che ne è ancora priva bisogna decurtare il valore delle pensioni. Ancora una volta la tesi è che l'operazione si deve fare "a costo zero", spalmando quel che c'è, togliendo da una parte ciò che si mette dall'altra: tutto rigorosamente dentro il perimetro del lavoro. Poi Veltroni si allarga, e in una esternazione dall'afflato formalmente unitario chiede al sindacato di superare vecchie incrostazioni ideologiche e riprendere il cammino unitario. Ma l'appello, con tutta evidenza, non è neutro. E' sulla Cgil che si fa pressione. Dopo una sequenza impressionante di accordi separati (commercio, lavoratori pubblici, scuola, Telecom, ecc.) ed altri in gestazione (sul testo unico in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e in alcuni grandi gruppi industriali), Cisl e Uil si apprestano ora a sottoscrivere con le associazioni imprenditoriali - complice il governo - un accordo generale sul modello contrattuale. Veltroni non può non saperlo. Ma proprio mentre Guglielmo Epifani spiega le robuste ragioni che impediscono alla Cgil di unirsi al coro, egli rivolge alla Cgil l'invito a piegarsi al diktat confindustriale. Che, come è noto, delinea e formalizza un modello negoziale imperniato sulla progressiva eutanasia del contratto nazionale, sulla riduzione programmata dei salari, su una contrattazione integrativa limitata ad un'area ristretta di lavoratori e di lavoratrici, subordinata ad un aumento della fatica, delle ore lavorate e legata alle performance dei bilanci aziendali. Veltroni non può non vedere che quell'intesa incide nella carne viva delle relazioni industriali, muta il carattere stesso del sindacato, ne compromette l'autonomia, prefigura un sindacato consociativo che sostituisce la contrattazione con una rete di commissioni bilaterali. Ma è esattamente questo sindacato, aconflittuale, collaborativo, sterilizzato della sua identità progettuale, ad inscriversi perfettamente nella cosiddetta cultura "riformista".
Fa una certa impressione osservare come l'ostentato obamismo, condito in salsa veltroniana, al dunque si traduca in un plateale ripiegamento sulle posizioni della Confindustria e del governo che dell'attacco ai diritti del lavoro hanno fatto il focus del proprio condiviso disegno strategico. Né si capisce come la cecità si possa spingere sino al punto di ignorare che dall'impoverimento salariale, da un ulteriore freno ad una più giusta redistribuzione della ricchezza prodotta dal lavoro sociale, vengono guai, guai seri, per tutta l'economia e per la coesione dei rapporti sociali. Poi, la chicca finale. Veltroni mette il marchio del Pd sulla riforma del rapporto di lavoro modello Tito Boeri e Pietro Ichino: un contratto «tendenzialmente» a tempo indeterminato per tutti, ma con tutele dai licenziamenti illegittimi che si guadagnano solo strada facendo, nel tempo. Ci risiamo: è di nuovo l'attacco all'articolo 18, è la riedizione del sogno confindustriale di disporre di uno zoccolo di lavoratori da poter licenziare senza giusta causa. E', di nuovo, l'idea malsana che per estendere i diritti a chi ne è privo sia necessario toglierli a qualcun altro. Sotto traccia, ma neppure tanto, vive la convinzione che i giovani debbano passare attraverso le forche caudine di una selezione delle imprese. Le quali, solo dopo, confermeranno a propria discrezione il posto a chi avrà garantito fedeltà. O complicità, come piace dire al ministro Sacconi. «Patto fra produttori» lo ha definito Veltroni: bizzarra idea della reciproca convenienza.

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