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martedì 26 febbraio 2008

Bertinotti: campagna elettorale gentile? Loro però puntano ad annientarci... (*)

(*) di Anubi D'Avossa Lussurgiu - da Liberazione del 26/2/2008

Cielo grigio su... Sembra davvero il clima evocato dalla lontana canzone dei Dik Dik. Il clima che incombeva fisicamente domenica su Reggio Emilia, dove Fausto Bertinotti ha svolto la sua prima, affollata iniziativa fuori dalle mura di Roma come candidato premier della Sinistra Arcobaleno. E il clima, mediatico prima ancora che politico, che incombe su questa campagna elettorale: che Bertinotti ieri ha denunciato in televisione, ospite di Ritanna Armeni e di Lanfranco Pace ad "Otto e 1/2" su La7 .
Grigio cielo della teoria, diceva anche Rosa Luxemburg: ma qui non si tratta di teoria, sono i mutismi dei "due pilastri" Pd e Pdl. Silenzi speculari. Che si esercitano sul panorama della crisi di società, vissuta ogni giorno in Italia. Si sognava California negli anni 60 per fuggire dal conformismo conservatore. Adesso invece è il rinnovato conformarsi dei due grandi blocchi politici ad un pensiero unico, che invoca il "sogno americano". Peccato che sia nel caso del George W. Bush «caro amico» di Berlusconi sia in quello della versione "adattata" di Barack Obama interpretata da Veltroni, si tratti di un'America irreale. Se là c'è la novità dei temi sociali che battono sulle primarie presidenziali, qui il conflitto sociale viene rimosso.
I colori però ci sono, sotto questa cappa plumbea. Sono a colori i volti delle lavoratrici e dei lavoratori, immigrati e nativi, menomati quando non uccisi - come accade tanto spesso - dal lavoro in nero e dalla violazione dei diritti; dallo sfruttamento che si manifesta in pressioni insopportabili su ritmi e sulla qualità stessa del lavoro. Sono a colori quei volti, cui Daniele Segre restituisce voce in "Morire di lavoro". Che è il film col quale Bertinotti, a Reggio Emilia, in una sala d'un centro congressi piena di gente che sognava California quarant'anni fa e di tanta altra che allora era lontana dal nascere, ha inaugurato la sua campagna in giro per l'Italia. Un modo già questo controcorrente. Non la pubblicità, ma il cinema. Non gli spot suggestivi proiettati sui fondali digitali dei comizi da piazza mediatica: ma ragionamenti ad alta voce, discorsi politici, che poi fanno largo alla parola diretta dei soggetti che si vuole rappresentare. Alla verità delle loro esistenze, raccolta dal cinema mentre è taciuta dalle classi dirigenti.
Diventa grigio anche il lavoro, quando si tenta di blandirlo senza nominarne la liberazione necessaria. E' un sindacalista come Tiziano Rinaldini - con il fratello Gianni segretario generale della Fiom confuso nel pubblico in un discrezione sciolta solo alla fine nell'abbraccio con Bertinotti - ad avvertire in premessa che il lavoro, sì, «è tornato di moda»: con candidature sullo sfondo di tragedie omicide quale quella della Thyssen Krupp, con «promesse» e con «tanta comprensione» enunciata a piene mani. Ma il punto è «prendersi la responsabilità di affrontare oppure no la realtà del conflitto sociale». Qual è la risposta del Partito democratico si sa bene.
A Reggio Emilia, domenica, Bertinotti registra che appena gli è giunta una critica, Veltroni ha reso «meno gentile» la campagna elettorale, verso sinistra. Il leader del Pd ha contrapposto il 2008 al 1953. Per usare poi la definizione di «marziano». Epiteto rivolto a chi - all'unisono con Berlusconi - si vuole escludere da quella democraticissima formula: «voto utile».
Alle provocazioni Bertinotti risponde con due registri. Con quello apparentemente leggero della satira di Altan: alla platea reggiana il candidato premier della Sinistra Arcobaleno ricorda quella vignetta degli anni 80, nella quale un compagno diceva a Cipputi «vedi, la lotta di classe non c'è più»; e lui rispondeva «spiegalo al padrone». Poi, c'è il registro immediatamente serio: che tramite la memoria richiama alla coscienza, all'onestà intellettuale. Così «se nel '53 era Marcinelle, oggi è la Thyssen Krupp». Dal ricordo dell'ecatombe mineraria di Marcinelle, anzi dal ricordo d'uno dei superstiti incontrato decenni dopo, Bertinotti trae una frase che vorrebbe si traslasse in «parola d'ordine martellante» nella campagna elettorale: «Vuoi sapere perché sono morti? Sono morti perché il carbone allora valeva più della vita umana». Ed è lo spunto per sviscerare l'oggi: quando quell'insegnamento vale per il prevalere d'ogni merce sul valore della vita. E tanto più dal momento che «il capitalismo mette ormai all'opera non solo le mani, ma anche i corpi e le menti e con una metafora riassuntiva l'anima delle persone».
Allora, affonda Bertinotti sull'attualità elettorale, a contare nelle proposte d'una politica in crisi è la verità del rispettivo approccio ai «rapporti sociali». A quelli che «una volta» si definivano «rapporti di potere tra le classi». Ed è «per stabilizzare questi», avverte, che «bisogna che la sinistra non esista come tale nel panorama politico». Ciò che si propone con una «competizione elettorale ridotta a due in maniera coatta». Ed è di converso perciò che «fare vincere, far affermare un soggetto politico rinnovato della sinistra qual è la Sinistra Arcobaleno è davvero una sfida decisiva per il futuro del Paese».
Vale, questo appello a riappropriarsi d'un «canale nelle istituzioni», per il lavoro dipendente "formale" come e tanto più vale per «il precariato». Ma vale per il lavoro tout court come in generale per «le istanze, i conflitti e le lotte che sono presenti nella società civile». Perché sinistra è continuità di «una scelta di parte», come recita il primo slogan scelto dall'Arcobaleno. Ma questa parte è plurale, multiforme, differente all'interno dello stesso impulso alla «liberazione». Che è «liberazione del e dal lavoro salariato». E', al pari, «liberazione della natura e del pianeta dalla logica cieca dello sviluppo capitalistico». E, ancora e infine, è «liberazione della persona, delle persone»: dall'«alienazione» di questo «dominio della merce» così come della «risposta speculare e altrettanto alienatrice», quella del «fondamentalismo» religioso. Lo stesso che minaccia la «laicità dello Stato» come «garanzia della libertà di scelta».
Appunto: l' imprinting alla campagna elettorale bertinottiana, dato da Reggio Emilia domenica, è nel "tenere insieme" questa pluralità di spinte liberatrici, più ancora che di sigle partitiche. L'unità è una novità necessaria per quelle, anzitutto. E tanto più che, come Bertinotti torna a battere ad "Otto e 1/2" e prima ancora allo Speciale Tg1 , la pressione per «il voto utile» è «il grande imbroglio». Cui il Pd concorre. Più centro che sinistra, il partito di centrosinistra fa l'autodafé della sinistra.
Per non rispondere, magari, a semplici verità come quella ripetuta da Bertinotti ieri sera: che se oggi ci fosse - «pur senza chiamiarlo scala mobile» - un «meccanismo di adeguamento dei salari all'inflazione reale», realizzato annualmente e stabilito di volta in volta (per smentire l'alibi del rischio d'inflazione che verrebbe da una "attesa" alimentata di continuo), adesso «anche i prezzi sarebbero più controllati».
All'inverso si finisce per minacciare l'autonomia del sindacato. Quella che Di Vittorio indicava: «Dai padroni, dal governo e dai partiti». Mentre ora la «conquista dell'autonomia» ridiventa, con «un Pd che mostra una propensione avvolgente», un «problema». In primo luogo della Cgil, che nel Pd «rischia l'arruolamento».
Con la realtà del capitalismo, anche la «coalizione autonoma delle lavoratrici e dei lavoratori» deve scomparire nel grigio del «duopolio». Anche per questo ci vogliono i colori dell'Arcobaleno. A tinte forti, magari.

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