"Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada" Majakovskij

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mercoledì 31 dicembre 2008

Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

di Mustafa Barghouti - Ex ministro dell’informazione del governo di unità nazionale palestinese

Ramallah, 27 dicembre 2008


E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l’elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e d’altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all’angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele? Se l’obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas.
Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l’esercizio della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa. Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l’ennesima arma di distrazione di massa per l’opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i civili.
Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia. E se Annapolis è un processo di pace, mentre l’unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine dell’occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall’altro lato del Muro?

Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l’indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento.
Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli. Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell’aria, come sugheri sull’acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola? Una clinica forse? Delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele.
Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant’anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati? Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull’ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l’esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo.
Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l’ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori.
La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

(testo raccolto da Francesca Borri)

martedì 30 dicembre 2008

L’appello di Ferrero: Sinistra, mobilitati per la pace in Palestina

di Checchino Antonini

«A Gaza non v’è alcuna “operazione chirurgica”, è solo un massacro - dice Paolo Ferrero, poche ore dopo il ritorno dal suo primo viaggio in Palestina - chiediamo la fine immediata di qualsiasi azione militare e che l’Italia e l’Europa, o l’Onu, non si limitino solo a fare appelli, ma prendano una posizione netta, adottando anche delle sanzioni».

Subito dopo l’atterraggio, per il segretario nazionale di Rifondazione comunista, è stata una giornata incollata al telefono per costruire una mobilitazione «urgente e necessaria». Il suo vuole essere un appello, non una convocazione. «Una proposta di parte nuocerebbe alla costruzione di una iniziativa, la renderebbe più difficile», spiega. L’appello è diretto al tessuto dell’associazionismo, ai sindacati, a tutte le forze della sinistra per ricostruire un grande movimento per la pace, per ripartire da una manifestazione nazionale. «Ma senza alcuna equidistanza - insiste - siamo di fronte ad una azione militare da crimine di guerra, per cui non c’è nessuna giustificazione e dove non c’è nessuna relazione tra missili di Hamas e l’azione messa in campo.


La situazione è più critica di quella che viene raccontata dalle tv italiane. Anzi, la stampa israeliana m’è parsa più pluralista della nostra (e tutti, con la parabola possono vedere al Jazeera) dove nessuno ha dato notizia dell’uccisione di personale delle Nazioni Unite, sette funzionari».

L’offensiva israeliana ha sorpreso Ferrero a Gaza. «La notizia ci ha raggiunto mentre ero a Ramallah, a colloquio con Mustafa Barghouti leader di al mubadera», racconta a Liberazione, poche ore dopo il rientro da un giro che lo ha visto tra Gerusalemme, Betlemme, Tel Aviv, Hebron, «dove ho visto l’apartheid da vicino».

«Dopo l’inizio degli attacchi ho visto sparare dai check point di Ramallah ai ragazzi palestinesi che protestavano e lanciavano pietre». Dopo aver preso parte al culto di fine d’anno nella Chiesa luterana di Betlemme e alla messa di Natale nella Basilica della Natività, il segretario Prc ha incontrato i rappresentanti dei cinque partiti della sinistra palestinese, impegnati nella costruzione di un raggruppamento; ha avuto un colloquio con il presidente dell’Anp Abu Mazen; una serie di incontri bilaterali con i vertici dell’Unione democratica palestinese (Fida), col segretario del partito del popolo, Bassam Saleh e, appunto, con Barghouti. Alla Knesset, il parlamento israeliano, ha parlato con il segretario del partito comunista, poi, una volta a Tel Aviv,con Ran Cohen, del Meretz, unico nella commissione difesa e affari esteri, a votare contro il proseguimento dell’offensiva.

«Ho visto che il processo di pace è bloccato - racconta - Israele costruisce, nei fatti, l’apartheid in cui i palestinesi, senza diritti, sono soggetti a varie forme di arbitrio». Quella che riporta in Italia, dopo un fitto programma fatto anche di contatti con la società civile e visite al Museo della Shoa e alla moschea di Gerusalemme, è l’immmagine di due realtà segregate: «Ci sono i muri, non “il muro”, a fare da cintura per i bantustan palestinesi e gli insediamenti dei coloni, connessi tra loro da strade separate che, a volte, viaggiano parallele, solo che quella per gli israeliani è un’autostrada, l’altra è disseminata di check-point. Quella di “due popoli due stati” non è l’ipotesi di Tel Aviv». E, in questo contesto, l’offensiva su Gaza è «un massacro - dice Ferrero - con centinaia di vittime perpetrato da uno stato occupante. I razzi di Hamas sono solo un pretesto. Le reali motivazioni sono dettate dalla campagna elettorale in corso in Israele e, posto che ci fosse, dalla volontà di rendere impossibile che la nuova amministrazione Usa possa chiedere semplicemente il rispetto dei patti».

Infatti, l’Anp ha abbandonato il tavolo, al disastro umanitario si aggiunge la destabilizzazione dell’area, «il rafforzamento dei due fronti integralisti, quello arabo e quello israeliano». Ecco perché, per Ferrero, la moblitazione è urgente e l’equidistanza non regge: «La guerra rafforza Hamas e chi sostiene il conflitto di civiltà. Come nella guerra del Golfo. E’ la riapertura del fronte che pensavamo chiuso con la sconfitta di Bush».

sabato 27 dicembre 2008

Gaza: fermiamo la guerra. Subito


da Ramallah - Paolo Ferrero e Fabio Amato

La notizia dell’inizio dell’attacco israeliano a Gaza ci arriva mentre salutiamo Mustafà Barghouti, l’ultimo in ordine di tempo di una serie di incontri con i leaders di tutte le forze della sinistra palestinese. Ci aveva appena raccontato della drammatica situazione che aveva visto poche settimane prima, quando era riuscito ad aggirare il blocco della striscia, arrivando via mare, da Larnaca, a Gaza.
Una situazione disumana, con condizioni di vita sempre più misere. Più di un milione di persone senza cibo, medicinali, elettricità, acqua. Questa è la Gaza che viene bombardata indiscriminatamente dall’esercito israeliano. Questa è la Gaza che subisce una rappresaglia di violenza inaudita, sproporzionata e completamente ingiustificata, per la rottura del cessate il fuoco e l’irresponsabile lancio di missili qassam da parte di Hamas. Mesi di privazioni iniziate con la vittoria del movimento islamico nelle elezioni parlamentari del 2006 e che hanno visto solo peggiorare giorno dopo giorno la situazione. Due anni di blocco e assedio.
Le tv arabe rimandano in tutti i territori e in tutto il mondo le immagini di quella che è stata annunciata dall’esercito israeliano e accreditata dai suoi più accondiscendenti alleati – a partire dagli USA e dal governo italiano- come un operazione chirurgica. Al contrario, un massacro. Centinaia di corpi, di donne e uomini, di bambini, ricoperti di sangue, trasportati negli ospedali in cui manca di tutto. Sono queste immagini a scatenare la rabbia dei ragazzi di Qalandia, Ramallah, di Hebron, come di Jenin, che subito riempiono le strade o sfidano i soldati israeliani con il lancio di pietre e fionde. Li abbiamo visti al Check point di Qalandia –, accucciati dietro ad un terrapieni a tirare pietre mentre i soldati israeliani semplicemente sparavano con il fucile. E non sparavano lacrimogeni. Nessuno si aspettava un attacco cosi repentino. Si stava ancora cercando di far ripartire canali politico negoziali quando il girono di Natale abbiamo incontrato Abu Mazen ci aveva preannunciato la sua visita odierna in Arabia Saudita per tentare la ripresa di un canale diplomatico, sia con Israele che con Hamas. L’attacco degli aerei israeliani è stato sferrato mentre Abu Mazen era in volo, a segnare ancora di più quell’impotenza dell’autorità nazionale palestinese che uscirà da questa vicenda ancora più indebolita.

Perché in realtà la situazione è paradossalmente ancora più grave di quella che si possa immaginare guardando le immagine delle centinaia di morti di Gaza. Il problema vero è che oggi in Palestina non ci troviamo di fronte ad un processo di pace interrotto o che procede a rilento. Ci troviamo di fronte alla costruzione concreta di un regime di apartheid, che strutturalmente rende impossibile la realizzazione di quanto stabilito dagli accordi e cioè la costruzione di due stati per due popoli. La costruzione dell’apartheid non è dichiarata ma praticata e la costruzione del muro – meglio sarebbe dire dei muri – costituisce la sua affermazione concreta. Oggi in Medio Oriente non abbiamo un territorio palestinese e uno israeliano ma bensì un territorio israeliano che si espande progressivamente con nuovi insediamenti di “coloni” che vengono difesi dalla polizia e dall’esercito israeliano e uniti da strade che sono utilizzabili solo da auto con targa israeliana. Parallelamente i check point rendono gli spostamenti dei palestinesi dei calvari interminabili, senza contare che i varchi nel muro, possono essere chiusi in ogni momento. I diritti dei palestinesi semplicemente non esistono perché possono essere sospesi in ogni momento, in ogni luogo, per qualsiasi motivo, dalle forze dell’ordine. Come ci ha detto un pastore luterano incontrato a Betlemme, la Palestina sembra una fetta di gruviera, dove Israele ha il formaggio e i palestinesi i buchi. Questa condizione che caratterizza la situazione degli ultimi anni è oggi aggravata da due elementi.

Da un lato la campagna elettorale israeliana. Per paura che le forze della destra aumentino i consensi, le forze di governo hanno nei fatti cominciato la campagna elettorale attaccando Gaza. Mettere i palestinesi in una condizione ancora peggiore è il vero motivo su cui si giocheranno – in nome della sicurezza – due mesi di campagna elettorale.

In secondo luogo il cambio della leadership statunitense, con i fratelli musulmani di cui fa parte Hamas – e con l’appoggio dell’Iran - che hanno tutta l’intenzione di accreditarsi come vero interlocutore con cui dover scendere a patti da parte degli USA.

E’ quindi tutto il processo di pace e la possibilità di costruire due stati per due popoli che viene bombardato a Gaza.

Per questo è necessario che un aiuto immediato venga dall’esterno. Occorre lavorare da subito e mobilitarsi per richiedere la fine dell’aggressione a Gaza e la fine dell’operazione militare che negli annunci dell’esercito israeliano dovrebbe durare vari giorni ed estendersi ulteriormente. Dobbiamo chiedere che il governo italiano e l’Europa chiedano con nettezza la fine incondizionata dell’aggressione da parte israeliana. Si riunisca d'urgenza il consiglio generale delle Nazioni Unite. Occorre chiedere che queste non si accodino, come da troppo tempo succede, a quanto sosterranno gli Stati Uniti, o - peggio ancora,- si producano in vuote dichiarazioni di buon senso a cui non seguirà nulla.
Il silenzio sul boicottaggio continuo, quotidiano degli accordi di pace, diventa complicità e questa complicità deve essere d enunciata per poter essere fermata.

I ragazzi palestinesi sono scesi in piazza oggi spontaneamente rischiando la vita. Domani (oggi per chi legge) è stato proclamato uno sciopero generale dei territori. Facciamo sentire la nostra voce anche noi, che non rischiamo nulla, per denunciare l’aggressione e per chiedere la fine immediata di ogni azione militare. Perché è con la politica e non con i missili che si può costruire la pace in Medio Oriente.

GAZA, FERRERO CON SINISTRA ISRAELIANA: “FERMARE RAID E CONSENTIRE ACCESSO AIUTI”

giovedì 25 dicembre 2008

NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO!

Si sono spese molte parole intorno alla crisi economico-sociale che sta colpendo il nostro Paese, una crisi nata da una parte come riflesso della grave congiuntura finanziaria globale e dall’altra come naturale evoluzione di tre decenni di politiche economiche nazionali incentrate sul massimo profitto per le aziende e la minima ridistribuzione dei guadagni per i lavoratori.

In maniera molto subdola e strisciante le lobbies, detentrici del potere economico, sono riuscite ad estromettere lo Stato dalla gestione dei settori produttivi trainanti in nome di una liberalizzazione e di una privatizzazione che solo sulla carta avrebbero portato benefici per tutti. In nome del libero mercato abbiamo invece assistito all’aumento sì della ricchezza, ma solo per chi già ricco era, mentre per contro si è precarizzato il lavoro, si è diminuito il potere di acquisto dei salari, si sono ridotti i diritti sociali; si è, in pratica, messa in ginocchio la vera forza produttiva del paese rappresentata da tutti quei lavoratori che per anni hanno portato e sopportato il peso di decisioni politiche ed economiche ingiuste e fallimentari.

Ma come si suol dire tutti i nodi vengono al pettine ed ora che la crisi si è palesata in tutta la sua gravità assistiamo ancora a manovre di economia creativa nel vano tentativo di raddrizzare una situazione ormai degenerata; mentre in molti paesi europei lo Stato si lancia nel salvataggio delle banche in crisi chiedendo garanzie che si estrinsecano nella nazionalizzazione o nel controllo degli istituti bancari salvaguardati dal denaro pubblico (Islanda, Regno Unito) o quantomeno indicando un tetto massimo di copertura finanziaria (Germania, Francia), il Governo Berlusconi “foraggia” indiscriminatamente banche, grandi industrie, gruppi imprenditoriali, senza chiedere alcun tipo di garanzia e senza fissare alcun tetto di spesa. Per poter portare avanti questa sua politica di appoggio incondizionato, Berlusconi e il suo Governo non trovano di meglio che andare a colpire laddove è più facile intervenire, laddove minore è la forza di reazione: si colpisce il lavoratore, direttamente e indirettamente.

Assistiamo a tagli indiscriminati alla scuola, alla sanità, ai servizi sociali, ai servizi in genere, aumenta la precarizzazione del lavoro, continuano i tentativi, appoggiati da alcune sigle sindacali, di svuotare la contrattazione nazionale di lavoro in favore di contrattazioni ad personam, di abolire l’articolo 18, di azzerare l’autonomia del sindacato e dei suoi rappresentati. In cambio si chiede ai lavoratori di lavorare di più per produrre di più, si chiede al lavoratore di mettersi a completa disposizione del mercato per permettere alla nostra economia di “girare” di rimettersi in moto.
Esempio di questa tendenza è la “controriforma” dell’attuale sistema contrattuale che vorrebbe aumentata a tre anni la durata del contratto legando gli aumenti salariali da una parte ad un indice di inflazione dal quale sono esclusi gli aumenti dei costi dell’energia e delle materie prime importate assumendo come base di calcolo i soli minimi tabellari e dall’altra alla produttività aziendale (con tutta la sua aleatorieta’) con contratti di secondo livello che, vista la parcellizzazione delle imprese italiane, potrà essere applicato solo al 20% delle stesse.

A questa impostazione delle cose Rifondazione Comunista non può che opporsi e lo slogan NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO racchiude in sé la condanna ad un modo di fare politica che va a solo vantaggio dei pochi.
Rifondazione chiede, e le manifestazioni che ci sono state a partire da quella di Roma dell’11 Ottobre scorso, ne sono la testimonianza che il Governo ancor prima di battersi a favore di Confindustria e dei suoi interessi corporativistici, si batta per la difesa dell’occupazione, per un aumento tangibile dei salari e delle pensioni, per una equa distribuzione della ricchezza accumulata e prodotta per anni da una classe economica oligarchica, per una generalizzazione degli ammortizzatori sociali estendendoli a tutti i settori e a tutti i contratti di lavoro precari compresi, per il riconoscimento dei diritti di tutti quei lavoratori migranti che rischiano di pagare ancora più degli altri la crisi con la perdita del lavoro e di conseguenza con l’espulsione.

Tutto questo va accompagnato da una tangibile politica sociale che non sia quella della “social card” che tanto ricorda le tessere annonarie della II Guerra Mondiale; per contrastare il carovita la via da percorrere è quella del controllo pubblico di prezzi e tariffe, l’istituzione di autorità che abbiamo poteri reali di sanzione nei confronti di cartelli trust e monopoli; va rilanciata l’edilizia pubblica a favore di tutte quelle famiglie che si vedono dimezzare i magri stipendi da affitti fuori mercato e fuori da ogni controllo e contemporaneamente vanno abbattuti i tassi sui mutui per l’acquisto della prima casa. Importanza particolare va attribuita alla lotta all’evasione fiscale e contributiva dalla quale, se attuata capillarmente, si potrebbero ricavare ingenti risorse da destinarsi al miglioramento delle condizioni dei ceti più deboli. Così come altre risorse potrebbero e dovrebbero essere recuperate tassando in maniera puntuale le grandi rendite finanziarie e colpendo con un’aliquota “europea” (almeno il 20%) i grandi movimenti speculativi dei capitali.
Altrettanta importanza assume, poi, il rilancio delle politiche industriali attraverso la promozione della ricerca, con investimenti dedicati alla riconversione delle produzioni industriali più inquinanti con lo scopo di renderle più rispondenti alle necessità legate alla crisi energetica, ambientale e climatica.

Dunque non solo NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO, ma LA CRISI LA PAGHI CHI L’HA CAUSATA!

domenica 21 dicembre 2008

Sulla fusione IRIDE-ENIA

In questi giorni sono apparsi sui giornali locali molti articoli riguardanti la fusione ENIA- IRIDE e le relative ricadute politiche dovute al voto contrario in consiglio comunale a Reggio da parte del PRC che subito dopo è stato “estromesso” dalla maggioranza.
Non vogliamo assolutamente riprendere tutta una serie di discorsi tecnici che già sono stati egregiamente sviscerati, discussi e commentati e tanto meno fare ulteriori commenti politici legati alla decisione unilaterale del Sindaco di Reggio Emilia di chiudere la collaborazione con il nostro partito a causa di una chiara e netta presa di posizione contraria ad una gestione di tipo privatistico di una serie di servizi di carattere essenzialmente pubblico.

Vorremmo porre, invece, l’accento sulle ricadute che certe decisioni potrebbero avere sul fruitore dei futuri servizi ENIA-IRIDE.

Con il venir meno dei patti para-sociali (nella migliore delle ipotesi tra 5 anni) il nascente gruppo quasi sicuramente perderà la maggioranza della compartecipazione pubblica per lasciare spazio ad una maggioranza di azionisti privati. La privatizzazione ha sempre significato per una azienda la ricerca di un miglior e massimo profitto a discapito del servizio offerto e delle tariffe applicate.
In pratica per il cittadino-utente si tratterà di pagare tariffe più alte per gli allacciamenti, di pagare di più le bollette di utenza, di dover confrontarsi con una azienda privata che ha necessità e modi di gestire il cliente finale in maniera completamente diversa dall’azienda pubblica o a maggioranza pubblica.

La fusione tra le due aziende, inoltre, rischia anche di portare ad un “ridimensionamento” del personale tecnico che, come in molte aziende private, verrà in parte sostanziale sostituito da lavoratori interinali, da cooperative o da aziende in appalto. In questo modo non solo si perderanno posti di lavoro, cosa di per sé gravissima e intollerabile in un periodo di crisi, ma verrà persa e dispersa anche l’esperienza e la capacità lavorativa di personale difficilmente sostituibile da nuove identità lavorative.

Non dimentichiamo poi che tra i tanti servizi offerti dal nascente gruppo c’è anche quello della gestione e distribuzione dell’acqua potabile, un bene naturale e da sempre a disposizione di tutti e che noi riteniamo assolutamente primario e non subordinabile ad alcun tipo di alienazione.

Resta dunque ferma l'opposizione del PRC di Montecchio a qualsiasi operazione in tal senso. La nostra opposizione vuole però essere, anche in questo caso, non sterile ma costruttiva. Per questa ragione presenteremo in consiglio comunale emendamenti e ordini del giorno volti ad indirizzare le decisioni nella direzione sopra esposta.

Emendamenti e OdG presentati nel Consiglio Comunale di Montecchio:

Emendamento allo Statuto

Emendamento ai Patti Parasociali


Ordine del Giorno su Enia

venerdì 12 dicembre 2008

Siopero generale , ottima riuscita. Ora è necessario proseguire la lotta alle politiche di Governo e Confindustria

Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc

Sono davvero felice dell'ottima riuscita dello sciopero generale indetto oggi dalla Cgil e dai sindacati di base, sciopero cui ho partecipato a Pescara, regione alla vigilia di una importante prova elettorale e in cui stasera, a Chieti, chiuderò la campagna elettorale del Prc.

Adesso, però, rispetto allo sciopero generale e alla lotta al governo Berlusconi e ai suoi nefasti provvedimenti economici e sociali, bisogna proseguire, nelle lotte, e non fermarsi, per costruire una vertenza generale per uscire dall'attuale crisi economica a sinistra.

Ecco perché è necessario da un lato aumentare stipendi e pensioni e finanziare la spesa sociale attraverso la tassazione delle rendite e delle specculazioni finanziarie e una patrimoniale, dall'altro dare garanzia a chiunque perda il posto di lavoro della cassa integrazione.

Da questo punto di vista, penso non solo che sia profondamente sbagliata l'assenza del Pd dalle piazze e dagli scioperi di oggi, ma anche che questa assenza la dica lunga sulla suubalternità del Pd alle politiche di Confindustria e, di conseguenza, del governo.

Ecco perché penso che sia altrettanto urgente che la sinistra d'opposizione, soprattutto quella oggi extraparlamentare, si coordini e lavori assieme a partire da alcuni, semplici, punti programmatici per uscire a sinistra dalla crisi, invece di continuare a perdere tempo in inutili e politicisti cartelli e alchimie tutte e solo elettorali.

Dichiarazione di Nando Mainardi, Segretario Regionale PRC Emilia Romagna

Comunicato della Camera del Lavoro Territoriale di Reggio Emilia

sabato 6 dicembre 2008

Un fiocco nero contro le morti sul lavoro



Una così grande tragedia, la sofferenza dei famigliari, dei compagni di lavoro, di tutti, fu un grido che non si poteva non ascoltare, ci disse che quando di lavoro si muore la società intera porta una ferita profonda, ci disse ciò che già sapevamo: ogni giorno vi sono morti, ogni giorno gli incidenti sono migliaia, di lavoro ci si ammala e l’amianto ha ucciso e uccide ancora.

Sono lavoratori italiani, rumeni, curdi, slavi, indiani e di tante altre parti del mondo. Il popolo degli invisibili, del lavoro nero, le vittime ignote pagano il prezzo più alto. Nulla rende la vita più precaria della morte.

Dicemmo allora: mai più morti sul lavoro, non si può restare indifferenti, rifiutiamo l’assuefazione. Lanciammo una campagna per il diritto alla dignità e alla vita sul lavoro. Ci mobilitammo. Ricordate la catena umana in Piazza del Duomo? Il nostro sentire comune?

Oggi diciamo che non abbiamo dimenticato e perciò proponiamo di far ancora sentire la nostra voce rivolta al mondo del lavoro, la voce di quanti ancora nutrono sentimenti di solidarietà, di appartenenza, capaci di indignarsi.

Proponiamo che nella settimana che va dal 6 dicembre (anniversario della tragedia della Thyssen), al 12 dicembre (giornata di mobilitazione dei lavoratori e lavoratrici per lo sciopero generale, che auspichiamo sia anche di popolo), vengano assunte iniziative, anche simboliche, alle quali tutte e tutti possono partecipare e autorganizzare. Iniziative che segnino la nostra ribellione e la volontà di impedire che la strage continui, che ogni giorno si ripetano i drammi, che dicano a noi stessi e a tutti: ciascuno faccia la sua parte. Mai più morti sul lavoro!

In particolare proponiamo che dal 6 al 12 dicembre (giorno dello sciopero generale):

- ognuno porti un fiocco nero intorno al braccio, sulla giacca o sulla borsa, come segno di lutto e di indignazione contro le morti sul lavoro;

- nelle sedi istituzionali vengano assunti impegni per il futuro e atti simbolici per sottolineare quanto sconvolgente sia il susseguirsi di morti e incidenti, e consiglieri e assessori portino un fiocco nero durante una seduta.

Questa settimana di impegno su questo terreno, organico a tutti gli obiettivi dello sciopero generale, sarà utile per valorizzare quanto già è stato fatto, in questo anno, per contrastare lo stillicidio di vite e in difesa della salute, a tutti i livelli: numerose infatti sono state le iniziative di sensibilizzazione nella società, nelle scuole e nelle istituzioni a tutti i livelli, dalle zone del decentramento al livello nazionale, con l’approvazione del Testo unico per la sicurezza sul lavoro, che va difeso dagli attacchi di Governo e Confindustria, e la legge fa finanziata e applicata.

E in particolare sarà utile per non fermarci, molto resta da fare: va costruita una diffusa coscienza nella società, la base per poter dire un giorno: “ il dramma delle morti sul lavoro appartiene al passato”.

Questa nostra “piccola” proposta ha il senso di sollecitare la visibilità di un sentire comune, di valorizzare la politica dei contenuti e dei valori di giustizia sociale che così gravemente sono aggrediti e scossi. È un’idea, se sarà da molti condivisa e praticata diventerà un fatto.

Primi firmatari:
Franca Rame, Dario Fo, Franco Calamida, Antonio Pizzinato, Nerina Benuzzi, Paolo Cagna Ninchi, Chiara Cremonesi, Mariolina De Luca Cardillo, Francesco Francescaglia, Guido Galardi, Patrizia Granchelli, Antonio Lareno, Pierfrancesco Majorino, Roberto Mapelli, Ettore Martinelli, Maria Grazia Meriggi, Arnaldo Monga, Emilio Molinari, Massimo Molteni, Carlo Monguzzi, Antonello Patta, Basilio Rizzo, Tiziana Vai


Per adesioni: iodicobasta@gmail.com

sabato 29 novembre 2008

Una proposta alternativa per uscire a sinistra dalla crisi

di Roberta Fantozzi, responsabile Lavoro e Welfare, segreteria nazionale Prc


Abbiamo avviato già da domenica la campagna davanti ai luoghi di lavoro, in preparazione dello sciopero generale del 12 dicembre. Un calendario di iniziative organizzate in pochissimi giorni, a cui molte altre si stanno aggiungendo. Volantinaggi, ma anche incontri e assemblee con le lavoratrici e i lavoratori, dibattiti. Davanti alle fabbriche, ai luoghi della produzione industriale, ma anche nei servizi, dai trasporti alle grandi aziende del commercio, al lavoro pubblico. La volontà è quella di un percorso non episodico, che ricostruisca reti di relazioni e presenza organizzata. Un percorso che si intreccia con l'inchiesta, a partire da quella che svilupperemo nei prossimi giorni sui primi effetti della crisi: sul terreno della materialità dei processi ma anche del vissuto e della soggettività di lavoratrici e lavoratori.

Non è un optional lo sviluppo di questo percorso. Non lo è rispetto all'obiettivo decisivo della riuscita dello sciopero generale, non lo è rispetto al contesto in cui ci muoveremo nei prossimi mesi. La crisi determina uno scenario pesantissimo. Con la cassa integrazione che si moltiplica e con il problema, per chi vi accede, di come riuscire ad arrivare alla fine del mese con il salario decurtato, se già non ci si arrivava prima. Con il problema drammatico dei precari. Quattro milioni di persone prive di ogni garanzia, seicentomila già a rischio per il sommarsi della crisi economica nell'industria con i provvedimenti del governo sul lavoro pubblico. Con il dramma aggiuntivo dei lavoratori migranti, che per una legge razzista e incivile rischiano di perdere con il lavoro, il permesso di soggiorno: espulsi o ricacciati nell'irregolarità, magari dopo anni di lavoro in questo paese.

La ricetta della Lega per gestire la crisi è tanto semplice quanto barbara: trasformare l'ansia in un salto di qualità nella produzione di capri espiatori, di conflitto orizzontale, di ferocia sociale. La chance di contrastare la regressione possibile sta nella messa in campo di un'iniziativa a tutto tondo: di denuncia, di piattaforma, di conflitto, che ricostruisca nella crisi una connessione, che consenta di individuare nuovamente a sinistra la possibile via d'uscita. Non è un esito scontato, se è vero come è vero che non solo siamo nell'onda lunga di una sconfitta trentennale, ma che la sinistra ha consumato nell'attraversamento recente della fase di governo la propria credibilità. E' un percorso che richiede idee, proposte, modificazioni delle modalità dell'agire politico, come dimostra il successo dei gruppi di acquisto popolare, la pratica di forme di mutualismo che rispondano alla disgregazione ricostruendo anche per questa via la possibilità di riconoscersi come parte di un'agire collettivo.
Saremo dunque nelle prossime settimane davanti ai luoghi di lavoro, con la volontà di avviare un percorso lungo, dentro le contraddizioni esistenti.

Diremo che la crisi non è piovuta dal cielo, ma è la conseguenza di trent'anni di politiche neoliberiste, in cui la deregolamentazione selvaggia della finanza è stata l'altra faccia della medaglia di un mondo di bassi salari, di una gigantesca redistribuzione della ricchezza prodotta a favore di profitti e rendite, in cui il consumo è stato garantito dal crescente indebitamento dei lavoratori, mentre nei paradisi fiscali si concentra un quarto della ricchezza mondiale prodotta ogni anno. Diremo che ci vuole un aumento significativo di salari e pensioni e un salario sociale per rispondere alla crisi con uno strumento generale di garanzia rispetto alle mille frammentazioni delle tipologie di lavoro, alle tante facce della precarietà e che le risorse vanno prese dalla rendita, dall'evasione fiscale e contributiva, dalla tassazione dei movimenti speculativi di capitali.

Diremo che il ritrarsi del pubblico, privatizzazioni e liberalizzazioni, invece dei benifici annunciati dalla propaganda liberista, non sono stato altro che il modo per promuovere un gigantesco processo di spoliazione, sfruttamento e messa a valore della natura oltre che del lavoro, all'origine di una crisi ambientale, energetica e climatica, che richiede un cambiamento radicale dei modelli di sviluppo. Per sottrarre spazi alla logica di mercato, alla valorizzazione del capitale come meccanismo sovradeterminante dei processi di riproduzione sociale e riconsegnarli alla scelta democratica, alla sovranità collettiva sul proprio futuro.

La elaborazione di una piattaforma all'altezza della crisi della globalizzazione capitalistica, deve accompagnarsi alla capacità di costruire un senso comune di massa su a chi imputare la responsabilità della situazione presente, opposta all'operazione reazionaria delle destre, generalizzando la consapevolezza espressa dal movimento degli studenti.

La politica del Governo Berlusconi e di Confindustria, ha fin qui determinato una manovra pesantissima di tagli e ristrutturazione del sistema di welfare, dalla sanità agli enti locali, intrecciata all'attacco ai diritti del lavoro. Un attacco che dalla legge 133 alla controriforma del processo del lavoro, agli annunci sul diritto di sciopero, ha avuto e ha al suo centro la riscrittura del sistema della contrattazione, la volontà di frammentare e impoverire ulteriormente i lavoratori, cancellare l'autonomia del sindacato, riscriverne il ruolo: "complice" delle imprese nella gestione dei rapporti di lavoro e di interi pezzi di uno stato sociale da cui la presenza pubblica si ritrae ulteriormente. Ora a fronte della crisi, la sua ricetta è quella di destinare risorse pubbliche al sistema bancario lasciando invariati assetti proprietari e modalità di funzionamento, puntare sulle grandi opere, destinando pochissimo alle fasce sociali più disagiate.

Lo sciopero generale del 12 indetto dalla Cgil e dai sindacati di base, deve rappresentare per noi e per l'intera sinistra il modo per far vivere nel dibattito pubblico e a livello di massa una proposta radicalmente alternativa a quelle politiche, per costruire una uscita da sinistra alla crisi di un intero modello di sviluppo.

Scarica il volantino

Velivoli da guerra? Meglio un’eliambulanza

di Massimiliano Vigo - membro del Direttivo di Circolo

Cari Compagni

Dopo aver assistito allo sperpero di denaro pubblico destinato, senza alcun tipo di garanzia, a salvaguardare banche e istituti di credito colpiti dalla crisi finanziaria, dopo aver sopportato la manfrina intorno ai problemi aziendali di Alitalia, dopo esserci sopportati Brunetta e la sua caccia ai fannulloni, dopo l’approvazione di una legge che distrugge la scuola italiana e in ultima istanza anche un programma di carità di Stato che si estrinseca nella fantastica invenzione della Social Card, è arrivata da parte del governo la ciliegina sulla torta!

Mi riferisco (notizia comparsa sul corriere della sera del 27-11-08 pag 11) all’acquista da parte dell’esercito Italiano di 4 velivoli da guerra senza pilota modello MQ Reaper per la modica cifra di 330 milioni di dollari che in euro fanno 250-260 milioni; velivoli che verranno armati con 4 missili anticarro dal modico costo di 100.000 euro cadauno; sicuramente verranno inviati in “missione di pace” in Afghanistan. Però mi chiedo, se proprio si dovevano spendere dei soldi per qualche cosa che, con o senza pilota, volasse non era meglio pensare a qualche velivolo antincendio o a una eliambulanza?

sabato 22 novembre 2008

CIAO SANDRO!

UN PRIVILEGIO AVERE NEL PRC IL GIORNALISTA E IL MILITANTE

Dichiarazione del segretario nazionale del Prc Paolo Ferrero



La scomparsa di Sandro Curzi rappresenta un grande lutto per il giornalismo italiano e un grandissimo dolore per il Prc.

Viene a mancare una personalità straordinaria per sensibilità, capacità, carisma. Un uomo che ha dedicato la propria esistenza al lavoro di giornalista della carta stampata e radiotelevisivo. Per tutta la vita con la stessa, volitiva energia che lo ha visto sempre protagonista come operatore dell'informazione e direttore di testate, sino all'impegno come consigliere di amministrazione della Rai. Sempre realizzando la passione incontenibile per l'informazione e il giornalismo insieme a accanto a quella di militante comunista, traendone intelligenza e capacità critica.

Consideriamo un grande privilegio aver potuto lavorare insieme a lui, al suo amore per il giornalismo e al suo impegno politico, sia nella qualità di direttore che ha dato forza e valore a *Liberazione*, sia nella qualità di appassionato militante del partito.

Alla vedova e ai famigliari esprimo il cordoglio profondo e l'abbraccio pieno d'affetto mio personale e di tutto il Prc.

martedì 18 novembre 2008

Liberafesta 2008

Liberafesta 2008
21-22-23 Novembre
Parco Marastoni
San Polo d'Enza


Venerdì 21


alle 20:30 Dibattito: Scuola e università: dove stiamo andando e dove vorremmo andare.
a seguire concerto di Rocco La Guardia

Sabato 22

alle 21 Dibattito: Fascismi di ieri e di oggi. Presentazione del libro il sangue dei vincitori
a seguire concerto di Fabrizio Varchetta

Domenica 23

alle 17 concerto degli Emily County Folk
alle 19 Dibattito: Rifondazione Comunista: Teoria e prassi

Venerdì Gnocco Fritto e Tortelli
Sabato e Domenica Gnocco Fritto e Ristorante



Per info 348 17.28.077


Scarica il volantino

venerdì 14 novembre 2008

Anche se voi vi credete assolti...




di Italo di Sabato, responsabile naz. Osservatorio sulla Repressione del PRC-SE

Dopo che la politica ha legittimato i vertici della polizia, responsabili delle mattanze a Genova nel luglio 2001, con le promozioni degli imputati e il rifiuto della commissione d’inchiesta, il tribunale di Genova, con la sentenza emessa nella tarda serata di giovedì 13 novembre, li ha assolti anche dalle responsabilità penali ed ha legittimato l’immunità delle forze dell’ordine da qualsiasi reato. Il tribunale di Genova ha sentenziato che chi spacca una vetrina è stato punito con dieci anni di carcere (nel processo a 25 manifestanti, concluso in primo grado nel dicembre scorso), mentre i maltrattamenti e le torture sui detenuti a Balzaneto, la mattanza alla Diaz non hanno responsabili e mandanti .

Se la sentenza di luglio, relativa alle violenze e torture compiute dalle forze dell’ordine nei confronti di centinaia di giovani inermi all’interno della caserma di Bolzaneto, era sembrata un vero e proprio colpo di spugna, la sentenza riguardante la sanguinosa irruzione delle forze dell’ordine all’interno della scuola Diaz riesce a fare perfino di peggio assumendo il carattere di una vera e propria amnistia.

Nonostante nel corso del processo siano state dimostrate in maniera incontrovertibile le responsabilità degli agenti, sia per quanto riguarda le violenze gratuite nei confronti dei giovani che dormivano all’interno della scuola Diaz, sia in merito alla falsificazione delle prove consistenti in bombe molotov, picconi e spranghe portati sul posto dagli stessi poliziotti al fine di giustificare con l’inganno il proprio operato, la sentenza emessa dal Tribunale di Genova è di quelle da lasciare basito chiunque sia stato in grado di percepire la gravità degli accadimenti.

Mi piacerebbe sentir dire, da quei politici che un giorno sì e l’altro pure, disquisiscono di giustizia avendo in testa soltanto le immunità castali da una parte e la lotta alla microdelinquenza dall’altra, cosa pensano di questa vergognosa sentenza. Ma la politica, non da oggi, su Genova tace, e anche quando ha parlato non ha mai capito, e quando ha capito ha voluto archiviare, il valore paradigmatico che quei due scempi della Diaz e di Bolzaneto avevano e hanno per le sorti del nostro stato di diritto. Forza bruta contro legalità. Eccezione contro regola. Sospensione dei diritti fondamentali in uno spazio affrancato da ogni garanzia e ogni convenzione.

A Genova non fu questione di un po’ d’eccesso nella repressione di un movimento. A Genova fu sospeso lo stato di diritto, anzi, fu sperimentato che sospendere lo stato di diritto è possibile, senza che il potere politico sia chiamato a risponderne e senza che ne paghi alcuna conseguenza. Immunità per tutte le alte cariche dello Stato, conquistata sul campo molto prima che in parlamento.

Alla luce di questa sentenza che ha “graziato” i responsabili dei gravissimi fatti di sangue (ancora più gravi in quanto compiuti da coloro che dovrebbero far rispettare la legge) accaduti durante il G8 di Genova del 2001, non mi stupisce più di tanto constatare come il poliziotto Spaccarotella, responsabile dell’assassinio di Gabriele Sandri, avvenuto un anno fa all’interno del parcheggio di un autogrill, nonostante l’imputazione di omicidio non sia stato sospeso dal servizio e neppure abbia subito alcun procedimento disciplinare. Non resta che prendere coscienza del fatto che le forze dell’ordine, anche quando sbagliano, rispetto alla legge continuano a rimanere “più uguali” rispetti a tutti gli altri.

“Disoccupate le strade dai sogni ed arruolatevi nella polizia” cosi cantava Claudio Lolli dopo le giornate del marzo bolognese del 1977. E’ questo quello che ci vuole dire la sentenza di Genova. Ma si sbagliano se pensano di aver calpestato la nostra testardaggine per la verità e la giustizia. Le tragiche giornate del luglio 2001 rimarranno impresse dentro di noi. Lo schifo per questo potere ancora di più.


www.osservatoriorepressione.org

mercoledì 12 novembre 2008

Amadio Beltrami, tutta una vita da comunista

di Arnaldo Fontanili - Circolo di Montecchio

Cari compagni, il 12 novembre del 1997 moriva il compagno Amadio Beltrami, per tutti più semplicemente "al piccolin". Fu da subito contrario alla "svolta della bolognina" e al Congresso di Rimini aderì al Movimento per la Rifondazione Comunista. In seguito fondò il circolo di Montecchio Emilia (Re), alla presenza del compagno Nichi Vendola, e di questo fu segretario fino alla sua morte. Contribuì anche alla creazione e crescita della Federazione di Reggio Emilia divenendone il Presidente del Comitato Politico Federale, che resse sempre con il rigore morale e politico che lo distingueva. In questi giorni, in cui si parla di superamento del partito da parte di alcuni compagni, ci piace ricordare un compagno che ha sempre creduto nella necessità dell'esistenza di un partito comunista in questo Paese e che per questa idea ha speso buona parte della sua vita.

mercoledì 5 novembre 2008

Rifondazione Comunista antifascista militante




Nei giorni scorsi ignoti hanno imbrattato i muri della Rocca, del cinema Zacconi e della Coop con graffiti dai contenuti razzisti, xenofobi e con scritte volgari, oltraggiose e deliranti piene di slogan nazifascisti contro migranti, ebrei, mussulmani e comunisti.

Più in generale gli anonimi si scagliano contro chiunque non si riconosca nel loro delirio destrorso perché, come dicono, chi non è con loro è contro di loro. Da questa galleria di orrori emerge tutto l’armamentario ed il bagaglio di odio che queste persone portano con sé.

Rifondazione Comunista sente di poter ricordare agli autori di quelle scritte, che si fanno paladini di un’ideologia violenta e guerrafondaia, ma agiscono vigliaccamente nell’ombra, che la comunità montecchiese, storicamente antifascista e aperta al confronto, ha già in passato fatto i conti con il Fascismo e il Nazismo pagando con il sangue dei propri cittadini e dei suoi figli partigiani.

Non riteniamo che queste azioni possono considerarsi “bravate” di cosiddetti “bravi ragazzi” e non pensiamo che il paese debba accettare che risorgano manifestazioni neofasciste e razziste.

Per questo, il Circolo di Rifondazione chiede a tutti i cittadini di Montecchio, alle associazioni e ai partiti che si riconoscono nei valori dell’Antifascismo e della Democrazia, che riteniamo indissolubili, di organizzarsi per dare una risposta pubblica, forte e civile che condanni questi fenomeni di ignoranza e stupidità.

sabato 1 novembre 2008

Scontri a Roma: la testimonianza diretta di Curzio Maltese

Di seguito la testimonianza di Curzio Maltese, che non è un pericoloso comunista ma (si conferma essere) un attento e serio giornalista, su quanto accaduto in piazza Navona durante la manifestazione di protesta contro il Decreto Gelmini del 30 ottobre.




Se non li conoscete guardate quanto vale

Quel loro movimento che chiamano sociale

Movimento di milioni ma milioni di denari

Dalle tasche dei padroni alle tasche dei sicari

Già eran chiare ad Arcinazzo le sue vere attribuzioni

Movimento ma del cazzo come le masturbazioni

Fatte a tecnica manuale con la destra nazionale

Li riconoscete adesso che sapete chi li acquista

Solamente chi è fascista sa far bene da lacchè


Ora li riconoscete stì fascisti sté carogne

Se ne tornino alle fogne con gli amici che han laggiù

La fantastica trovata dei 5mila euro

di Massimiliano Vigo - membro del Direttivo del Circolo di Montecchio Emilia

Compagni, Dio li fa e poi li accoppia! Sto parlando dei cervelli di Giovanardi e Berlusconi che ne sanno pensare una più del diavolo: la trovata odierna è il prestito fino a 5000 euro a quelle famiglie che desiderano avere un bambino, con interessi al 4%, da restituirsi in cinque anni

Fantastica trovata, così le famiglie italiane oltre alla rata del mutuo, a quella per la macchina, ai finanziamenti per riuscire a permettersi non il futile, ma l’indispensabile per vivere al limite della povertà, saranno anche in debito con lo Stato. E se passati i cinque anni le famiglie non avranno restituito i soldi cosa succederà? Gli pignorano il bambino per venderlo ad un’altra famiglia che si accollerà il debito e gli interessi non pagati da quella precedente?

Invece di elucubrare su ipotesi degne delle peggiore fantascienza perché non riescono a farsi una ragione del fatto che per migliorare i bilanci delle famiglie in difficoltà l’unico sistema attuabile è quello del blocco (e del controllo) dei prezzi e di una politica di ridistribuzione delle ricchezze che porti ogni mese qualche centinaio di euro (netti) in più nelle saccocce dei lavoratori? E non vengano a dire che i fondi non ci sono: basterebbe che i vari Marcegalia, Colaninno e confindustriali simili, invece di distribuire perle di saggezza del tipo “lavorare di più per guadagnare di più” o “dobbiamo fare tutti dei sacrifici” distribuissero invece denaro contante (anche per le piccole aziende) attingendo dai loro stracolmi forzieri esteri…o forse la crisi finanziaria ha provocato anche a loro il dimezzamento dei risparmi accantonati negli anni con tanto sudore e olio di gomito?

giovedì 30 ottobre 2008

Lodo Alfano,anche gli immigrati vogliono firmare

di Massimiliano Vigo - membro del Direttivo del Circolo di Montecchio Emilia

Cari compagni, sabato e domenica scorsi sono stato impegnato, con altri compagni, nella raccolta di firme per il referendum abrogativo del lodo Alfano, raccolta che tra l’alto è andata ben oltre le più rosee aspettativa iniziali.

Al di là della soddisfazione per i nudi e crudi dati numerici due fatti mi sono particolarmente rimasti impressi; il primo è la faccia stralunata ed inebetita di un ventenne firmato da capo a piedi che al mio invito a firmare per il referendum contro il lodo Alfano mi ha risposto testuali parole: - Ma io questo signor Lodo Alfano non so neanche chi sia-

Per contro ricordo con piacere ma con molta amarezza molti extracomunitari che, carta di identità alla mano, chiedevano, pur non essendo cittadini italiani, di poter firmare dimostrando, tra l’altro, una conoscenza della tematica in questione che andava ben oltre il sentito dire o l’elementare informazione passata da giornali e media in genere .

Mi sono sentito molto in colpa per aver negato a queste cittadini che lavorano, producono, pagano le tasse, sono sfruttati e muoiono sui posti di lavoro, anche solo il diritto di esprimere la propria opinione su un problema che non è solamente di noi italiani ma che riguarda il più basilare e generale concetto di democrazia: l’eguaglianza (e non solo quella davanti alla legge).

Se avessero firmato comunque, le loro firme sarebbero state annullate in sede di verifica, così come quelle di molti italiani, per mancanza dei requisiti necessari, ma si sarebbe almeno permesso loro di sentirsi attivamente partecipi e più vicini a quella parte di italiani che si stanno battendo per porre un freno al potere dilagante di un governo fascista e razzista.

domenica 26 ottobre 2008

Raccolta firme contro il Lodo Alfano

Grande successo per la raccolta delle firme a Montecchio nei giorni di San Simone. Quasi 700 firme contro quella Legge che vìola palesemente la nostra Costituzione: tutti i cittadini sono uguali di fronte alla Legge e il diritto alla difesa.

Rifondazione Comunista e l’Italia dei Valori insieme per promuovere il referendum contro una legge che è profondamente ingiusta e costruita solo per proteggere certe cariche dello Stato solcando sempre di più il divario tra i cittadini ed una ristretta casta di potenti.

Cassa integrazione per gli operai di Montecchio

Su alcuni quotidiani locali è uscita la notizia, spesso relegata ad un trafiletto, della preoccupante situazione di alcune fabbriche di Montecchio, le quali stanno lasciando a casa dei dipendenti a ritmi intermittenti e per nulla rassicuranti rispetto al futuro degli operai e delle loro famiglie.
Rifondazione Comunista si unisce alla preoccupazione di questi numerosi lavoratori, giustamente in ansia per il loro futuro. La grave crisi economica generale ha ovviamente tristi ricadute anche nel nostro comune e perciò ci uniamo a quanti chiedono all’amministrazione di intervenire su questa situazione cercando di comprendere quale sia la reale portata di posti in esubero e la cassa integrazione già da qualcuno ventilata.

venerdì 24 ottobre 2008

La scuola, organo vitale della democrazia. Ma facciamo l'ipotesi...

"Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi.

Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A 'quelle' scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.

Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora.

Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico!"

Piero Calamandrei - dal discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola Nazionale a Roma l'11 febbraio 1950

Leggi tutto il discorso

giovedì 23 ottobre 2008

Consiglio Comunale di Montecchio contro la Scuola della Gelmini

Il Consiglio Comunale di Montecchio, nella seduta del 23 ottobre 2008, ha approvato con un solo voto contrario e nessun astenuto l'ordine del giorno presentato dal gruppo di Rifondazione Comunista contro la Riforma della Scuola del ministro Gelmini.

Il testo approvato raccoglie in larga parte e completa con emendamenti aggiuntivi e sostitutivi il documento presentato dai gruppi Uniti nell'Ulivo e la Margherita.

Ordine del Giorno Approvato

domenica 19 ottobre 2008

Indignazione e socialismo

di Giorgio Cremaschi - da Liberazione del 19 ottobre 2008.

Indignazione. Questo è il sentimento, questa è la parola di cui abbiamo bisogno. La stessa che veniva cantata durante la lunga marcia della rivoluzione cinese.
Ci hanno assordato per anni sull'inutilità e sui danni dell'intervento pubblico. La vicenda Alitalia è stata affrontata, con spirito bipartisan, negando la possibilità e l'utilità stessa di un intervento dello Stato per salvarla. Ora, in tutto l'Occidente si spendono, anzi si buttano via, cifre colossali per sostenere con i soldi dei cittadini banche e banchieri. Nasce il socialismo dei ricchi.
A Bruxelles l'industria italiana e quella tedesca chiedono di poter inquinare senza limiti, perché c'è la crisi. In Italia la Confindustria, con la gioiosa complicità di Cisl e Uil, ripropone la sua idea di centralità del lavoro: per andare avanti bisogna ridurre il salario e la contrattazione e accrescere la precarietà e l'orario di lavoro. In fondo, non c'è da stupirsi. Coloro che oggi sfacciatamente eseguono la più trasformista delle giravolte, scoprendo lo stato, le regole, la condanna delle speculazioni e delle cattive intenzioni dei manager, sono gli stessi che ci hanno portato fino a qui. Politici, economisti, imprenditori, giornalisti e intellettuali, tutti appartenenti allo stesso campo del pensiero unico liberista e tutte e tutti ancora lì, nei giornali o in televisione, a sentenziare come sempre.
Come dimostra quel sensibile termometro della realtà degli affari che è la Borsa, la crisi che abbiamo di fronte è strutturale e non sarà certo di facile soluzione. E' inutile disquisire se essa è la crisi estrema del sistema capitalistico o solo quella di una sua fase.
La sostanza è che un intero percorso del sistema economico mondiale si è interrotto, e chi governa l'economia e la politica è oggi incapace di farlo riprendere. I paragoni normalmente sono con le due più gravi crisi economiche del secolo scorso. Quella del '29 e quella iniziata negli anni Settanta. In realtà esse furono molto diverse. Quella del '29 veniva al culmine di un'intensa fase di sviluppo capitalistico che si era affermata in Occidente dopo la sconfitta del movimento operaio, che in tutti i paesi industrialmente più avanzati aveva portato la radicalità della rivoluzione russa. Quella degli anni Settanta invece nasceva proprio come risposta all'offensiva dei lavoratori occidentali, dei popoli e dei paesi del terzo mondo, che non accettavano più la quota di ricchezza e di potere che il capitalismo ad essi assegnava. Il liberismo che si affermava progressivamente in tutto il mondo occidentale e poi dilagava ovunque dopo il crollo dell'Urss, era la risposta delle classi dominanti a un'offensiva sociale mondiale. Il capitalismo si liberava dei lacci e lacciuoli che lo vincolavano ai diritti del lavoro e allo stato sociale e da qui rilanciava lo sviluppo. La crisi del '29 invece avveniva ben dopo che gli operai, i movimenti rivoluzionari, erano stati sconfitti. Essa giungeva al culmine di una crescita economica edificata sulle macerie della disfatta operaia. La crisi attuale somiglia pertanto molto di più a quella del '29 che a quella degli anni Settanta. Essa conclude un ciclo iniziato con le presidenze Reagan e Thatcher, con la sconfitta operaia alla Fiat, con l'attacco sistematico ai diritti e ai contratti delle classi operaie occidentali, con il dilagare di quel sistema di super sfruttamento mondiale del lavoro che è stato chiamato globalizzazione.
Il fatto che ci siano voluti trent'anni per la crisi, quando al crollo del '29 si arrivò dopo meno di un decennio di capitalismo selvaggio trionfante, dimostra la solidità e la forza dello sviluppo liberista, alimentate dall'egemonia totale conquistata dall'ideologia del mercato nella politica e nella cultura. Ma anche se ben più solido di quello degli anni Venti, è comunque un intero modello di sviluppo che si sta esaurendo. Per questo tutte le misure finora prese, al di là delle ridicole affermazioni tranquillizzanti dei governanti e di un'informazione in gran parte asservita, hanno la stessa crescente inefficacia. I soldi pubblici che si spendono, le deroghe ambientali, le deroghe contrattuali, le emergenze autoritarie, la xenofobia, l'intolleranza, hanno tutte lo stesso segno. Sono il tentativo disperato di continuare a perpetuare un sistema che è arrivato al suo limite. Si cerca di sostenere la ricchezza accumulata in questi anni con l'ennesima versione della politica dei due tempi, spiegando che se quella ricchezza si salverà, qualcosa toccherà anche a chi non la possiede. Ma proprio qui sta la contraddizione di fondo. Lo scandalo per la leggerezza con cui le banche americane hanno distribuito prestiti è stupido ed ipocrita. In un regime di bassi salari, di riduzione dei diritti e di precarietà del lavoro, l'unico modo per far acquistare l'enorme quantità di merci prodotte dal sistema mondiale, è quello di permettere ai poveri di indebitarsi per comprarle. Si è tentato di trasformare lavoratori, pensionati, disoccupati, in piccoli redditieri a debito, per evitare il crollo della produzione, per impedire quella che Marx avrebbe giustamente chiamato la crisi di sovraproduzione. Oggi è questo meccanismo che va in collasso e tutti i tentativi di restaurarlo non solo non portano a risultati, ma finiscono per sottolineare ancor di più la gravità della situazione. E' falso il presupposto che ci sia una crisi finanziaria che si sta trasferendo nell'economia reale. E' vero l'esatto contrario, e cioè che l'esplosione della bolla finanziaria mondiale nasce da un'economia reale malata, malata di bassi salari, supersfruttamento del lavoro e dell'ambiente, distruzione di risorse e culture pubbliche per favorire il privato. E' questa economia reale malata che ha cercato di sopravvivere gonfiando la bolla speculativa e usandola come una sorta di ammortizzatore sociale mondiale. Ora il crollo della finanza mostra non la salute, ma la malattia profonda del sistema produttivo mondiale.
E' per questo che serve una critica di sistema. Forse serve allo stesso capitalismo, che senza di essa è naturalmente portato all'autodistruzione narcisistica. Oggi molti sostengono che occorra un nuovo compromesso tra stato e mercato, tra politica ed economia, tra capitale e lavoro. Si dimentica però che il compromesso keynesiano travolto dalla reazione degli anni Settanta, non è nato da un progetto costruito a tavolino, né in America, né in Europa, né nel resto del mondo. Esso fu la risultante di lotte e conflitti sociali durissimi, della guerra, della distruzione del fascismo, dei successi, pur tra enormi contraddizioni, del movimento comunista mondiale. Il balbettare attuale delle sinistre di governo, che restano tali anche quando sono all'opposizione, la loro subalternità alle ricette della destra, peraltro anch'esse confuse e inefficaci, è la dimostrazione che non è più tempo di riformismo, ma urge la ricostruzione di un pensiero e di un punto di vista alternativo a quello su cui si fonda il capitalismo. Di fronte al socialismo dei ricchi bisogna prima di tutto ridare legittimità e forza al pensiero e alle rivendicazioni concrete del socialismo dei lavoratori e dei popoli. Anche a questo serve l'indignazione. Con che faccia potranno ancora dirci, quando attaccheranno le pensioni pubbliche, che lo stato non può intervenire e che dobbiamo impegnare le nostre liquidazioni nei fondi pensione privati? Con che faccia ci spiegheranno che sono inevitabili i licenziamenti, la precarietà, il taglio dei salari, i sacrifici, dopo che tutti i conti che ci vengono presentati sono frutto del costo di trent'anni di capitalismo sfrenato e rapace? Con che faccia potranno dirci che la scuola pubblica è inefficiente e che l'istruzione deve diventare ancella dell'impresa, quando è proprio la cultura manageriale che ha governato il mondo a mostrare tutti i suoi limiti di comprensione della realtà e anche di moralità?
Con che faccia potremmo ancora accettare che ci si dica che siamo tutti nella stessa barca? Solo con quella della rassegnazione, solo con la rinuncia a pensare e a lottare. Le riforme e i compromessi verranno, ma solo travolgendo i rapporti di forza, le culture e le classi dirigenti che hanno portato all'attuale disastro.
Quando nel 1989 crollò il muro di Berlino e con esso tutto il sistema sovietico, marcio nelle fondamenta per il dominio sfacciato della burocrazia, Norberto Bobbio lanciò un avviso al capitalismo trionfante. E' vero che la lunga marcia del movimento operaio si era interrotta ma, sottolineava Bobbio, se il capitalismo si fosse fatto di nuovo prendere dalla frenesia di sé stesso, se non fosse stato in grado di limitarsi e criticarsi, la lunga marcia sarebbe ripresa. E' quello che deve accadere.

sabato 18 ottobre 2008

Uniti si vince


Il grande movimento che si sta sviluppando sta prendendo la parola assemblea dopo assemblea, scuola per scuola, nei comitati di quartiere, nelle sedi di partito tornate a nuova vita, e oggi lo ha dimostrato in piazza con l’altissima adesione allo sciopero promosso dal sindacalismo di base, che per primo ha dato prova di unità, rispondendo a una richiesta vastissima

di Gennaro Loffredo, responsabile nazionale dip scuola Prc


Nell’Italia dell’Unità la scuola era gerarchica, rigida ed autoritaria. Sugli insegnanti gravava un forte controllo burocratico e repressivo. Gli studenti, al pari di militari, andavano irreggimentati ed asserviti. La sua impostazione era chiaramente dualistica ovvero divisa in due ordini che non comunicavano tra loro: il classico, destinato ai ceti sociali superiori e finalizzato alla loro riproduzione; il tecnico, addestramento professionale, destinato al resto del popolo.

La legge Casati (1859) sancisce la nascita del sistema scolastico italiano. La classe dirigente si dota così, e si attrezza per gestirlo, del proprio apparato ideologico e formativo per la continuità dei rapporti di produzione e sociali capitalistici. Di buono c’era in quel periodo, oltre che la nascita dello Stato unitario – oggi fortemente messo a rischio con il federalismo fiscale - la volontà di togliere al clero l’egemonia nel campo dell’istruzione e dell’educazione.

Per il resto, la Gelmini evidentemente nostalgica di quel periodo, con la sovrintendenza di Brunetta e Tremonti, ripristina tutto il peggio e va oltre.. E come una candida novizia, in una trasmissione su Canale 5 – “Mattino 5”- si stupisce del fatto che centinaia di migliaia fra studenti, docenti, genitori, lavoratori del mondo della scuola occupino scuole, università, decine di piazze in tutta Italia. Restaura la scuola ed asserisce che la protesta è incomprensibile.

Crea classi differenziali per i bambini stranieri e dice che lo fa per loro. Caccia 150mila lavoratori dicendo che non ha i soldi ed intanto il Governo li da alle banche. Anima candida. Pia donna. Lavora per il nostro bene. Che ingrati che siamo! La grande manifestazione promossa dalle forze della Sinistra l’11 ottobre scorso, il riuscitissimo sciopero di oggi indetto dal sindacalismo di base ci dicono che nella società c’è una gran voglia di uscire dal ghetto nel quale il governo vuole relegare la protesta ed il diffuso dissenso.

Finalmente i temi della scuola, dell’università e della ricerca conquistano le prime pagine dei giornali nazionali. I salotti televisivi sono ancora inaccessibili; proprietà privata ad uso e consumo dei soliti noti. Ma il grande movimento che si sta sviluppando la parola se la prende da solo. Se la conquista assemblea dopo assemblea, scuola per scuola, nei comitati di quartiere, nelle sedi di partito tornate a nuova vita. In periferia come al centro, dal nord al sud Italia, isole comprese. Si moltiplicano le voci che chiedono unità nella lotta. Non si può continuare ad essere separati. E’ una grande battaglia di civiltà; è una grande battaglia per il futuro.

“Riprendiamoci il futuro dei nostri bambini” è lo slogan più ricorrente. Le prossime tappe, lo sciopero generale della scuola del 30 ottobre prossimo e quello annunciato per metà novembre di università e ricerca sono appuntamenti importanti da non mancare. Rifondazione Comunista lavorerà per la loro riuscita, come ha già fatto per lo sciopero di oggi e per tutte le iniziative sin qui promosse in tutta Italia a partire dal luglio scorso.

Vivo apprezzamento alle migliaia di studenti e studentesse che hanno chiuso il corteo di oggi sotto le finestre della “beata” MariaStella assunta in “cielo” per opera dello spirito santo.

La legge è uguale per tutti. Ma qualcuno è più uguale degli altri.


La legge Alfano è una aberrazione, un atto che lede principi fondamentali della Costituzione.

Il fatto che le 4 più alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidenti di Camera e Senato e Presidente del Consiglio dei Ministri) possano godere di una sorta di impunità contrasta con il principio di eguaglianza dei cittadini, e risulta ancora più odioso per il fatto che dietro a questo provvedimento si consuma l'arbitrio di una maggioranza che, in tal modo, mette sotto protezione il proprio leader da azioni giudiziarie.

Peraltro, vi è una connessione diretta fra l'operazione che sottostà alla legge Alfano e l'aggressione più generale alla democrazia. Basti pensare al tentativo di spazzare via in un colpo solo tutte le forze che ostacolano nel paese la piena affermazione del bipartitismo con l'innalzamento delle soglie di sbarramento per le elezioni europee. O, ancora, al tentativo ricorrente di mettere in discussione l'autonomia della magistratura. O alla volontà di liquidare le testate della sinistra con i provvedimenti in gestazione sull'editoria. Senza ricorrere a paragoni forzati, è comunque vero che un disegno centralistico a sfondo autoritario è in atto ed è altrettanto vero che lo stesso è funzionale ad una stretta sul piano sociale, come testimoniano: la sintonia della maggioranza di destra con la Confindustria nell'attacco al contratto nazionale di lavoro e l' aggressione allo stato sociale, evidente nella vicenda della scuola.

La lotta contro la legge Alfano va considerata parte importante della nostra battaglia di opposizione. L'iniziativa referendaria è destinata a trascinare la necessaria controffensiva sociale e politica sul piano dei diritti democratici e in difesa della Costituzione.

Peraltro, il tema della giustizia sta acquistando un ruolo crescente anche per la connessione con alcune questioni di indubbia rilevanza sociale. Si pensi, fra l'altro, ai provvedimenti - purtroppo fino ad ora ancora sconosciuti ai più - tesi alla modifica del processo del lavoro che il nuovo governo intende assumere, modifica che farebbe venir meno un essenziale strumento di difesa dei lavoratori.

Per tutte queste ragioni Rifondazione Comunista sostiene il referendum contro la Legge Alfano.

venerdì 17 ottobre 2008

Il Governo attacca anche il processo del lavoro

di Paola Esposito e Giovanni Russo Spena

E' opportuno lanciare l'allarme, perché siamo di fronte ad una controriforma grave che rischia di essere clandestina, di sfuggire ad una conoscenza di massa. Il governo delle destre sta abbattendo quel che resta del processo del lavoro con un provvedimento collegato alla Finanziaria che, in quanto tale, è stato sottratto alla commissione Giustizia che sarebbe stata competente in Parlamento. Vengono sottratte le garanzie giurisdizionali alle lavoratrici ed ai lavoratori. Ci mobiliteremo sia sul piano democratico che sindacale. Il governo nega alla magistratura ogni controllo di legalità; torna all'attacco dello Statuto dei lavoratori. Nega l'articolo 4 della Costituzione perché la reintegrazione del posto di lavoro è sostituita da un risarcimento.

Il Governo Berlusconi ha presentato un disegno di legge che, tra le altre norme antipopolari, contiene una riforma del processo del lavoro che, se dovesse essere approvata, eliminerebbe gran parte delle garanzie dei lavoratori di poter ricorrere al giudice competente per ottenere un provvedimento di giustizia. A parte la limitazione del ruolo del giudice a mera verifica di legittimità dell'aspetto formale del rapporto di lavoro o della sua risoluzione; a parte la dilatazione dell'utilizzo della certificazione come strumento di interdizione di qualsivoglia possibile azione da parte del lavoratore con la quale chieda di riconoscere quanto negatogli, vi è un punto decisivo, disastroso. La controriforma prevede, infatti, che in casi di licenziamento in aziende con meno di 15 dipendenti, nella valutazione delle motivazioni poste alla base del recesso, il giudice dovrà tener conto, innanzitutto, di non meglio precisate regole del vivere civile e dell'oggettivo interesse della organizzazione del sistema produttivo; temiamo che questo significhi che i diritti di lavoratrici e di lavoratori siano subordinati alle priorità del paradigma del profitto dell'impresa anche quando vi è una controversia sulla legittimità del comportamento padronale.

Soprattutto, la controriforma prevede che il giudice, per valutare la "giusta causa" ed il giustificato motivo del licenziamento, debba tener conto oltre che dei contratti collettivi, anche dei contenuti dei contratti di lavoro individuali; vale a dire che, di fronte ad una norma attualmente vincolante per tutti i datori di lavoro, potremmo da domani trovarci con licenziamenti giustificati nei termini più diversificati e, comunque, iniqui per i lavoratori perché stipulati con l'assistenza delle commissioni di certificazione.

E qui si nasconde l'ulteriore incredibile iniquità. La certificazione del contratto da parte di una commissione può consentire l'introduzione nel contratto individuale di lavoro anche di clausole compromissorie; di quelle clausole cioè che spostano la competenza dal giudice del lavoro ad un collegio arbitrale che non è garante di imparzialità, potrà decidere secondo equità e non secondo l'applicazione delle leggi ed inoltre avrà un costo considerevole per il lavoratore che dovrà pagare il proprio arbitro più la metà del compenso del presidente. Per un complesso meccanismo poi una certificazione può rendere retroattivamente efficace una clausola compromissoria.

In ultimo appare opportuno evidenziare che il disegno di legge in discussione introduce decadenze che sono una vera e propria mutilazione dei diritti dei lavoratori. Ed infatti la proposizione di un ricorso di impugnativa di licenziamento (qualunque sia la tipologia di recesso) di nullità del termine per i contratti a tempo determinato, di impugnativa di trasferimento deve essere depositato entro 120 giorni nella cancelleria del tribunale. Decorso detto termine il diritto non è più giustiziabile. E' evidente che il governo nel silenzio generale tenta di erodere garanzie ai danni di lavoratrici e lavoratori. Questo intervento del governo, grave anche perché clandestino, accompagna l'attacco alla contrattazione e tende a rendere sempre più solo, disperatamente solo e ricattato, il lavoratore nei confronti del padrone.

La centralità del lavoro è la chiave di interpretazione della grammatica sociale e dell'intervento politico sul terreno comune della lotta democratica e dei proletariati. Sempre più, perché l'attacco quotidiano del governo, sia sul piano sociale che su quello ordinamentale, reclama con forza una mobilitazione.

domenica 12 ottobre 2008

Torna Rifondazione Comunista


di Paolo Ferrero - Segretario Nazionale PRC - SE

L’11 ottobre, la sinistra d’opposizione torna in piazza contro il governo Berlusconi e contro Confindustria. Inoltre, si impegna nella raccolta firme contro il lodo Alfano (meglio e più corretto sarebbe dire contro la “legge” Alfano, visto che di lodo ha davvero poco), al fianco di altre forze politiche, dall’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro ai Democratici di Parisi per dire “no” a una legge che ha un profondo significato “castale”: è fatta, cioè, per difendere e salvaguardare una casta, quella di Berlusconi e dei suoi sodali. Una vera legge-vergogna contro cui è giusto battersi.

Per alcuni troppi, mesi dopo la sconfitta elettorale, anche a causa di congressi difficili e dolorosi, siamo rimasti all'angolo, come un pugile suonato. Ora, a partire dall’11 ottobre, la ritirata è finita. Questo sabato saremo in piazza, a Roma, contro il governo e la Confindustria e contestualmente cominceremo la raccolta firme contro quella legge di casta che è il lodo Alfano. Anche in questo modo cercheremo di dimostrare che il governo Berlusconi non ha tutto il consenso di cui si vanta.

Il vero scandalo non è, a mio modesto parere, che il governo Berlusconi governi. E’ già accaduto, come tutti sanno, nel ’94 e nel 2001. Il vero scandalo è che oggi non è più in campo un’opposizione degna di questo nome. Quella del Pd è, al di là delle parole e delle dichiarazioni di questi giorni, una non-opposizione. Né fare opposizione sui temi della democrazia e della legalità, come fa Di Pietro, ci può bastare, anche se è importante. Entrambe queste opposizioni se la prendono solo e soltanto con Berlusconi e con le destre al governo, mai con Confindustria e con le sue politiche sociali ed economiche, ma è proprio Confindustria il vero e principale ispiratore e suggeritore di Berlusconi.

Dobbiamo invece dare vita e mettere in campo, a partire dall’11 ottobre, a un’opposizione davvero “di sinistra”: contro il governo, contro Confindustria, contro tutti i poteri forti (Vaticano, banche e banchieri, speculatori e finanzieri d’assalto) del Paese. Ecco perché è dall’11 ottobre che può partire (e, ne sono certo, partirà) una dura e seria opposizione di sinistra.

Il cui fine non è la sommatoria tra ceti politici, ma l’idea di fare opposizione dal basso, a sinistra, in difesa soprattutto dei ceti popolari, senza difese di fronte a una crisi economica e finanziaria mondiale dalle proporzioni devastanti. Ecco perché anche un’idea di alternativa di società e di politiche da mettere in campo non può che ripartire da qui, dai bisogni reali e concreti della gente, contro i disastri di un liberismo economico che, come è sempre più evidente, fa acqua da tutte le parti e viene sconfessato anche dai suoi araldi.

Da qui può e deve ripartire anche un coordinamento di tutte le tante e diverse opposizioni oggi in campo, nel campo della sinistra, e non dai ceti politici, le cui sommatorie portano solo ai disastri elettorali che ben conosciamo. Un coordinamento delle opposizioni – politiche, sociali, culturali - questa è la proposta che avanziamo a tutti e a tutte, a partire dall’11 ottobre. Dove vi aspettiamo in tante e tanti per dire che, davvero, “il tempo della ritirata è finito”. Io ci credo, spero saremo in tanti e tante, a dirlo ad alta voce al governo Berlusconi e a Confindustria. L’opposizione torna in piazza.

domenica 5 ottobre 2008

«Sporca negra» dicevano gli agenti denudata e seviziata per ore

di Davide Varì - da Liberazione del 4 ottobre 2008

Fermata, perquisita, denudata, ammanettata e trascinata in ospedale per la perquisizione vaginale ed anale. Infine, e come se non bastasse, denunciata per resistenza a pubblico ufficiale. Unico indizio: il nero della sua pelle.
Non è accaduto nella Johannesburg dell'apartheid e neanche nell'America del segregazionismo. E' invece accaduto a Roma, nell'Italia del duemila, quella dell'emergenza sicurezza e dell'emergenza immigrazione.
Il fatto risale allo scorso 21 luglio, giorno in cui la signora Amina - una donna di origine somala e italiana di cittadinanza, Paese in cui vive da oltre trent'anni - si trovava all'aeroporto di Ciampino per accogliere i suoi due nipotini londinesi, felici di passare un'estate in Italia, un'estate con la propria nonna.
«Ero così contenta di rivedere i miei due amori - racconta Amina, nel salotto della sua semplice ma accogliente casa romana - ma poi, d'improvviso si è avvicinato un poliziotto e mi ha chiesto i documenti. Io - racconta - non ho fatto una piega, lo giuro su Dio, che Allah mi sia testimone. Ho dato i documenti al funzionario e ho atteso tranquilla».
Ma a quel punto il poliziotto ha iniziato a fare strane domande. Di fronte a quella donna dall'aria assolutamente pacifica e impegnata a tenere a bada i suoi due nipotini, l'agente l'ha infatti accusata di avere i documenti falsi, di essere una rapitrice di minori e, non ultimo, di essere un corriere della droga. Tutto questo per il colore della sua pelle: «Tu sei nera nel corpo e nell'anima», ha infatti sentenziato l'altro agente.
A quel punto inizia il calvario. Dalle 9 di mattina alle 5 del pomeriggio la signora Amila passa di tutto. «D'improvviso - racconta infatti la donna - sono stata trascinata in una stanza dove è iniziato l'interrogatorio». Un interrogatorio dai toni sempre più minacciosi: «Che fai in Italia; che fai in aeroporto e che cosa nascondi». E poi gli insulti: «Sei una mignotta, una sporca negra» e via dicendo. Amina, sempre più terrorizzata, decide di assecondare passivamente ogni richiesta della polizia. «Spogliati», e via gli abiti. «Spogliati completamente», e via le mutandine. «Ora allarga le gambe».
Questa, dunque, la scena: la donna completamente nuda e con le gambe divaricate nella stazione della polizia aeroportuale di Ciampino. Poi arrivano due donne che, indossati i guanti in lattice, chiedono ad Amina di assumere una posizione adatta all'esplorazione anale e vaginale. Ma di fronte a quella richiesta la donna, per la prima volta si rifiuta. Chiede almeno che sia un medico a farlo. E giù altri insulti: «Ti spedisco in carcere», «come sei nera fuori lo sei dentro», «daremo i bambini all'assistente sociale». Passano quattro lunghe ore e fuori da quella stanzetta delle torture c'è ancora suo marito con i due nipotini.
A quel punto la polizia decide di portarla in ospedale per completare meglio la perquisizione. Arriva una barella e Amina, ammanettata e coperta alla meglio da qualche telo dell'ambulanza, viene portata al Policlinico Casilino di Roma. Lì possono finalmente perquisirla per bene. Le fanno addirittura le lastre al torace e al ventre convinti di trovare qualche involucro di droga. Nulla, la signora Amina è pulita. Dopo nove ore di torture la donna è finalmente libera di tornare a casa, dai suoi nipotini e da suo marito.
Ma oltre il danno, la beffa. Dopo qualche giorno arriva infatti la denuncia per resistenza a pubblico ufficiale. Lei, che aveva deciso di star zitta, abituata ai piccoli soprusi quotidiani - «ormai negli uffici pubblici ci sono due file: quella dei bianchi e quella dei neri» - si affida a Progetto diritti , l'associazione che fornisce assistenza legale agli invisibili delle nostre metropoli. «Sono stata umiliata - racconta Amina -. Io mi aspettavo delle scuse e invece ho scoperto di essere astata denunciata».
Nel frattempo, nella tarda serata di ieri, quando ormai le agenzie erano tutte invase dalla notizia anche grazie al lavoro di linkontro.info , la polizia rilasciava la seguente dichiarazione: «Amina Sheikh Said, la donna somala che ha denunciato di aver subito maltrattamenti e ingiurie all'aeroporto di Ciampino, ha precedenti specifici per traffico di stupefacenti». Firmato Remo De Felice, dirigente dell'ufficio della polizia di frontiera aerea di Ciampino. Come dire, la polizia aveva tutto il diritto di "torturare" una donna con precedenti che, peraltro, si riveleranno del tutto infondati. Nello strano comunicato la versione dei fatti, però, cambia un po'. Le perquisizioni vaginali, per esempio, diventano «approfonditi accertamenti». Infine, la denuncia per calunnia e diffamazione da parte della stessa polizia di frontiera di Ciampino. Immediata la replica dei legali che smentiscono qualsiasi accusa: «La mia assistita non ha mai avuto precedenti come trasportatrice di droga nascosta in ovuli ingeriti».
Reazioni sono arrivate anche dal mondo politico. Degna di nota, quella del sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto: «Non si tratta - ha dichiarato Crosetto - di una ingenua signora, ma di una persona nota per precedenti alle forze dell'ordine non solo italiane». Da cui la replica di Luigi Nieri, assessore al bilancio della Regione Lazio: «Le parole offensive e l'atteggiamento assunto da alcuni esponenti del Governo, e non solo, sta indubbiamente favorendo l'insorgere di fenomeni razzisti».

«L'11 ottobre sarò in piazza. C'è bisogno di opposizione»

di Fabio Sebastiani - da Liberazione del 3/10/2008

«Aderisco e partecipo alla manifestazione dell'11 ottobre, perché ritengo importante tutte le iniziative di opposizione al Governo che mettono al centro le questioni sociali». Gianni Rinaldini, segretario nazionale della Fiom, sceglie una ad una le parole per sottolineare l'importanza di questo autunno caldo e difficile, soprattutto per la sinistra e per il sindacato. Tra una pausa e l'altra dell'iniziativa "Il lavoro precario colpisce tutti", che ieri la Fiom ha organizzato a Sesto San Giovanni nell'ambito della settimana contro la precarietà della Fem, la federazione europea delle tute blu, rilascia una intervista a Liberazione da cui esce il nuovo quadro della fase politica e sindacale.

Questo autunno sembra piuttosto ricco di iniziative contro il Governo…
Aderisco all'11 ottobre, ma non metterei in opposizione questa data con il 25 ottobre. E' chiaro che sono due manifestazioni diverse, ma non può passare l'idea che si tratti di due iniziative che si contrappongono perché comunque esprimono una opposizione . Non c'è alcun dubbio che quanto sta avvenendo nelle vicende sindacali rafforzi la necessità di una opposizione politica. Detto questo occorre salvaguardare l'autonomia stessa del sindacato. Al di là di tutto credo che il primo problema che c'è oggi sul tappeto è di riaprire un rapporto di massa per andare a spiegare bene cosa sta succedendo con i riflessi della globalizzazione sul piano dell'attacco al contratto nazionale e costruire passo dopo passo le mobilitazioni.

Al direttivo nazionale della Cgil c'è stata l'unanimità sul documento finale, dopo un lungo periodo in cui invece c'è stato scontro. Cosa sta cambiando?
Ritengo la posizione assunta da tutta la Cgil nei confronti del documento di Confindustria, che non può essere certo considerato una ipotesi di accordo, un fatto importante e positivo. Nel corso del direttivo nazionale si è rimesso tutto in discussione e il confronto si è fatto trasversale. Ci è stato, insomma, un confronto vero. La scuola, il pubblico impiego, alcune Camere del lavoro, alla fine ciò che ha prevalso è stato il merito delle questioni.

In particolare, c'è questo nuovo asse tra voi e il pubblico impiego. Fino a pochi mesi fa, invece, vi guardavate con una certa diffidenza, o sbaglio?
Abbiamo in programma diverse iniziative con il pubblico impiego. E' chiaro che non è un rapporto dei metalmeccanici con una particolare categoria ma la risposta politica ai tentativi di divisione in atto da parte del Governo. Questa collaborazione ha il senso di ritessere le fila di una ricomposizione tra lavoratori dipendenti. Quel che sta accadendo è sotto gli occhi di tutti. Il pericolo concreto per i lavoratori del pubblico impiego è quello di ritrovarsi con contratti regionali, uno diverso dall'altro a seconda della latitudine. E questa è una tendenza in atto anche tra i lavoratori del settore privato. E' questa tendenza che va fermata e vogliamo farlo insieme.

Non credi che il rischio dell'accordo separato crei qualche problemino al Pd?
Io mi occupo di quel che accade nel sindacato. Dico che se c'è un accordo separato lo scenario cambia per tutti, anche per la politica. L'accordo separato sulle regole è una enormità, molto più grave di quanto subimmo qualche anno fa con l'accordo separato nel settore dei metalmeccanici.

sabato 4 ottobre 2008

“Sò fascista e me ne frego”

di Andrea Oleandri

Non guardo molto la televisione. Ogni tanto però mi capita di accendere, fare zapping di tutti i canali – chissà, forse sperando di trovare qualcosa di interessante – per poi spegnere.
L’altra sera ci ho riprovato, soffermandomi per qualche attimo sulla trasmissione di Italia1 condotta da Teo Mammuccari. Attimo che è stato tuttavia sufficiente per sentire un concorrente dire (non so in che contesto si fosse) “io sò fascista, sono per la meritocrazia” e il conduttore rispondere miseramente “ora la politica non c’entra”. Già, non c’entra davvero nulla la politica col programma di Mammuccari. Ma forse una presa di distanza maggiore non avrebbe per nulla guastato. Ma il punto su cui mi soffermerei non è certo questo, ma un altro, che crea maggiore preoccupazione. Va di moda dichiarasi fascisti, oggi. Si dichiara fascista il portiere del Milan Abbiati. Si dichiarano fascisti esponenti politici, chi direttamente (Ciarrapico) chi indirettamente (La Russa nel suo richiamo ai repubblichini di Salò).
E si dichiarano fascisti i poliziotti che massacrano i rom a Bussolengo, o i ragazzi che hanno aggredito, sempre ieri a Roma, un cinese. Dove qui intendo il fascismo come movimento che cammina a braccetto con il razzismo. Ci si dichiara fascista per il gusto di farlo sapere. “Io sò fascista, sono per la meritocrazia” è un frase che non ha o non dovrebbe avere contesto.
Non dovrebbe averlo perché in sé non significa nulla. Sarebbe stata la stessa cosa dire “sò fascista perché preferisco le fragole”. Non dovrebbe aver contesto perché siamo pur sempre una Repubblica Democratica fondata sui valori della resistenza e dell’antifascismo. Non dovrebbe aver contesto perché davvero non c’entra nulla con un programma come quello di Mammuccari. O forse mi sbaglio io e c'entra. C'entra nella misura in cui è diventato normalità. Il fascismo è un male che ha sempre serpeggiato nella società, che nella società si annida e si alimenta dell'odio per il diverso – la xenofobia – e del razzismo. Razzismo e xenofobia sempre più evidenti e rivendicate nel nostro misero Paese. Ma se davvero è così, se davvero essere fascisti è diventata una cosa di cui andare fieri, da rivendicare appena se ne ha l'occasione, se il fascismo è diventata la normalità, allora abbiamo perso. Tutti. E tutti dobbiamo interrogarci e capire come reagire.