"Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada" Majakovskij

Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Circolo "Lucio Libertini" Montecchio Emilia
Via don P. Borghi, 10 - Montecchio Emilia (RE)
prc.montecchio@gmail.com
347.04.40.517
FB: Prc Montecchio Emilia

martedì 31 marzo 2009

Il Cavaliere forte per l’altrui debolezza

di Alberto Burgio

Il discorso di un vincitore. Che ricorda fiero il cammino percorso, concede onori ai compagni di strada e disegna i futuri scenari di gloria. Oggi Berlusconi celebra il proprio trionfo. Sogna a occhi
aperti. Inscrive se stesso nella galleria degli eroi nazionali.
Innalza il 1994 a data fondativa della storia patria, l'inizio della Liberazione. Non si è smentito e non ha deluso le attese. Del resto, tutto sembra andargli per il verso giusto e lui ne approfitta.
Un discorso, se vogliamo, significativo, per quanto dice e per quel che tace. Le parole "popolo" e "libertà" ripetute decine, centinaia di volte, martellate come garanzie salvifiche. E mai una volta che sia una, invece, la parola "uguaglianza". Ma il fulcro intorno al quale ha ruotato il discorso è la storia del Paese che Berlusconi ha voluto narrare. Segno che gli è ben chiara l'importanza di un tema - la storia, appunto, come fondamento dell'identità - che tanti suoi avversari hanno invece dimenticato.

La storia italiana per Berlusconi si identifica con la grande crociata del "popolo della libertà" contro la sinistra statalista, autoritaria e, in realtà, ancora comunista, con la falce e martello incisa nel cuore. Di questa crociata - nel nome dell'"Europa libera, cristiana, occidentale" - lui è, naturalmente, un protagonista. Ma non manca il pantheon dei Padri: nomina Sturzo, cita De Gasperi, ricorda commosso - a beneficio di Fini e dei suoi - il grande Tatarella. Manca solo Gelli. In compenso evoca, implicitamente, il Gobetti della rivoluzione liberale. Non è il caso di inalberarsi. C'è piuttosto da riflettere sulla grande capacità di inventare la tradizione che la destra dimostra di avere.

Ce n'è per tutti, man mano che il comizio procede. Anche per il comunismo stragista dei cento milioni di morti, e per l'Armata Rossa, degradata a banda di vili opportunisti. Che - dice Berlusconi - attese alle porte di Berlino finché quanto restava della Wehrmacht non si fosse arreso. E' il bello della postmodernità. Si può dire tutto e il contrario di tutto: quel che conta è disporre del pulpito più alto.

Un passaggio del discorso merita una citazione, ed è quando Berlusconi cita Bettino Craxi, il suo mentore, il suo antico protettore. Dice che al segretario del Psi va il merito di avere per primo accantonato la teoria dell'"arco costituzionale". Vero o non vero, è l'indicazione di una pista feconda, che varrebbe la pena di battere per una riflessione seria sulla storia recente del socialismo italiano.

Ricordi, onori, progetti. Berlusconi non ha limiti, aspira per sé al Quirinale, progetta per il proprio Popolo l'occupazione stabile del potere. Sogna ad occhi aperti una nuova epoca, nella quale finalmente - come ebbe a dire la signora Thatcher - vi siano soltanto individui e non più classi, collettivi, società. Nella quale libertà faccia rima con possibilità concreta di fare, di avere, di potere. Tradotto in volgare: è l'apoteosi della libertà dei soldi.
E' questa la "rivoluzione liberale" che Berlusconi promette: "borghese, popolare, moderata" e, naturalmente, "interclassista". Riuscirà a realizzarla? Al momento non si vede chi possa ostacolarlo.
Ed è questo il vero punto di forza del suo insistito e soddisfatto tornare alle origini. In questi quindici anni questo Paese è molto cambiato. Berlusconi ne ha intercettato gli aspetti più retrivi, li ha legittimati ed esaltati. Ma tutto questo è stato possibile perché non vi è stata difesa, non vi è stato alcun argine, alcuna idea-forza contro la marea montante della destra. Berlusconi è forte dell'altrui debolezza, che purtroppo continua.

Allora dovremmo fermarci davvero un istante a riflettere su che cosa sta da tempo accadendo in questo Paese. E guardare in faccia finalmente le nostre responsabilità: nostre, di tutte le forze
democratiche e in particolare della sinistra. Quanti passi indietro?
Quanti errori? Quante concessioni all'ideologia della destra e quanta malriposta paura di difendere la nostra storia e la nostra gente?
Oggi Berlusconi ci ricorda che la partita è ancora aperta e che lui intende stravincerla. Speriamo che in tanti abbiano ascoltato con la dovuta attenzione.

sabato 28 marzo 2009

Oggi abbiamo dato vita a una lista unitaria della sinistra anticapitalista in Europa contro le politiche di Maastricht e di Lisbona.


Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc-Se.

Oggi abbiamo presentato il simbolo e dato vita a una lista di sinistra, anticapitalista che unisce quattro forze politiche (Prc, Pdci, Socialismo 2000, Consumatori uniti) in una comune proposta politica per l'Europa.
Lo abbiamo fatto e continueremo a farlo anche attraverso il contributo e le candidature di molti esponenti della sinistra, del mondo del lavoro e sindacale, del movimento femminista e ambientalista, del movimento lgbtq e pacifista. Questa lista, che lavora per un'uscita dalla crisi fondata sulla democrazia economia, sulla giustizia sociale e sulla solidarietà, rappresenterà un importante raggruppamento anticapitalista, comunista, socialista di sinistra, ambientalista in Italia e in Europa, e si ritrova intorno ai valori e ai simboli storici del movimento operaio italiano.

Chi vota la nostra lista saprà da subito dove andranno a sedere i nostri eletti e rappresentanti: nel gruppo del Gue/Ngl e nella Sinistra Europea, e cioè all'opposizione delle politiche liberiste di Maastricht e di Lisbona che hanno prodotto l'attuale devastante crisi economica europea e mondiale, politiche che vengono da molti anni votate e sostenute da tutti gli altri gruppi politici eletti in Europa, dai popolari ai socialisti passando per i liberali. Una vera "grande coalizione" liberista e antipopolare che vede e vedrà unite tutte quelle forze politiche che oggi fanno finta di contrapporsi in Italia, dalla Pdl di Fini e Berlusconi al Pd di Franceschini, passando per Di Pietro e Casini.

Chi vota la nostra lista invece vuole uscire da sinistra dalla crisi in Italia come in Europa da sinistra, tenendo assieme diritti sociali e diritti civili, chiedendo il pieno rispetto delle libertà dell'individuo nel campo sessuale come in quello etico insieme a un forte intervento pubblico in economia e alla nazionalizzazione delle banche, lottando per un'Europa libera, giusta e socialmente avanzata, ma anche per un'Europa neutrale e pacifista in politica estera, non asservita alle politiche della Nato, per una politica di pace e di democrazia.

Il nostro dunque non è un cartello elettorale ma una proposta politica precisa: riteniamo che si possa uscire dalla crisi, in Italia e in Europa, promuovendo più libertà e più eguaglianza, contro le politiche di un governo di destra che invece punta al totale e sfrenato liberismo e deregulation in economia ma che promuove politiche anti-liberali e totalitarie nel campo dei diritti civili.

A tal fine le quattro forze politiche che hanno dato vita a questa lista hanno deciso di riunirsi in un coordinamento che proseguirà anche dopo le elezioni.


venerdì 27 marzo 2009

Incotro PRC-PD in merito alle elezioni amministrative

Una svolta a sinistra e un programma coraggioso per il bene di Montecchio, con queste parole ha esordito il circolo di Rifondazione Comunista di Montecchio nell'incontro che si è svolto con il Partito Democratico qualche giorno fa.

Un incontro di confronto per verificare la possibilità di convergere su di un unico programma da presentare alle prossime elezioni amministrative di Giugno. L'esito dell'incontro ha evidenziato un accordo rispetto ai 3 temi analizzati, cioè risposte alla situazione di crisi economica – coinvolgimento delle organizzazioni sindacali per la gestione delle risorse riservate alla crisi -, alle politiche ambientali – raccolta differenziata spinta, fino ed oltre il 65% - e alla priorità della scuola pubblica – si privilegia il pubblico rispetto al privato. Rispetto invece ai tempi entro i quali si dovrebbe proseguire e concludere il confronto sul programma generale e la rappresentanza di Rifondazione in consiglio comunale ed in giunta, qualora Colli vincesse le elezioni, non è stata raggiunta un'intesa con il Partito Democratico.

Rifondazione ritiene che sia invece necessario presentarsi quanto prima ai cittadini con una proposta credibile e coraggiosa, anche perché è evidente come oggi i tempi della politica li stia dettando esclusivamente la destra, mentre vi sia un clamoroso ritardo da colmare da parte del centro-sinistra.

Rispetto alla rappresentanza, Rifondazione Comunista è pronta ad assumersi tutte le responsabilità che il governo di un paese come Montecchio richiede. Rifondazione Comunista è disponibile a confrontarsi sul programma e a partecipare ad una proposta di sinistra per Montecchio e ad impegnarsi attivamente a rendere concreta quella proposta.

Auspichiamo, quindi, che la grande capacità organizzativa e la serietà che contraddistingue il Partito Democratico consentano di proseguire il confronto dando una risposta in tempi brevi ai due punti rimasti ancora in sospeso.

giovedì 26 marzo 2009

Il Nobel a Berlusconi

di Giorgio Cremaschi, segreteria nazionale FIOM-CGIL

Prima di Berlusconi è stata la signora Melba Ruffo, in televisione a Domenica In, ad affermare che per uscire dalla crisi bisogna lavorare di più. La sua idea allora non riscosse un grande successo, non se ne colse la genialità. Non conosciamo le fonti che ispirano le acute intuizioni del Presidente del Consiglio, ma lui oggi ripete lo stesso concetto fornendogli quell'autorevolezza che prima mancava.
Lavorare di più per uscire dalla crisi, dunque. Bene, vediamo in concreto che significa, senza i soliti pregiudizi ideologici.
Immaginiamo che, prima di tutto, si pensi di far lavorare di più chi ha perso o rischia di perdere il posto, o chi è da lungo tempo in Cassa integrazione. Quindi i lavoratori della Fiat di Pomigliano, i tessili di Prato, le lavoratrici della Indesit di Torino, i cassintegrati dell'Alitalia, i precari pubblici e privati che rischiano di scomparire dal ruolino dell'occupazione, e tante e tanti altri. Secondo dati che il governo considera allarmistici, ma che tutte le fonti confermano, entro la fine dell'anno avremo oltre 500 mila cassaintegrati e altrettanti disoccupati in più. Far lavorare di più un milione di persone che non lavora affatto non dovrebbe essere difficile per il cavalier Berlusconi, visto che sulla promessa di un milione di posti di lavoro ha fondato la sua discesa nel campo della politica.
Ma come, dove? Sono lavori pubblici, quelli che vengono offerti? E' la costruzione del Ponte di Messina? E' la stanza in più nell'appartamento che ogni famiglia, anche nei palazzi a venti piani, potrà costruire secondo un'altra promessa del Presidente del Consiglio?
Una promessa che solo incalliti detrattori possono trovare in contrasto con le leggi urbanistiche e anche con quelle della fisica. E' un impegno che otterrà dalla Confindustria della signora Marcegaglia, che ha chiesto e ottenuto recentemente "soldi veri" dal governo? Non è chiaro.
A meno che il lavoro in più a cui potrebbe dedicarsi questo milione di persone non sia il lavoro nero, quello che secondo un altro acuto comunicatore, il ministro Brunetta, costituirebbe un vero e proprio ammortizzatore sociale.
Ma forse stiamo equivocando. Berlusconi parlava di far lavorare di più quelli che ancora lavorano. Qui facciamo fatica a capire come e cosa ci guadagnano i disoccupati, a cui governo e imprese non offrono lavoro dignitoso, se gli occupati lavorano di più. Secondo noi così si aggrava la crisi, ma il nostro è probabilmente un vecchio schematismo ideologico e anche matematico, che non crede che in economia si possano moltiplicare i pani e i pesci. Come invece hanno creduto coloro che hanno comprato i derivati e i vari titoli spazzatura e che erano convinti che l'economia non fosse più sottoposta ad alcuna legge.
Comprendiamo che alla parola legge il Presidente Berlusconi abbia una reazione stizzita. Ma stia tranquillo, la violazione delle leggi dell'economia non è reato da nessuna parte e anche coloro che negli Stati Uniti hanno pensato di poter vendere e comprare all'infinito il Colosseo, la stanno facendo quasi tutti franca.
Secondo noi, quando un'economia è depressa o in crisi, sarebbe necessario, prima di tutto, redistribuire il lavoro e i redditi, invece che accumulare disuguaglianza tra chi può lavorare e chi no e, ancor di più, tra chi è ricco e chi no. Però è difficile far intendere il concetto di redistribuzione a chi pensa che sia offensivo anche solo sospettare che i ricchi non siano tali per diritto divino.
Allora il cavalier Berlusconi provi a spiegarci in concreto come funziona il meccanismo per cui se io lavoro il doppio e tu lavori niente, abbiamo un lavoro per uno. Provi a superare il significato profondo del sonetto di Trilussa e magari potrà concorrere al Nobel per l'economia. In fondo, nel passato, quel premio l'hanno ottenuto persone che avevano idee più strambe e anche più dannose delle sue.

lunedì 23 marzo 2009

Sullo stato della crisi a Montecchio

Il Circolo di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea di Montecchio Emilia esprime forte preoccupazione per la situazione socio-economica che si sta determinando, a causa della crisi, anche nel nostro paese così come dimostrano i dati diffusi dalla CGIL che già ad inizio 2009 segnalava la presenza sul distretto di circa 1.200 lavoratori interessati da Cassa integrazione ordinaria e di almeno 600 precari non riconfermati e quindi scoperti da ammortizzatori sociali.

Molte aziende di Montecchio (su tutte SBC, BIGLIARDI, CIAM, UNIDECK, DIECI, FASMA) hanno già avviato la cassa integrazione e molte altre potrebbero farlo nel breve periodo mettendo così in gravi difficoltà economiche sia i lavoratori espulsi dal mondo del lavoro (e cioè a reddito zero) perché interinali o a tempo determinato sia quelli che, in cassa integrazione, vedranno ridursi anche del 40% lo stipendio (dovendo vivere con 600-700 euro al mese).

Rifondazione Comunista ritiene che la cassa integrazione sia da applicare solo quando effettivamente indispensabile, il più possibile "spalmata" e a rotazione tra i lavoratori, in modo da minimizzare, per quanto possibile, le ricadute economiche sui lavoratori stessi. L'utilizzo della cassa integrazione va poi abbinato ad un fattibile piano industriale di rilancio economico-produttivo.

Le istituzioni pubbliche, a partire dal Comune, devono mettere a disposizione tutti gli strumenti diretti ed indiretti atti ad alleviare lo stato di crisi che già ora, ma ancora di più in futuro, colpisce molti lavoratori.

Stigmatizziamo dunque l'atteggiamento di quelle aziende, presenti anche sul territorio montecchiese (es. Dieci) che non seguono questi criteri e manteniamo l'attenzione anche sulla situazione degli apprendisti di CIAM e Unidek, che rischiano di rimanere fuori dagli ammortizzatori sociali.

Come Circolo di Montecchio Emilia del Partito della Rifondazione Comunista ci accingiamo a presentare in Consiglio Comunale un Ordine del Giorno che impegni la Giunta a riaprire i tavoli di trattativa tra le controparti e farsi garante di tali indicazioni.

sabato 21 marzo 2009

Senza volto: nessun diritto, nessuna pietà

di Vinicio Albanesi, Comunità di Capodarco

E' morto al Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, con il titolo generico di immigrato algerino di quarant'anni, senza nome: pure tossicodipendente. E' una delle storie ricorrenti nelle nostre strutture di ammasso di esseri umani che non hanno volto. Non l'hanno perché non hanno identità, né diritti. Intromessi, senza permesso, nel nostro territorio nazionale, non hanno acquisito rispetto. Che ringrazino Dio per non essere stati bombardati, qualcuno commenterà.
Per carità: la magistratura farà le sue indagini, compresa l'autopsia. Resterà una vita vissuta per nulla. Bruciata dagli eventi, dalle sue responsabilità, dalla sua migrazione, dalla sua incapacità a ritagliarsi uno spazio nella storia. A differenza di altre vite, il suo malore non ha avuto considerazione, né ha destato allarme: i suoi dolori sono stati confusi con quelli simbolici che esprimono comunque malessere e sofferenza. Succede nelle nostre carceri, nei nostri manicomi, nei nostri ricoveri. Non occorre essere scienziati per capire che un allarme lanciato è comunque sintomo di malessere: il ricorso al sentirsi male è l'unico richiamo possibile per destare pietà. Nella disumanità delle strutture globali nemmeno la pietà funziona. La vita continua nella distinzione che esiste da sempre: tra chi ha e chi non ha.
Si dice spesso che la vita è indisponibile. Bisognerebbe aggiungere: per chi se lo può permettere. Perché altrimenti la vita diventa disponibilissima: per fare le guerre, per essere incarcerati, ammassati, trascurati, vilipesi, abbandonati.
Non esistono scale che misurino tolleranza, attenzione, dignità. Al contrario si ergono coloro che giustificano, ammiccano, dimostrano che tutto è regolare. Regolarissimo. Abbiamo già assistito a scenari simili: tutto in ordine. L'intervento, la fatalità, la normalità: gli stessi che non hanno avuto pietà sono giudicati da altrettanti che non avranno pietà. Appartengono alla stessa specie. Non ci saranno avvocati di grido in contraddittorio; non ci sarà risarcimento a nessuno; la vicenda non farà notizia. Nessuno sarà condannato perché la legge non prevede il reato di disumanità.
Non saranno chiusi i centri di identificazione ed espulsione; non saranno resi umani, perché chi vi è rinchiuso è un non-cittadino. Sono stati inventati per garantire i più contro le orde di barbari che si permettono di disturbare identità nazionali, portando disordine e altre sub culture. Anzi saranno confermati per garantire più umanità a chi ne ha già abbondante. Esistono storie e non storie.
Come sempre, nella catena dei secoli che trascorrono. Di più: ci sarà chi ricostruirà le vicende a propria dimensione e conforto. Citando fatti e nascondendone altri. Giudicandone alcuni importanti, altri ininfluenti.
La dignità di ogni essere vivente (animali, piante, persone) non può ammettere distinzioni quantitative e qualitative: si inquina altrimenti ogni convivenza. La parola democrazia, l'essere popolo perderebbero ogni valore. Con una vendetta terribile. Se il rispetto non è garantito a tutti indistintamente, senza aggiungere alcuna condizione, la disumanità colpirà chi è debole, indifeso, vecchio, malato, delinquente, ininfluente. Non sarà più solo un algerino immigrato a non ricevere ascolto, ma anche un cittadino italianissimo che è caduto, suo malgrado, nella condizione di un immigrato irregolare. Inventeranno tante strutture, quante necessarie, per rinchiudervi dentro chi non conta più. E continueranno a parlare di democrazia, di rispetto, di partecipazione.

venerdì 20 marzo 2009

Perché mi sono iscritto a Rifondazione Comunista

di José Luiz Del Roio

Una volta, in una sezione, mi hanno chiesto come una persona giunga a iscriversi a un partito comunista. Diedi una risposta classica dei tempi andati. Perché segue i cammini del cervello, del cuore o dello stomaco. Mi sembra chiaro, no? Con il cervello analizza i processi che la circondano, sente che l'impalcatura economica costruita consuma la vita, nel suo senso più ampio, e attraverso la teoria e la conoscenza cerca di trovare un sistema più giusto.
Quando le ingiustizie che ti circondano non sono più sopportabili, quando l'indignazione giunge al suo culmine, quando la pietà, nel suo più alto significato, ti coinvolge, il suo cuore è pronto a trovare uomini e donne che possano avere i suoi stessi sentimenti.
Se mancano i mezzi base di sussistenza, la salute, l'educazione e anche il cibo e l'acqua - mentre una minima parte della società è avvolta nel lusso estremo - la giusta ribellione prende piede nella
persona. Se essa capisce che la sua posizione non la conduce a nulla se combatte da sola, cercherà un collettivo nel quale trovare solidarietà e risolvere i suoi problemi grazie ad una lotta collettiva.
E' per questo che serve un partito rivoluzionario.
Sempre molti decenni fa, sono stato ad una riunione in una povera sede del Partito Comunista Peruviano. Era incredibile, ma io, con molto imbarazzo, ero andato fino là per chiedere solidarietà. Le compagne e i compagni presenti, con le loro facce indie, segnate dal duro lavoro e dalle privazioni, non esitarono un minuto. Tutto quello che avevano era da dividere con i compagni esiliati brasiliani. In quel locale vi era un piccolo ritratto di José Carlos Mariategui e una scritta sincera: «Non chiedere quello che il partito può fare per te, ma quello che tu puoi fare per il partito». Si può dire un po' cinicamente "retorica stalinista". Ma quei militanti ci credevano veramente. La loro ambizione era totale, modificare il loro paese e il mondo in una direzione più egualitaria. Non cercavano cariche ed emolumenti, ma auspicavano qualcosa di molto più grande e collettivo.
Per questo erano solidali e condividevano il poco che possedevano.
Continuando nei miei ricordi, devo dire che ho militato per 23 anni nel Partito Comunista Brasiliano, attraverso le sue scissioni e ricomposizioni. Sempre in clandestinità. Quei miei compagni e compagne avevano davanti a sé la quotidianità dell'esclusione, del reprimere i sentimenti, del carcere, della tortura e della morte. Così come è stato durante il fascismo in Italia. Che cosa potevano mai chiedere al partito? Niente. E' per la causa nella quale credevano che davano la vita.
Erano tutti santi quei militanti? Assolutamente no. Avevavo su di sé i segni di una società elitista, violenta, corrotta, egoista e patriarcale. Ma tentavano di superarsi, alcuni riuscirono ad avanzare molto, altri poco e tanti difetti rimanevano.
L'inarrestabile flusso della storia ci porta ai nostri giorni. Sotto tanti aspetti molto meno drammatici, ma sotto altri segnati da un vero vortice di inferno. La crisi sistemica del capitalismo, secondo la mia analisi la più grave che questo modo di produzione abbia mai conosciuto, porta nel suo seno, in Italia e non solo, il massacro sociale dei lavoratori, l'assenza di speranza per i giovani, l'inacidirsi delle relazioni sociali, il razzismo, il rafforzamento del patriarcato, l'accaparramento dei beni comuni, il disprezzo ancora maggiore per l'ambiente.
Come non poteva non essere, esiste un'altra faccia della medaglia. Il nemico si è indebolito, il capitale finanziario boccheggia, l'imperialismo non trova risorse per proseguire le sue offensive. E la speranza di raggiungere concretamente il socialismo rifiorisce con impeto in America Latina. Vuol dire che, una volta di più, l'Italia ha bisogno dei comunisti.
Da qui la mia decisione, tutta personale, sul filo della ragione e del cuore (lo riconosco: poco significativa) di iscrivermi al Partito della Rifondazione Comunista. I grandi motivi sono stati esposti, ma ve ne sono anche di minori. Nella difficoltà, è il momento di affiancare Rifondazione, che è stata generosa con tanti. Sono uno di quelli con cui il Partito è stato generoso, eleggendomi al Senato. Ho conosciuto il dolore, il coraggio e la ribellione di Haidi Giuliani, mia compagna sui banchi del Senato. So che i suoi passi sono molto meditati. Se ha deciso di fare un gesto così serio come chiedere la tessera di Rifondazione deve avere ragione: e così l'ho seguita.
Alcune parole per il "mio" circolo, il "Perucchini" di Milano. Già conoscevo gran parte dei suoi iscritti. Si trova in un piccolo locale, quasi uguale alla sezione peruviana che ho ricordato. Ne sono orgogliosi come se si trattasse di un palazzo. Pagare il piccolo affitto mensile è una difficoltà che fa pensare ad alcuni film di Totò. Il lavoro non manca, vi è sempre la preoccupazione per qualche cosa. Seguire i più miserabili degli immigrati, i perseguitati di guerre abbandonati nelle macerie di un ex caserma, organizzare i lavoratori dell'ortomercato, creare gruppi di consumo solidale, accompagnare la situazione degli anziani in difficoltà nei grandi caseggiati, appoggiare una cooperativa sociale della zona, mantenere contatti e creare reti con la sinistra del territorio, lottare contro l'abusivismo edilizio, organizzare corsi, distribuire volantini, formare gruppi informatici, partecipare alle manifestazioni nazionali ecc.
Il "mio" circolo non è unico, è solo un esempio di tanti altri, con i loro militanti che non chiedono nulla al partito e tutto danno. Ha difetti? Sicuramente, ma per adesso ne ho trovato solo uno: ci vuole una maggiore presenza femminile.

domenica 15 marzo 2009

Un nuovo intervento pubblico in economia

di Paolo Ferrero, segretario nazionale PRC-SE

Le centinaia di migliaia di lavoratori che hanno perso il lavoro nei primi mesi di quest'anno rappresentano plasticamente la gravità della crisi. Una crisi che non è caduta dal cielo, non è il frutto di qualche cattivo banchiere che ha falsato le regole del gioco; una crisi che è il frutto proprio di quelle politiche liberiste che i capitalisti hanno portato avanti dagli anni '80 e che sono state condivise a livello politico sia dal centro destra che dal centro sinistra. Al centro di queste politiche abbiamo avuto la finanziarizzazione dell'economia e la sistematica compressione dei salari, delle pensioni e dello welfare. Politiche tutte orientate all'esportazione e alla speculazione finanziaria a breve hanno prodotto la situazione attuale: le banche sono piene zeppe di titoli che non valgono nulla e milioni di lavoratori non hanno i soldi per arrivare a fine mese, cioè per comprare le merci e i servizi che producono. Questa crisi è quindi una crisi del meccanismo di accumulazione capitalistico, non solo una crisi economica ma ambientale e alimentare. Da una crisi di questa natura non è possibile uscire senza una radicale messa in discussione della distribuzione del reddito e del potere e senza riprogettare il modello di sviluppo: cosa, come, per chi produrre. Se non si affrontano tali nodi, l'idea che la crisi sia destinata dopo un po' a risolversi "da sola" e che quindi si tratti solo di aspettare, è sbagliata.


Da questo punto di vista è evidente che la politica che sta facendo il governo Berlusconi non è finalizzata all'uscita dalla crisi da piuttosto all'uso della crisi a fini politici.

Berlusconi sta usando la crisi per costruire una organica svolta a destra: presidenzialismo, distruzione del sindacato, attacco ai diritti sociali e civili, aggressione all'ambiente e sua mercificazione, promozione di ideologie razziste, sessiste e clericali come "religione civile" del paese. Le ideologie reazionarie non sono un optional di questa politica: costituiscono il collante ideologico che permette di costruire consenso anche tra chi vede peggiorare la propria condizione. Bossi e il Papa svolgono la funzione deleteria che hanno svolto i nazionalisti e i nazionalismi all'inizio del ‘900. La gestione autoritaria della frantumazione del conflitto sociale è l'obiettivo berlusconiano: il clerico fascismo per l'appunto. L'obiettivo della destra non è quindi l'uscita dalla crisi ma l'uso della stessa per costruire un regime reazionario.

Per uscire dalla crisi a sinistra e quindi per sconfiggere il progetto berlusconiano è quindi necessario costruire un movimento di massa per l'alternativa. Senza un progetto alternativo che unisca la difesa degli interessi materiali immediati ai valori civili e la proposta di uno sviluppo alternativo, di una rivoluzione ambientale e sociale dell'economia, non è possibile uscire positivamente dalla crisi.

Per questo dobbiamo far vivere dentro le lotte, a partire da quelle organizzate dalla Cgil e dal sindacalismo di base, la costruzione di una piattaforma di alternativa: pesante redistribuzione del reddito e salario sociale per tutti i disoccupati, intervento pubblico in economia per praticare la riconversione ambientale e sociale della stessa, proposta di un nuovo umanesimo laico che veda nell'autodeterminazione degli uomini e delle donne il punto focale. Per superare la frammentazione sociale e la guerra tra i poveri è decisivo che una piattaforma concreta di riunificazione sociale viva dentro la costruzione delle lotte.

Per questo dobbiamo proporre a livello europeo una radicale messa in discussione dell'Europa di Maastricht, costruita da socialisti e popolari, che ha costituzionalizzato il neoliberismo e il cui monumento è la Banca Centrale Europea, dove un pugno di tecnocrati decidono delle nostre vite senza alcun vincolo democratico e sociale.

La tassazione delle rendite finanziarie, la tobin tax sulle transazioni speculative, la rottura di ogni relazione finanziaria con i paradisi fiscali, la possibilità per i lavoratori di tornare in possesso del loro Tfr abbandonando i Fondi Pensione sono tutti elementi di questo disegno che dobbiamo far valere nelle lotte e nelle elezioni europee.

Il punto centrale di questo progetto è la proposta di un nuovo intervento pubblico in economia. Berlusconi propone un intervento pubblico distruttivo delle relazioni sociali e dell'ambiente: dal via libera alla speculazione edilizia alle centrali nucleari. Noi dobbiamo proporre un intervento pubblico che, a partire dalla nazionalizzazione delle banche e dallo stop ai contributi alle imprese, attivi ricerche e produzioni finalizzate alla soddisfazione dei bisogni sociali e non ai profitti.

Il livello europeo e quello delle lotte sono i terreni decisivi per la richiesta dell'alternativa. Uscire dal chiacchiericcio del bipolarismo tra simili che caratterizza il dibattito politico italiano e far emergere la concreta urgenza dell'alternativa nelle lotte e nella campagna per le europee è il nostro compito.

giovedì 12 marzo 2009

Sulla delibera sulla gestione dei rifiuti approvata dalla giunta provinciale

comunicato stampa della Segreteria Provinciale del PRC-SE di Reggio Emilia

La delibera approvata dalla Giunta Provinciale segna un avanzamento rispetto alla gestione esistente dei rifiuti grazie ad alcuni risultati concreti ottenuti dal partito della Rifondazione Comunista.

La delibera indica come prioritaria la realizzazione di uno o più impianti di trattamento meccanico biologico (TMB), impianti che si faranno immediatamente e sui quali il nostro partito ha sempre puntato, poiché riteniamo questa tecnologia essere la vera alternativa all'incenerimento.

Viene ribadita l'autosufficienza provinciale e soprattutto si supera l'obbiettivo del 60% di differenziato, come previsto dal PPGR, innalzandolo come minimo al 65%, come previsto dalle normative vigenti.

Si sancisce che la parte che verrà eventualmente smaltita è solo quella che rimarrà alla fine del ciclo, ovvero dopo la raccolta differenziata e dopo il trattamento meccanico biologico che a quel punto sarà materiale CDR selezionato, individuando, in sinergia con gli enti locali interessati, le migliori tecnologie possibili oltre che meno inquinanti e soprattutto sostenibili.

Vengono stanziati nel 2009 due milioni di euro per potenziare la raccolta differenziata e l'abbattimento delle tariffe.

Ora lo sforzo del PRC si indirizzerà a far sì che in tutti i programmi elettorali sia inserita come prioritaria la raccolta differenziata capillare.
La delibera dice espressamente che saranno realizzate con certezza il TMB e la differenziata, mentre la capienza e la delocalizzazione del termovalorizzatore dovranno essere definite puntualmente e solo a regime, su scala provinciale e solo dopo aver acquisito i risultati del TMB e dopo una valutazione politica e tecnica che dovrà essere posta in essere dalle forze politiche.

Inoltre sarà fatta una valutazione dell'impatto ambientale e la VAS (valutazione sostenibilità ambientale).

Siamo certi che il senso civico dei reggiani e il loro contributo porteranno a risultati ben al di là del 65% e ciò insieme ad uno o più impianti di TMB all'avanguardia potrà consentire alla nostra Provincia di fare a meno di un inceneritore.

Uscire dalla crisi è la parola d'ordine

di Carla Ravaioli

"Uscire dalla crisi" è la parola d'ordine. Anche a sinistra. E non è dubbio che tentare di contenere la catastrofe già dilagante di disoccupazione, precarietà, impoverimento crescente, sia il primo compito delle organizzazioni del lavoro. Ma forse, nel mentre stesso in cui doverosamente questo obiettivo viene perseguito al suo meglio, non sarebbe inutile considerare che tutto ciò significa anche (tentare di) ridare fiato e stabilità al capitalismo; e domandarsi se davvero meriti impegnarsi nel salvataggio del mondo così come oggi è.
Un mondo in cui l'1% della popolazione detiene il 50% della ricchezza prodotta. Un mondo in cui - dice la Fao - si produce cibo a sufficienza per sfamare tutti, ma ogni cinque minuti un bambino muore d'inedia. Un mondo altamente tecnologizzato, dove sarebbe possibile produrre il necessario e più con poche ore di lavoro al giorno, ma le industrie puntano a settimane di ottanta-novanta ore. Un mondo che usa la guerra non solo come normale mezzo di politica internazionale, ma come lo strumento più utile per rilanciare la produzione quando il Pil non cresce a dovere.
Un mondo che, d'altronde, è impossibile da difendere così com'è. Sono in molti a crederlo e a dirlo. Mi limito a citare due nomi, di persone molto diverse per formazione e storia. «Siamo di fronte a una crisi complessiva del meccanismo di accumulazione capitalistica», scrive Paolo Ferrero ( Liberazione 8 marzo). «La logica del capitalismo è l'accumulazione. La quale è per natura illimitata […] una logica impossibile, quindi illogica» scrive Giorgio Ruffolo ( la Repubblica 9 marzo). E tutt'e due vedono nell'accumulazione la causa della crisi ecologica planetaria.
E al proposito davvero riesce difficile capire il lungo disinteresse (appena mitigato oggi) delle sinistre per un fenomeno come questo, che ha finora registrato un saldo di tre milioni di morti e cinquanta milioni di profughi. Come se poi queste cifre non contassero in massima parte operai, contadini, pescatori, poveracci dei paesi più miserabili. Come se non fosse natura (minerale, vegetale, animale) tutto ciò su cui il lavoro esercita la sua fatica, la sua intelligenza, il suo sapere. Come se non fosse natura (minerale, vegetale, animale) tutto quanto viene trasformato dall'industria capitalistica nello sterminato universo delle merci. E dunque i limiti del mondo naturale, e la catastrofe planetaria che l'ignorare quei limiti ha causato, non gridassero l'urgenza di superare un impianto economico-sociale fondato sulla crescita illimitata, un sistema ormai senza futuro.
Non sarebbe questa la base da cui muovere per tornare a pensare una rivoluzione possibile? Per darsi un'idea portante, una strategia al cui interno situare e agire scelte politiche anche di breve termine e di portata locale, purché a quell'idea omogenee e funzionali? Non era così che lottavano le sinistre del passato, impegnandosi per singole rivendicazioni e insieme cantando per "l'internazionale futura umanità"? E non è stata proprio l'ampiezza di quell'assunto a consentire tante vittorie del lavoro? Una linea di largo respiro non sarebbe più che mai necessaria oggi, in un mondo globalizzato, mentre il capitalismo sta divorando la base stessa del proprio operare, vivendo una crisi non solo gravissima ma diversa da ogni altra? Trovarla non potrebbe di per sé favorire il superamento di quella animosità interna a tutte le sinistre, che induce risse continue e ripetute scissioni, incomprensibili a una base che c'è, vorrebbe esistere e agire, ma non vede come?
Il "come" è certo una difficoltà che può parere insormontabile. Ma forse no. E' un grosso discorso, che vorrebbe ben più spazio di quanto sia qui concesso. Provo comunque a sintetizzare al massimo la riflessione che di recente ho cercato di mettere a punto, riassumendola in quattro "mosse". 1) Tutto l'ambientalismo più qualificato afferma la necessità di tagliare il prodotto per tentare di scongiurare un degrado ecologico irrecuperabile. Non dice però cosa tagliare, da dove cominciare. Bisogna pensarci. 2) La produzione di armi rappresenta ufficialmente il 3,5 per cento del Pil mondiale: una quota che, qualora gli umani smettessero di risolvere i loro guai uccidendo i propri simili, e di contare su questa attività per sostenere l'economia, garantirebbe a tutti noi una buona boccata d'aria pulita e un notevole risparmio di materie prime. 3) Tralasciando le mille possibili obiezioni, occorre porsi però una domanda ineludibile: come sistemare coloro (tanti) che lavorano nell'industria degli armamenti? Ma è facile replicare. Di taglio generalizzato dei tempi di lavoro a pari salario le sinistre discutono da alcuni decenni: dopotutto non sta scritto da nessuna parte, se non nella logica industriale-capitalistica che la gente debba spendere quasi metà della propria vita lavorando. 4) Altra inevitabile domanda: chi paga? Be', in un mondo dove (lo notavo sopra) metà della ricchezza è in mano all'1% della popolazione, porsi la questione mi pare quasi sconveniente. Sbaglio?
Utopia. Spesso (non sempre) così vengono commentate queste mie riflessioni. Tralascio di citare i mille possibili esempi di cose di uso quotidiano che appunto solo utopie erano fino a tempi non lontanissimi. Trovo più utile ricordare che la Nasa dedica una parte non secondaria dei suoi programmi alla ricerca di un pianeta con caratteristiche simili a quelle della Terra. Scopo: trasferirvi cospicue quote di umani da impegnare in attività produttive di ogni sorta, e finalmente lassù trovare spazio, materie prime a volontà, e piena libertà di inquinamento, per un vero grande rilancio della crescita, che riduca la crisi a una pallida memoria. Utopia per utopia: quale vi pare meno impossibile.

martedì 10 marzo 2009

Ricostruire, dentro la crisi, l'utilità sociale della sinistra

di Paolo Ferrero, Segretario Nazionale PRC-SE

Il centro del progetto politico di Rifondazione Comunista riguarda la capacità di intervenire efficacemente al fine di determinare una uscita a sinistra dalla crisi.

E’ infatti evidente come non automaticamente la crisi porti a sinistra. Anzi, sono prevalenti i segnali in senso opposto, di uno spostamento a destra, nella logica della guerra tra poveri. Questa crisi, per dimensioni, durata e profondità, è a tutti gli effetti una “crisi costituente”, che cambierà il panorama italiano; decisiva è la nostra iniziativa in relazione con la costruzione del movimento di massa.

Questo tema ci chiede di operare su più livelli.

In primo luogo è necessario costruire una efficace opposizione di sinistra. A mio parere questo tema lo si può affrontare unicamente a partire dalla piena autonomia dal Pd, che sui temi principali – penso al federalismo, la riforma della contrattazione, la riforma della giustizia – bene che vada è incapace di assumere una posizione efficace, male che vada assume posizioni sbagliate. La questione è come si costruisce una opposizione di sinistra che sappia, come abbiamo fatto a partire della manifestazione dell’11 ottobre, entrare in relazione positiva con le mobilitazioni della Cgil e del sindacalismo di base.
Importantissimo a questo riguardo è stato lo sciopero generale di Fiom e Funzione pubblica del 13 febbraio. Senza alcuna strumentalizzazione e nel pieno rispetto delle diverse autonomie, mi pare quindi evidente come il tema dell’opposizione abbia al suo centro proprio il lavoro unitario con la Cgil e il sindacalismo di base. Quindi il tema è quello della costruzione unitaria di un movimento di massa contro governo, Confindustria e – quando serve - Vaticano, come abbiamo fatto dopo Genova. Qui sta il tema politico dell’efficacia. Questo non richiede solo autonomia dal Pd, ma chiede di avere un progetto che sia da un lato di ricostruzione del senso della politica e dall’altro di uscita da sinistra dalla crisi. Per questo abbiamo proposto e continuiamo a proporre il coordinamento di tutte le forze di sinistra: massimo lavoro unitario nel rispetto delle proprie identità.

In secondo luogo occorre porsi l’obiettivo di ricostruire la credibilità della politica e l’utilità della sinistra. A partire dalla centralità della questione morale, questo per me vuol dire non essere accecati da una centralità ossessiva delle relazioni istituzionali, ma saper ridislocare la nostra azione nella società, sia nella costruzione del conflitto sia nella costruzione di forme di mutualismo. Quello che abbiamo chiamato il partito sociale. In questo lavoro di ricostruzione del conflitto e del tessuto sociale, dobbiamo collocare il progetto di uscita da sinistra della crisi. Occorre coniugare la battaglia per la redistribuzione del reddito e del potere con la proposta di un intervento pubblico centrato sulla riconversione ambientale e sociale dell’economia, sulla difesa del carattere pubblico dei beni comuni. La nostra parola d’ordine centrale deve essere: nessuno nella crisi deve restare solo, nessuno che perde il posto deve rimanere senza un reddito e vedere reciso il suo rapporto di lavoro, la cassa integrazione va estesa a tutti i tipi di lavoro. Intrecciare battaglia sindacale e programmazione economica indirizzata al fare i conti con i limiti ambientali allo sviluppo mi pare il nodo di fondo. In questo quadro, visto il ruolo che il razzismo e il sessismo hanno nella costruzione politica del blocco dominante, è evidente che non vi può essere alcuna separazione tra la lotta per la libertà e quella per l’uguaglianza, tra gli interessi materiali e i valori.

Per contrastare la guerra tra i poveri occorre fare inchiesta ed avere un solido impianto sindacale, politico e culturale, perché la partita si gioca su tutti i terreni contemporaneamente.

La proposta politica

Ricostruire una efficacia della sinistra nella lotta per costruire uno sbocco a sinistra dalla crisi è quindi il centro della nostra proposta politica. Ritengo infatti che la sconfitta della sinistra arcobaleno sia nata in primo luogo dall’inefficacia della nostra presenza nella maggioranza di Prodi rispetto alle aspettative di trasformazione che aveva suscitato la vittoria dell’Unione.

Occorre quindi ripartire dall’insediamento sociale per determinare uno spazio pubblico della politica che agisca dentro un orizzonte politico e culturale che si proponga di forzare la gabbia del bipolarismo. Ricostruire lo spazio pubblico di quello che un tempo era il movimento operaio. Non è solo un compito politico ma anche culturale: dentro la crisi dobbiamo far rivivere l’essenza del marxismo e cioè che il capitalismo non è un fenomeno naturale ma un prodotto storico e così lo è la sua crisi. Un prodotto storico che si può superare. Dobbiamo rompere l’universo simbolico omologato che hanno prodotto vent’anni di pensiero unico e anche a questo serve il nostre essere comunisti.

In questo quadro il tema dell’unità della sinistra non può diventare l’ossessione per il partito unico. I tempi dei partiti unici per fortuna sono finiti. Penso che quello di oggi sia il tempo del massimo di unità possibile nel lavoro politico, sociale, culturale nel rispetto delle differenze. Coniugare unità e rispetto delle differenze: questa è una delle lezioni che la sinistra dovrebbe imparare dal movimento delle donne.

Per questo ritengo completamente sbagliata la proposta di superamento di Rifondazione Comunista in nome di una costituente della sinistra e ritengo ancora più sbagliata la scissione attualmente in corso.

Non occorre essere dei veggenti per capire che dar vita oggi ad una costituente della sinistra vuol dire immediatamente permettere la realizzazione di una costituente comunista. Se questo accadesse è evidente che non solo Rifondazione Comunista si spezzerebbe (non solo organizzativamente ma il suo progetto politico verrebbe spezzato) ma la sinistra si dividerebbe per linee ideologiche; una sinistra innovativa, più moderata e alleata con il PD e una sinistra comunista, più radicale ma esclusa dal gioco politico. A mio parere questo sarebbe un disastro. E’ infatti evidente che non esiste nessuna proposta di costituente che sia in grado di convogliare in una sola forza politica quella che è la sinistra attuale, le sue diverse culture, ideologie, pratiche politiche. Il nodo è l’unità e il rispetto tra diversi non il tentativo forzoso o massmediatico di ridurre ad uno una realtà complessa.

Ovviamente la scissione in corso è ancora più sbagliata per tre motivi. In primo luogo perché intimamente contraddittoria: l’ennesima scissione fatta in nome dell’unità.

In secondo luogo perché disloca una parte delle forze di rifondazione in una area più moderata e subalterna al PD. In terzo luogo perché segna un deficit di cultura politico di una sinistra non in grado di fare i conti con la democrazia e con la possibilità che da un congresso si possa uscire in minoranza.

A mio parere è invece necessario costruire tra le forze della sinistra disponibili a costruire una alternativa al PD, una rete di relazioni stabili che facciano massa critica. Nella dialettica culturale e sociale come in quella politica. Se sul piano generale il tema è l’uscita a sinistra dalla crisi, sul piano strettamente politico il tema è la nostra capacità di forzare il bipolarismo. Lo dico perché dal ’96 ad oggi, questo è il tema con cui la sinistra di alternativa si è scontrata. Stritolata dentro la logica dell’alternanza perché subalterna quando in maggioranza e a rischio di scomparsa quando fuori dalla coalizione. Io credo che questo sia il problema politico di fase: come può vivere una sinistra anticapitalista in un contesto in cui – dati i rapporti di forza – il centro sinistra ha un profilo marcatamente moderato.

A me pare che questo tema non possa risolto con alchimie organizzative o semplicemente rimosso dentro un orizzonte tutto politicista. Io credo che dobbiamo sapere che questo problema non ha una soluzione immediata perché rimanda direttamente al tema dei rapporti di forza complessivi e nello specifico ai rapporti di forza tra centro sinistra e sinistra di alternativa. Penso cioè che dobbiamo praticare una linea politica che a partire dall’autonomia dal PD sia in grado di accumulare forze e capacità progettuale. Questo patrimonio, non credo possa essere immediatamente speso in una prospettiva di governo come ha fatto Rifondazione nel 2006. Credo cioè che occorra aver chiaro che per potersi misurare positivamente sul terreno del governo nazionale occorre avere rapporti di forza tra le due sinistre, se non rovesciati, almeno assai diversi dagli attuali.

Rilanciare la Rifondazione Comunista

In questo quadro io penso che il rilancio del progetto della rifondazione comunista sia un risorsa e non un ostacolo. Una risorsa perché senza una prospettiva chiaramente anticapitalistica è impossibile costruire una sinistra di alternativa. Rifondazione Comunista, la dialettica tra questi due termini è il punto costitutivo del nostro progetto, se se ne abbandona uno non esiste più, perché si qualificano a vicenda. Il comunismo parla della centralità della trasformazione sociale, dell’anticapitalismo. Rifondazione parla della necessità di imparare dai nostri errori nella storia del comunismo medesimo, proprio per non ripeterli e per abbandonare gli elementi negativi che in quella storia si sono manifestati, in primo luogo dove si è preso il potere. Ma non solo. Non è un caso che nel congresso abbiamo detto di no alla costituente di sinistra e di no alla costituente comunista. Perché entrambi questi progetti avrebbero sfigurato, annichilito, il progetto politico della rifondazione e la sinistra. Il rilancio della Rifondazione Comunista per me significa anche sottolineare la consapevolezza della non autosufficienza del Prc. Non si tratta solo di lavorare a coordinare la sinistra e l’opposizione, ma occorre riconoscere il pari valore delle mille forme di attività e iniziativa politica dell’associazionismo e dell’autorganizzazione, nonché dei diversi percorsi con cui si può maturare una scelta anticapitalista. In Italia, per esempio, salta agli occhi quella del volontariato cattolico e di matrice religiosa.

Mi fermo qui ma voglio chiudere sottolineando come proprio nella crisi emergano tutti i limiti del sistema capitalistico. Anche per questo – a mio parere - il rilancio del tema della transizione non è un orpello ideologico ma un punto di vista essenziale in una sinistra non annichilita.

sabato 7 marzo 2009

Lavoro sano, lavoro sicuro

di Dino Greco, direttore di Liberazione

Quando, oltre trent'anni fa, cominciai a lavorare nel sindacato, mi capitò il seguente caso. In un'azienda calzaturiera della provincia bresciana, un giovane operaio, ancora in prova, incorse in un gravissimo infortunio sul lavoro. Entrambe le mani gli furono troncate di netto mentre lavorava alla tranciatura delle tomaie. Tutta la fabbrica si fermò. Il padrone si difese sostenendo che il "tragico" evento non poteva essere causato dalla carenza di adeguati dispositivi antinfortunistici di cui la macchina era, a suo dire, perfettamente munita. Precisamente, la protezione consisteva in due pulsanti, collocati ai due lati dell'attrezzo, come in un flipper, che dovevano essere premuti tenendo simultaneamente impegnate entrambe le mani. Diversamente, la tranciatrice si sarebbe bloccata, escludendo qualsiasi conseguenza sull'operatore. Dunque, cos'era accaduto? Semplicemente questo. Al ragazzo, da pochi giorni avviato al lavoro, era stato detto che la conferma della sua assunzione sarebbe dipesa dal raggiungimento di una certa quantità di pezzi/ora: una soglia molto, molto elevata. La consapevolezza della difficoltà del compito lo aveva spinto ad inventarsi una soluzione, tutta a suo rischio. Aveva bloccato con il nastro adesivo entrambi i pulsanti. Questo accorgimento gli consentiva di abbattere i tempi di lavorazione, elevare il ritmo, raggiungere il traguardo produttivo assegnato. E guadagnarsi così il diritto di continuare a lavorare. Un istante, un istante solo di disattenzione lungo una sequenza interminabile di operazioni ripetitive gli è stata fatale. A 23 anni, una vita rovinata. Ebbene, trent'anni dopo, la situazione è di molto peggiorata. Perché allora esisteva un rapporto di lavoro "canonico", il lavoro a tempo indeterminato. E quello a termine, per un ben delimitato numero di casi. Questo dava maggiori possibilità di sottrarsi alla pressione del padrone, almeno nelle aziende con più di 15 dipendenti, ove non era (e per ora ancora non è) consentito il licenziamento senza giusta causa. Oggi, la precarietà, incardinata in una mostruosa legislazione derogatoria e legittimata da una impressionante proliferazione di lavori "atipici", espone un'intera generazione al ricatto, che sempre si finisce per subire quando gli strumenti di difesa scompaiono e si impone la paura. Parlo del ricatto come modalità ordinaria, connaturata all'essenza stessa del rapporto di lavoro. In un simile scenario le persone sono spinte all'autosfruttamento, ad introiettare l'ineluttabilità dell'umiliazione. E del rischio. Il più irrimediabile dei quali è certo la perdita della vita, che diventa notizia solo quando si presenta con modalità raccapriccianti e mediaticamente spettacolarizzabili.
Ma che annega nell'assuefazione e nell'oblio quando si traduce nello stillicidio quotidiano. Poi, ci sono gli infortuni non mortali, spesso causa di postumi invalidanti permanenti. Sono stati oltre 35mila nel 2007. E le patologie da lavoro. Sono state quasi 29mila nello stesso anno. Oggi siamo in piena deregolazione. Governo e Confindustria puntano a manomettere quanto di positivo è stato introdotto con il Testo Unico in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, a rendere inefficace il concetto di responsabilità solidale dell'appaltante nei confronti dell'appaltatore, a depotenziare il ruolo delle Rsu, a depenalizzare parte delle violazioni di legge, a irretire le prerogative degli organi ispettivi, la cui già modesta attività il governo vorrebbe ulteriormente ridurre "per non aggravare" la crisi che colpisce l'apparato produttivo. Quanto alla magistratura, si è dimostrata, in tanta sua parte, più sensibile alla competitività delle imprese che non alla sicurezza dei lavoratori, come invece impone solennemente l'articolo 41 della Costituzione. Archiviazioni, prescrizioni, sanzioni amministrative risibili. Mai un imprenditore che paghi penalmente, quale che sia il danno di cui si è reso responsabile. Sicché quando un magistrato come Raffaele Guariniello chiede ed ottiene il rinvio a giudizio dei dirigenti della Thyssen Krupp con il capo di imputazione di "omicidio volontario", ecco levarsi le proteste indignate di non pochi che sino a poco prima si erano uniti al dolore dei familiari delle vittime. Vediamo che il Capo dello Stato è tornato anche ieri sull'argomento. Fa bene, Napolitano, a insistere, perché anche la sordità persiste. Del resto, chi lesina il salario e affama i lavoratori è difficile che investa nella loro sicurezza. La campagna che da oggi rilanciamo insieme a "Carta" e "il manifesto" attraverso il Dvd che trovate in edicola con il giornale non smetterà di battere su questo chiodo. Giorno dopo giorno.

domenica 1 marzo 2009

Gallino: «Pure la legge antisciopero. Davvero c'è da avere paura»

intervista a Luciano Gallino - da il Manifesto del 28 febbraio 2009

A questo punto, professore, dobbiamo davvero avere paura?

Penso proprio di sì. Quella della limitazione del diritto di sciopero è una strada che si sa dove comincia ma non si sa dove finisce. Anzi, lo sappiamo benissimo. Il governo comincia con i trasporti, poi passerà a tutti i servizi di pubblica utilità, poi al pubblico impiego e alla fine, per coerenza, la valanga investirà il settore privato.

L'obiettivo è inseguito da tempo. Perché ora si accelera?

Da un governo di destra c'era da aspettarselo. Crisi e disoccupazione oscurano l'orizzonte, il timore di perdere il posto di lavoro e un reddito per quanto minimo viene prima di tutto, lascia poco spazio alle battaglie per i diritti, per quanto sacrosanti. Il momento è buono per affondare il colpo. E' stato scelto con cura. E poi dobbiamo ammetterlo: molti italiani sono favorevoli a limitare il diritto di sciopero, almeno nei trasporti. Non servono i sondaggi per saperlo. Un sacco di persone sono d'accordo con le peggiori cose attuate o progettate da Berlusconi. Questo è il nostro problema.

Il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali è già stato limitato da due leggi. C'era proprio bisogno di una terza?

Ci si poteva accontentare di qualche ritocco, di una manutenzione ordinaria, di un aggiornamento. Invece qui siamo al giro di vite e molto stretto. E' vero che siamo ancora all'inizio dell'iter, ma l'inizio è pessimo. L'articolo 40 della Costituzione è sibillino. Dice che il diritto di sciopero «si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano». Se le leggi sono ultrarestrittive, come risulta dai paletti messi dal ministro Sacconi, ne consegue un drastico ridimensionamento del diritto di sciopero come fin qui esercitato nel nostro paese.

Questa è una legge antisciopero e, insieme, una legge contro la Cgil.

Non c'è dubbio che la Cgil è sotto tiro. Il segretario Epifani ha preso una posizione netta. Cisl e Uil sono più che disponibili. Però bisognerà vedere come si evolverà la situazione. L'ingordigia del governo è così grossa che persino Cisl e Uil potrebbero essere costrette a rivedere le loro posizioni.

Il ministro Sacconi, bontà sua, sostiene d'aver optato per la legge delega per valorizzare i contributi delle parti sociali.

E' vero il contrario. Una legge delega è una scatola vuota dove il governo può metterci quel che vuole.

Il ddl-delega approvato ieri dal consiglio dei ministri contiene leggere modifiche rispetto al testo anticipato dai giornali. In meglio o un peggio?

La sostanza non cambia. Non è certo una miglioria dire che "basterà" il 20% della rappresentanza per indire un referendum in cui almeno il 30% dei lavoratori dovrà approvare lo sciopero.

I referendum su accordi e contratti sono discrezionali, quelli sugli scioperi diventeranno obbligatori.

Con l'aggravante che per ottemperare alle macchinose procedure i tempi per fare uno sciopero diventeranno biblici.

Cose che succedono in un paese dove l'opposizione non c'è.

Se nemmeno una legge antisciopero riuscirà a imporre un minimo di unità ai pezzi sparsi delle sinistre, siamo davvero messi male.